Divorzio all'italiana
(Italia 1961, bianco e nero, 120m); regia: Pietro Germi; produzione: Franco Cristaldi per Lux/Vides/Galatea; sceneggiatura: Alfredo Giannetti, Ennio De Concini, Pietro Germi; fotografia: Leonida Barboni, Carlo Di Palma; montaggio: Roberto Cinquini; scenografia: Carlo Egidi; costumi: Dina Di Bari; musica: Carlo Rustichelli.
Nel 1960, ad Agromonte, immaginario paese della provincia catanese, tipico della profonda Sicilia per le consuetudini e la mentalità arretrata che vi predominano, si svolge la vicenda della passione amorosa del barone Ferdinando Cefalù. Questi, uomo di trentasette anni, coniugato da quattordici con Rosalia e ora oppresso dalle sue smancerie e dalle sue cure assillanti, si invaghisce di Angela, una cugina adolescente. Per sbarazzarsi della moglie, il barone elabora un piano. Poiché il divorzio non è ancora ammesso dal codice (la legge Fortuna-Baslini che lo istituirà sarà approvata dal Parlamento italiano, dopo le intense lotte sostenute dalle forze radicali e socialiste, nel 1970, e confermata dalla sconfitta di un referendum abrogativo nel 1974) e non rientra nemmeno nelle aspirazioni e nella mentalità dell'uomo, egli progetta di uccidere Rosalia sorprendendola in flagrante adulterio e conta di avvalersi delle ampie attenuanti previste dal codice penale italiano per il 'delitto d'onore' (grazie al famigerato articolo 587, che sarà abolito soltanto nel 1981). A tal fine, attira nel palazzo in cui vive, affidandogli il restauro degli affreschi, il pittore Carmelo Patanè, antico pretendente della moglie. Il barone spia e registra i colloqui fra i due, ma Rosalia e Carmelo fuggono insieme dal paese, sventando inconsapevolmente il suo piano. Divenuto oggetto di dileggio e ostracismo da parte dei compaesani, che lo considerano 'disonorato', il barone raggiunge i due fuggiaschi e uccide Rosalia, subito dopo che la moglie di Carmelo ha ucciso il suo consorte. Uscito di carcere nel giro di pochi anni, può finalmente sposare Angela. Ma da un'ultima immagine si intuisce che la giovane consorte non gli sarà fedele.
L'ambientazione siciliana di Divorzio all'italiana è ampiamente connotata attraverso riferimenti di vario genere: dati culturali, come l''onore', le 'corna' e il maschilismo; episodi di cronaca e di costume (la sezione del PCI dove ancora gli uomini ballano esclusivamente con altri uomini; la proiezione della Dolce vita di Fellini, che suscita scandalo e riprovazione, ma attira nel cinematografo tutti i maschi del circondario); il ricorso al dialetto, cui si associa una gonfia retorica umanistica forense; ma anche alcuni tratti paesaggistici entrati nel folklore, come le calde notti estive, al chiaro di luna, nelle quali risuonano i mandolini. Tuttavia, hanno notato alcuni lettori del film (tra gli altri Maurizio Grande, il quale a sua volta riprende uno spunto di Leonardo Sciascia), in quella Sicilia si accentrano, come sotto una lente caricaturale, i connotati di un'intera nazione, ancora oppressa, nelle leggi e nei costumi, da retaggi culturali arcaici. Ecco perché il tono del racconto non è mai improntato a un umorismo distaccato e magari paternalistico, come se i problemi che affliggono il protagonista fossero per l'autore questioni superate; ma scorre per tutto il film un autentico, partecipato sentimento di malessere e di rivolta, che si coniuga con una fervida verve satirica. Il malessere è trasmesso, per esempio, attraverso le fisionomie, caricaturali fino alla ripugnanza, dei compaesani e dei familiari che circondano il barone Cefalù (a partire dalla moglie Rosalia, cui lo stesso Pietro Germi disegnò le due sopracciglia convergenti che le deturpano il viso), così come attraverso i contrasti fotografici di luce e di ombra: all'intenso biancore della spiaggia o delle strade del paese, nelle quali si è costantemente esposti al giudizio 'bruciante' degli altri, si contrappone la penombra degli interni del palazzo, che non suggerisce frescura o protezione, ma dà il senso di un ambiente dove alligna l'accidia, dove si trascina una pena di vivere segreta (che può dar luogo alle fantasie di omicidio nutrite dal barone, così come a violente scenate familiari, specie nell'ala del palazzo occupata dal ramo della famiglia composto di borghesi arricchiti). Il film, del resto, racconta il tentativo paradossale di liberazione dalla propria sofferenza, da parte del barone oppresso da una moglie che non ama; senza mai, tuttavia, che egli sappia giungere a una presa di coscienza critica rispetto alle regole sociali che quella sofferenza producono. In definitiva, egli mira soltanto a manipolarle per il proprio tornaconto, manifestando solo un disinteresse cinico (si vedano, per esempio, le sue reazioni indifferenti e annoiate, quando sorprende la sorella nubile in incontri amorosi con un giovanotto).
I personaggi somigliano a marionette, come testimonia anche la loro tendenza a irrigidirsi in cliché (a partire dal barone, con i suoi capelli lucidi di brillantina). Immersi nei propri drammi, essi non sospingono mai lo sguardo al di là dello scenario fittizio che li imprigiona, vivendo come un dato naturale la cultura che li deforma e comprime la loro esistenza. Lo stile del racconto è reso perspicuo da una delle sequenze di apertura, nella quale il barone, introducendo il lungo flashback che costituisce il corpo centrale del film, presenta il proprio paese e sembra a tratti prestare la propria voce al regista: il movimento fluido della macchina da presa, guidato dalla voce fuori campo, ricorre a zoom e panoramiche, appuntando lo sguardo dello spettatore sui guasti e sui paradossi della vita di Agromonte, e orchestra una piccola, sarcastica e appassionata requisitoria, il cui tono è quello dell'intero film.
Divorzio all'italiana segnò un imprevisto passaggio alla commedia del già maturo Germi. Accolto all'inizio con freddezza dagli 'addetti ai lavori', ottenne poi successo di pubblico (figura al terzo posto nella classifica degli incassi italiani della stagione 1961-62) e di critica, dando il nome al filone della 'commedia all'italiana'. Uscito negli Stati Uniti, si aggiudicò un Oscar per la sceneggiatura e due nominations per la migliore regia e per il miglior attore protagonista (Marcello Mastroianni).
Interpreti e personaggi: Marcello Mastroianni (barone Ferdinando Cefalù), Daniela Rocca (Rosalia Cefalù), Stefania Sandrelli (Angela), Leopoldo Trieste (Carmelo Patanè), Odoardo Spadaro (don Gaetano Cefalù), Bianca Castagnetta (donna Matilde Cefalù), Angela Cardile (Agnese Cefalù), Lando Buzzanca (Rosario Mulè), Margherita Girelli (Sisina), Laura Tomiselli (zia Fifidda, moglie di don Calogero), Pietro Tordi (avvocato De Marzi), Ugo Torrente (don Calogero, padre di Angela), Antonio Acqua (parroco), Saro Arcidiacono (dottor Talamone), Renato Pinciroli (frequentatore calvo del caffè), Renzo Marignano (uomo politico), Edy Nogara, Giovanni Pluchino, Giovanni Fassiolo, Nino Portale, Ignazio Roberto Daidone, Francesco Nicastro, Daniela Igliozzi.
M. Argentieri, I film dell'equivoco, in "Cinemasessanta", gennaio-febbraio 1962.
M. Grande, Abiti nuziali e biglietti di banca, Roma 1986.
L. Sciascia, La Sicilia e il cinema, in Le maschere e i sogni. Scritti di Leonardo Sciascia sul cinema, Catania 1992.
M. Sesti, Tutto il cinema di Pietro Germi, Milano 1997.
E. Giacovelli, Pietro Germi, Milano 1997.
Sceneggiatura: in Divorzio all'italiana, a cura di G. Moscon, Roma 1961.