DITTICO (gr. δίπτυχα; il sing. non è usato)
Così si designò in antico l'oggetto risultante dalla riunione per mezzo di cerniera di due tavolette, o valve, che, spalmate internamente di cera, servivano per la scrittura. Questa specie di libretto era di legno o di altre materie, ma per lo più d'avorio, docile all'intaglio col quale le facce esteriori dei dittici venivano spesso ornate. Ce ne sono giunti molti della tarda età imperiale, quando fu in uso commemorare col dono di alcuni di essi, più riccamente decorati, fausti avvenimenti come l'entrata in carica di alti funzionarî, specialmente consoli, ai quali anzi una disposizione teodosiana del 384 ne limitò l'uso. Si ha quindi, accanto a dittici di uso non precisato, come quello bellissimo, forse nuziale, dei Nicomaci e dei Simmaci (sec. IV; v. avorio, V, p. 663), quello con un Poeta e la Musa (Monza, Cattedrale) e varî altri con figure mitologiche, la serie dei dittici consolari, cronologicamente estesa dal 406 al 541. Su quelli del sec. IV, quasi tutti romani, l'uso di ritrarre il console o il funzionario titolare dà luogo a figurazioni svariate.
I dittici di consoli del sec. VI invece, quasi tutti di Bisanzio, presentano un tipo più costante, in cui il console seduto su sedile derivato dalla sella curulis, rivestito della toga picta, fornito delle insegne del suo grado, lo scettro e la mappa circensis, campeggia in immobile maestà sotto un'architettura o tra figure, di cui frequentissime le personificazioni di Roma e Costantinopoli, mentre in alto una cartella ne porta il nome e in basso sono figurate scene varie. Questi dittici dovevano perciò essere prodotto industrializzato di officine che riproducevano tipi ormai fissati: studî recenti riconducono ad Alessandria d'Egitto la creazione di questo tipo poi ripetuto per i dittici del sec. VI sia di Bisanzio sia di Roma.
Molti di essi sono giunti a noi per l'uso liturgico cui furono destinati nel Medioevo (v. appresso). Non sempre a questo scopo furono utilizzati dittici profani (es. quello di Monza, Cattedrale, in cui i consoli sono stati trasformati in David e S. Gregorio); altri ne furono appositamente fabbricati, e ornati perciò di soggetti religiosi cristiani (avorio con le Marie al Sepolcro, sec. IV o V, Milano, collezione Trivulzio; avorio con le Storie di S. Paolo, Firenze, Museo Nazionale; dittico di Rambona del Museo Cristiano in Vaticano). Nell'Oriente bizantino usarono, specie in epoca tarda (sec. XII e XIII), dittici intagliati internamente, quasi doppie iconi a rilievo; e in tale forma, come oggetto di devozione, il dittico d'avorio ebbe grande fortuna nell'epoca gotica (secoli XIII e XIV), scolpito o dipinto internamente.
La pittura fino dal '200 ebbe pure grandi dittici costituiti da tavolette riunite. Nel'400 il dittico dipinto fu caro specialmente all'arte fiamminga, ma non mancò del tutto nemmeno tra noi: esempio i ritratti dei duchi d'Urbino, di Piero della Francesca (Galleria degli Uffizî, Firenze), dipinti anche all'esterno.
Bibl.: S. Donati, De' dittici degli antichi, Lucca 1753; A. Gori, Thesaurus veterum Diptychorum, Firenze 1759; v. inoltre la bibl. della voce avorio e in particolare: R. Delbrück, Die Consulardiptychen, Berlino e Lipsia 1926 seguenti (sulla quale opera cfr. E. Wiegand, Zur spätantiken Elfenbeinskulptur, in Kritische Berichte, 1930-31, pagine 33-57); H. Graeven, Heidnische Diptychen, in Römische Mitth., XXVIII (1913), p. 246 segg.; R. Koechlin, Les ivoires gothiques français, Parigi 1924; E. Capps, The Style of the Consular Diptychs, in The Ar Bulletin, X (1927), pp. 61-101.
Liturgia. - Nella liturgia antica i dittici contengono l'elenco degli alti dignitarî ecclesiastici, cominciando dal papa, che vengono proclamati dal diacono durante la messa: in Oriente tali commemorazioni si fanno oggi generalmente dal sacerdote al cosiddetto "Grande ingresso" della messa. Per il contenuto si possono distinguere i dittici dei vivi da quelli dei morti, contenenti i nomi delle persone per le quali si prega. Talvolta nei dittici dei morti venivano enumerati tutti i vescovi che avevano occupato una determinata sede, e così ci sono state conservate molte serie episcopali. Troviamo particolarmente usati i dittici anche per elencare i candidati al battesimo (dittici battesimali). Degli apostati ed eretici era proibito fare il nome nei dittici. Il loro uso, che sembra rimonti alle origini cristiane, non è attestato con tutta evidenza prima dei secoli III e IV.
Bibl.: Diction. d'arch. chrét. et de liturgie, IV, 1, coll. 1045-1170.