DITEGGIATURA (fr. doigté; sp. dedeo, digitación; ted. Fingersatz; ingl. fingering)
Si dice nella tecnica musicale la scelta (e l'indicazione per mezzo di numeri e segni) delle dita che conviene usare, volta per volta, per ottenere le varie note nei varî strumenti. È evidente l'importanza della diteggiatura per la bontà dell'esecuzione, la quale in gran parte dipende dall'accorto e sapiente sfruttamento delle possibilità dei varî organi umani. L'impiego delle dita e il complesso di regole e indicazioni che ne determinano la scelta, dal punto di vista della tecnica, della precisione, della scioltezza e velocità, della bellezza del suono e in ultima analisi dell'arte dell'interprete, sono infatti elementi essenziali.
Strumenti a corda. - Negli strumenti a corda (a intonazione variabile) la diteggiatura riguarda la sola mano sinistra, che determina e stabilisce sulla tastiera dello strumento l'altezza dei suoni. mentre la destra con l'arco, o col plettro, o col polpastrello, produce il suono. La diteggiatura è limitata a 4 dita: l'indice, il medio, l'anulare, il mignolo, che s'indicano coi numeri1, 2, 3, 4. Il pollice serve di solito (negli strumenti della civiltà musicale europea) d'appoggio alle altre dita e allo strumento e non determina suoni se non nella chitarra, dove s'applica alla corda inferiore.
L'utilità di stabilire con esattezza la diteggiatura nella musica per strumenti a corda deriva dal fatto che ogni suono, a eccezione dal più grave di ciascuno strumento, può essere prodotto in più d'una maniera, giacché la mano sinistra scorre lungo la tastiera per un'estensione (negli archi) di circa due ottave su ogni corda, secondo un numero di posizioni pari ai gradi di allontanamento dal capotasto. Si comprende così come, p. es., il si sopra il rigo sul violino sia teoricamente suscettibile, fra suoni reali e armonici, di ben 34 diteggiature, delle quali almeno 17 s'incontrano realmente nella letteratura violinistica. Data la conformazione della mano, il pollice rimane normalmente sotto il manico a parziale sostegno dello strumento, e soltanto negli strumenti di grandi dimensioni, quali il violoncello e il contrabbasso, viene talora usato come capotasto e indicato col segno 0 (cioè zero) nel violoncello e con una crocetta (+) nel contrabbasso. Come per l'indicazione delle varie dita si usano i numeri1, 2, 3, 4, così lo zero sta a indicare, se solo, che la corda deve essere suonata a vuoto, cioè senza applicazione di alcun dito, e, se posto al di sopra di un'altra cifra, che il dito relativo non deve comprimere la corda, ma semplicemente sfiorarla, per produrre i cosiddetti suoni flautati, e cioè gli armonici naturali compresi fra il mezzo della corda e il ponticello. Quando invece le dita debbono sfiorare la corda per produrre suoni armonici nell'ambito di un'ottava dal capotasto, naturale o artificiale che sia, allora le note sono scritte a forma di losanga. Non è da credere però che ogni nota rechi l'indicazione del dito da applicare: si scrivono le cifre soltanto quando deve avvenire un cambiamento di posizione, rimanendo sottinteso che tutte le note successive senza cifra sono da eseguire nella medesima posizione. Quando può sorgere nell'esecutore un dubbio relativamente alla posizione in cui suonare, a cagione della numerazione identica tra la prima, la quinta e la nona posizione, come anche tra la seconda, la sesta e la decima, e via discorrendo, insieme col dito s'indica anche la corda, usando la serie dei numeri romani, a partire dal cantino:
Nelle edizioni tedesche anziché dei numeri romani ci si serve del nome stesso della corda: E (mi), A (la), D (re), G (sol), C (do). Spesso nelle revisioni fatte a scopo didattico i numeri romani indicano invece la posizione in cui si deve suonare. Le linee poste dopo i numeri arabici possono significare tanto la continuazione dell'uso del dito già indicato (come avviene pei glissandi, o strisciati, cromatici), quanto che il dito già indicato debba rimanere sulla corda fino a che dura la linea (indicazione frequente nelle edizioni didattiche). Se vi può essere dubbio, nell'esecutore, riguardo a tenere o lasciare una data posizione, si pone l'avvertimento restare.
Strumenti a fiato. - Semplice è la diteggiatura negli strumenti a fiato che si chiamano ottoni (corni, trombe, tromboni e affini) sui quali le dita della sola mano destra si limitano ad abbassare o rilasciare, isolati o combinati, 3 0 4 pistoni senza cambiar posizione. Negli strumenti detti legni (flauti, oboi, clarinetti, fagotti e affini) la diteggiatura è più complessa per il numero di chiavi che vengono azionate (isolate o combinate) dalle due mani.
Strumenti a tastiera. - Di gran lunga più complessa e difficile è la diteggiatura negli strumenti a tastiera (pianoforte e affini, organo e affini). La diteggiatura che s'impiega oggi e che si basa principalmente sul passaggio del pollice, si è venuta formando all'inizio del sec. XVIII. Nelle epoche precedenti s'impiegava una diteggiatura in cui il pollice e il mignolo erano pressoché esclusi dall'uso e servivano solo a iniziare o chiudere un passo; mentre il 2°, il 3° e il 4° dito "facevano tutta la fatica" e il passaggio avveniva su queste dita anziché sul pollice. Ecco la diteggiatura che si trova presso G. Diruta (Il Transilvano, Venezia 1593-1609-12) e Lorenzo Penna (Li primi albori musicali, Bologna 1656):
La diteggiatura seguente è usata da H. Purcell (Lessons for the Harpsichord or Spinnet, Londra 1696), da A. de Cabezon, dallo Chambonnières e dai Couperin:
Ma Francesco Couperin il Grande, in L'art de toucher le clavecin (1716, 2ª ed. 1717), ne dà applicazioni varie: p. es.:
o anche (manière plus commode pour les tons diésés et bémolisés):
mentre quest'altra comporta un glissé da un tasto nero a uno bianco
Un'altra varietà si trova presso Nicola Ammerbach, in Orgel oder Instrumental Tabulatur (Lipsia 1571):
Il numero 0 significa il pollice: l'i l'indice e così via. Per i salti attraverso grandi intervalli, G. Diruta prescrive queste diteggiature: per il salto uono (ossia con accento):
per il salto cattivo (ossia senza accento):
dove si vede che dito forte (dito buono), capace di accentare, era il 2° dito; debole (dito cattivo) era il pollice. Il principio del passaggio del palmo sotto il pollice è divenuto di uso comune ai tempi di G. S. Bach. Si potrebbe anzi dire che Bach ne sia stato l'inventore, se tali invenzioni si potessero attribuire a una sola persona, mentre in realtà sono opera anonima di molti. Certo, Bach contribuì grandemente allo sviluppo del sistema e Clementi lo rese perfetto: le tecniche mirabili di Liszt, di Rubinstein, di Busoni sono il fmtto di tale sistema e della scuola che ne è seguita. Nella diteggiatura attuale le dita s'indicano coi numeri 1, 2, 3, 4, 5 che indicano rispettivamente le dita dall'interno all'esterno: in Inghilterra si ha tuttora l'abitudine d'indicare il pollice con il segno +.
Bibl.: Per gli strumenti ad arco: F. Küchler, Violinschule, 1ª ed., 1911; C. Flesch, L'arte del violino, versione italiana di A. Curci, Napoli 1924, I, p. 121 segg. - Brevi nozioni sulla diteggiatura si possono trovare in opere teoriche relative agli strumenti ad arco. - Per gli strumenti a tastiera si può consultare: F. Rellstab, Anleitung für Klavierspieler (con riferimenti alla tecnica di G. S. Bach), 1790; L. Adam, Méthode ou principe général de doigté, 1798; Ch. Neate, An essay of fingering, Londra 1855; L. Köhler, Der Klavierfingersatz, Lipsia 1862; O. Klauwell, Der Fingersatz des Klavierspiels, Lipsia 1885; G. Michelsen, Der Fingersatz beim Klavierspiel, Lipsia 1896; A. Brugnoli, Dinamica pianistica, Milano 1927.