sviluppo, disturbi generalizzati dello
I disturbi generalizzati dello sviluppo rappresentano una classe di disturbi, biologicamente determinati, con esordio prima dei 3 anni, caratterizzati da anomalie dell’interazione sociale, compromissione della comunicazione verbale e repertorio limitato di interessi e attività. Nella maggior parte dei casi vi è una diagnosi concomitante di ritardo mentale. Questi disturbi comprendono diverse categorie diagnostiche: disturbo autistico, disturbo di Rett, disturbo autistico non altrimenti specificato, disturbo generalizzato dello sviluppo non altrimenti specificato. Per stabilire se il quadro comportamentale soddisfa i criteri diagnostici, definiti a livello internazionale, per ognuna di queste categorie è necessaria una valutazione clinica globale del bambino, della sua famiglia e del contesto ambientale in cui vive. Per questi disturbi non esiste uno schema terapeutico unico. Può essere utile l’impiego di farmaci nel controllo delle problematiche comportamentali (aggressività, stereotipie, iperattività), interventi abilitativi, neuropsicomotricità, logopedia, terapia occupazionale, trattamento cognitivo-comportamentale secondo diversi approcci. Questi interventi possono portare a sensibili modificazioni in termini di apertura alla relazione, arricchimento del linguaggio, attenuazione dei disturbi comportamentali e miglioramento della prognosi. Ciononostante una percentuale variabile dal 61 al 73% di casi presenta una prognosi severa. [➔ autismo; cervello, sviluppo del; neurone, Neuroni specchio; prosodia; ritardo mentale; stereotipie] Agli inizi del Novecento la diagnosi delle patologie psichiatriche dell’infanzia e dell’adolescenza veniva effettuata utilizzando schemi nosologici dell’età adulta. Essi comprendevano: schizofrenia, malattie affettive e nevrosi. Si avevano pertanto definizioni quali schizofrenia infantile, psicosi infantile, ecc. Il primo inquadramento diagnostico dei disturbi psicotici, a insorgenza molto precoce, può essere attribuito a Emil Kraepelin, che aveva inquadrato tutti i casi di psicosi infantile come forme di schizofrenia. Nel 1943 Leo Kanner descrisse 11 bambini definiti come affetti da «disturbi autistici del contatto affettivo». Il termine autismo venne preso in prestito dall’ambito della schizofrenia: Eugen Bleuler nel 1911 lo impiegò per indicare il comportamento di chiusura ed evitamento dell’altro nei soggetti schizofrenici. Kanner notò che i genitori di quei bambini erano spesso persone realizzate professionalmente e poco espansive dal punto di vista affettivo nei confronti dei loro figli (genitori ‘frigorifero’) e, pur riconoscendo l’origine congenita dell’autismo, attribuì alle tensioni del rapporto genitori-figli un ruolo fondamentale nella patogenesi del disturbo. Negli anni successivi il modello interpretativo è stato quello psicodinamico: la chiusura del bambino autistico rappresentava la sua difesa contro una realtà incapace di soddisfare i propri bisogni di protezione, rassicurazione e contenimento. Successivamente, con il progredire degli studi in questo ambito, si notò che i bambini autistici provenivano da famiglie di ogni ceto sociale e che i loro problemi di comunicazione e di interazione erano presenti con le persone in generale e non solo con i genitori. Inoltre, con l’affinamento delle tecniche di neuroimaging, si cominciarono a evidenziare, in alcuni bambini, segni clinici riferibili a un danno encefalico, in associazione alla sintomatologia autistica. Si individuarono pertanto due forme di autismo: autismo primario, o puro o di Kanner, e autismo secondario, o spurio. Oggi l’approccio patogenetico ai disturbi generalizzati dello s. si è modificato in maniera rilevante, grazie soprattutto alle più recenti tecniche di neuroimaging, in grado di individuare le strutture neuroanatomiche e i sistemi neurotrasmettitoriali implicati in svariati comportamenti, e agli studi più recenti sulla genetica dell’autismo che confermano l’esistenza di una predisposizione familiare.
Attualmente è sempre più accettata l’ipotesi che il disturbo autistico sia legato a un funzionamento mentale atipico su base genetica (➔ autismo). La familiarità per tale disturbo, la maggiore incidenza nei maschi e l’alta percentuale di ricorrenza nei gemelli monozigoti sono gli elementi a sostegno dell’ipotesi genetica. Tuttavia non esiste un gene per l’autismo, mentre sono stati trovati diversi geni che possono determinare una predisposizione allo sviluppo della patologia autistica, soprattutto localizzati nei cromosomi 2, 7 e 16. Esistono anche alcune sindromi genetiche note che si presentano con sintomi riferibili ad autismo: sindrome della X fragile, sclerosi tuberosa, alcune malattie metaboliche. La prevalenza del disturbo autistico è di ca. 1 caso su 1.000, senza distinzione di aree geografiche o razza o ceto sociale. È una condizione che colpisce i maschi in misura 3÷4 volte maggiore rispetto alle femmine. L’eziopatogenesi dell’autismo è a tutt’oggi sconosciuta e non esiste ancora un modello causa- effetto riferito a tale patologia. Le moderne tecniche non invasive di neuroimaging, acquisite mediante TAC e RM dell’encefalo, hanno rilevato anomalie strutturali in diverse aree cerebrali, soprattutto cervelletto, lobi frontali, amigdala e ippocampo. In partic., in alcuni casi si sono riscontrate un’ipoplasia del verme posteriore del cervelletto e una scarsità di cellule di Purkinje (inibitori della produzione di serotonina, i cui livelli ematici sono talvolta alterati nei bambini autistici). Si è potuto verificare inoltre, con tecniche più sofisticate quali PET, SPECT e FRM, che nelle aree suddette sono presenti un minore flusso sanguigno e un minore metabolismo, espressioni di una minore attività. Un’altra ipotesi suggerisce che l’autismo sia conseguenza di un’anomala differenziazione nelle ultime fasi dello sviluppo cerebrale (➔ cervello, sviluppo del), quando si stabiliscono le ultime connessioni tra i neuroni che definiscono la rete di comunicazione del cervello maturo, in partic. a carico del sistema limbico, della corteccia temporale e del cervelletto. Un’ipotesi patogenetica fa riferimento al rilievo nei cervelli dei bambini autistici di diverse alterazioni biochimiche: è stata individuata una disfunzione della dopammina che agisce sulle strutture del sistema nervoso centrale che controllano le funzioni dell’attenzione, dell’intenzione, della comunicazione, delle emozioni, della percezione e del comportamento, alterate nell’autismo. Un’altra serie di studi suggerisce, invece, la presenza di elevati livelli di oppioidi endogeni (come la β-endorfina) nell’SNC dei bambini autistici; questa sarebbe dovuta a un malassorbimento di glutine e caseina durante la digestione. A queste ipotesi si accompagna, in modo non necessariamente alternativo, la riflessione psicoanalitica dell’autismo (dramma della separazione madre-figlio, problemi relazionali con la figura paterna, ecc.). L’età di esordio è nei primi 3 anni di vita, tuttavia in una grande percentuale di casi è possibile notare sintomi di allarme già tra i 10 e i 20 mesi. Il quadro clinico è caratterizzato dalla compromissione di tre aree principali: interazione sociale, comunicazione verbale e non verbale, repertorio di giochi e interessi. I comportamenti sociali anormali sono rappresentati da anomalie dello sguardo con scarso contatto oculare e sguardo laterale, assenza di sorriso sociale, anomalie della postura e del movimento, assenza della richiesta sia verbale sia gestuale (il bambino usa l’adulto come prolungamento del sé, afferra il suo braccio senza guardarlo negli occhi e lo porta verso una cosa che vuole ma non riesce a raggiungere), assenza di reazione al proprio nome, indifferenza alle attenzioni altrui, avversione al contatto fisico, assenza della condivisione dell’oggetto, mancanza di reciprocità sociale o emozionale, incapacità di sviluppare relazioni con i coetanei appropriate rispetto al livello di sviluppo. Uno dei motivi principali che spinge i genitori a rivolgersi allo specialista è il deficit di espressione verbale, non compensato inoltre da alcuna forma di comunicazione alternativa. Con il passare degli anni, in alcuni bambini il linguaggio può essere del tutto assente, mentre altri presentano un progressivo sviluppo che può addirittura diventare particolarmente fluente, ma qualitativamente inadeguato. L’espressione linguistica può essere infatti caratterizzata da alterazioni della prosodia (➔), ripetizione delle domande poste piuttosto che risposta alle stesse, incapacità a iniziare o sostenere una conversazione secondo quanto atteso per l’età di sviluppo, inversione dei pronomi, ripetizione di parole, slogan, frasi memorizzate, ma pronunciate senza aderenza al contesto, ecolalie. Nell’ambito della comprensione, vi è l’incapacità di riconoscere i doppi sensi o le metafore. Il gioco è privo di contenuto immaginativo, simbolico o fantasioso e non c’è condivisione con l’altro. L’ultimo ambito che presenta una compromissione caratteristica è quello degli interessi e delle attività. Sono inclusi in questo gruppo tutti quei movimenti e gesti che, per la loro frequenza e la scarsa aderenza al contesto, assumono la caratteristica di comportamenti atipici e bizzarri e che sono genericamente indicati con il nome di stereotipie (➔). Il repertorio dei comportamenti può essere molto variabile: dondolarsi, assumere posture bizzarre, guardarsi le mani, guardarsi allo specchio, leccare le superfici, osservare l’acqua che scorre, osservare la lavatrice in funzione, disegnare sempre la stessa cosa, tenere lo sguardo fisso e in continuazione su un punto, emettere determinati suoni, recitare sempre le stesse scene di film, manifestare interesse assorbente per oggetti insoliti o per parti di oggetti. Fanno parte di questo gruppo anche alcune abituali routine quotidiane, che devono svolgersi secondo sequenze rigide e immutabili. Questo fenomeno è stato spiegato come una capacità di adattamento del bambino autistico che, non essendo in grado di adattarsi con flessibilità alle modificazioni dell’ambiente, preserva ciò che conosce nel modo in cui lo conosce. Questo bisogno di immutabilità si verifica anche nel gioco (per es., mettere tutte le mac chinine in fila o impilare tutte le costruzioni), nella disposizione degli oggetti (per es., mettere in fila tutti i peluche o individuare un posto per ciascun oggetto per poi riporlo sempre in quel luogo) o nei percorsi da seguire nelle uscite. Davanti a un cambiamento il bambino può provare profondo disagio, reagendo con rabbia, aggressività autodiretta (darsi pugni sul capo o sbattere la testa contro il muro o mordersi) o eterodiretta. Una caratteristica dei bambini autistici è l’abnorme sensibilità agli stimoli sensoriali di varia natura, uditiva, visiva, gustativa (che si esprime con una selettività nel mangiare solo determinati alimenti) o tattile (provare piacere o disgusto nel toccare determinati oggetti o stoffe). Soprattutto nell’alimentazione possono associarsi le diverse sensibilità: il bambino può decidere di mangiare solo cibi di un certo colore o sapore o consistenza. L’iperattività e i tempi di attenzione molto brevi sono altri sintomi frequentemente osservati. Tra i sintomi caratteristici sono incluse, infine, alcune particolari isole di abilità: un’eccezionale memoria per numeri e date, un’inaspettata capacità di leggere e recitare interi brani. Il 75% ca. dei pazienti autistici presenta ritardo mentale (➔), frequentemente di grado grave, il che rende molto spesso difficile stabilire se alcuni comportamenti atipici siano riferibili all’autismo o al ritardo stesso. Inoltre in ca. il 30÷40% dei casi può essere associata epilessia: spesso l’autismo e l’epilessia sono epifenomeni di un comune danno encefalico.
Descritto per la prima volta da Andreas Rett, medico austriaco, a seguito dell’osservazione di due ragazze che presentavano particolari stereotipie di torsione delle mani ed erano sorprendentemente simili tra loro nelle altre manifestazioni cliniche. È l’unico sottotipo dei disturbi generalizzati dello s. che si manifesta quasi esclusivamente nelle femmine. Il decorso clinico è peculiare. Lo sviluppo psicofisico dei primi 6÷8 mesi appare normale. La circonferenza cranica, normale alla nascita, subisce un rallentamento nell’accrescimento fra i 5 e i 48 mesi. Entro il primo anno di vita si assiste a un rallentamento, con successiva regressione e perdita, nelle acquisizioni psicomotorie, precedentemente sviluppate, e a un rapido declino delle capacità di interazione sociale. In questa fase avvengono la perdita dell’uso finalistico delle mani e la comparsa delle stereotipie tipo ‘lavaggio delle mani’. Il livello cognitivo si attesta a un grado basso o bassissimo, con perdita delle capacità di espressione verbale. La deambulazione autonoma si caratterizza per l’atassia e l’aprassia. Intorno ai 3 anni si ha un lieve miglioramento della sintomatologia autistica, soprattutto a carico dell’interazione sociale e della intenzione comunicativa. L’80% ca. delle bambine affette presenta in associazione un’epilessia. Sono inoltre evidenziabili: rigidità muscolare, scoliosi e disturbi della respirazione. Alcuni studi recenti hanno evidenziato segni precoci di un disturbo di Rett: agitare eccessivamente le mani, aprire e chiudere ripetutamente le dita, lieve ipotonia. Tuttavia, dato l’ampio margine di variabilità delle funzioni motorie nei primi mesi, questi lievi segni generalmente passano inosservati.
Fanno parte di questo gruppo due condizioni, precedentemente indicate come sindromi a sé stanti: la sindrome di Asperger e il disturbo disintegrativo della fanciullezza. Sindrome di Asperger. Descritta per la prima volta nel 1944 dal pediatra austriaco Hans Asperger, tale condizione presenta alcuni sintomi che la includono nei disturbi generalizzati dello s., quali compromissione qualitativa dell’interazione sociale e interessi e attività ristretti e assorbenti. A differenza del disturbo autistico, non si riscontrano però né un ritardo del linguaggio né un ritardo cognitivo. Il linguaggio risulta ben sviluppato, anche se insolito: è presente una marcata verbosità, con la fissazione dell’individuo su determinati argomenti, per i quali spende una gran quantità di tempo a raccogliere informazioni e fatti. Il soggetto può parlare incessantemente di un argomento favorito, spesso non arrivando a una conclusione. I tentativi dell’interlocutore di cambiare discorso o intervenire sul contenuto restano frustrati. Dal punto di vista del funzionamento sociale, sono spesso soggetti isolati, pur rendendosi conto della presenza degli altri e pur tentando approcci, che risultano però inappropriati, poiché è spesso presente un’insensibilità verso i sentimenti e le intenzioni altrui. I bambini affetti da questa patologia non sono infatti in grado di dare significato alla comunicazione non verbale degli altri. Questa continua frustrazione nel rapporto con gli altri può essere responsabile del frequente sviluppo di disturbi dell’umore in comorbidità. I soggetti sono essere in grado di descrivere, correttamente e con dovizia di particolari, le emozioni e le intenzioni altrui, tuttavia non sanno agire sulla base di queste conoscenze e restano rigidamente attaccati alle norme e alle convenzioni sociali. Rispetto alla ristrettezza di interessi e attività, il criterio è lo stesso del disturbo autistico, ma non sono presenti manierismi motori e particolare interesse per parti di oggetti. Sono invece presenti singolari isole di abilità, che possono essere coltivate così assiduamente da ignorare o impedire lo sviluppo di altre. Dal punto di vista motorio, sono soggetti goffi, con deficit significativi delle abilità visuopercettive. Infine, il livello cognitivo risulta nella norma, anche se con significativa prevalenza del quoziente intellettivo verbale su quello di performance. Disturbo disintegrativo della fanciullezza. Descritto per la prima volta da Theodore Heller, un educatore viennese, nel 1908, questo disturbo ha come caratteristica fondamentale la modalità di insorgenza: lo sviluppo è apparentemente normale fino ai 2 anni di età, come manifestato da comunicazione verbale e non verbale, e da relazioni sociali e abilità ludiche adeguate all’età. Intorno ai 2 anni si verifica un arresto, con regressione delle abilità precedentemente acquisite, e si presentano le caratteristiche tipiche del disturbo autistico. La diagnosi differenziale fra i due sottotipi non è sempre netta. Il declino del funzionamento progredisce fino a manifestazioni tipo demenza, come la perdita del controllo degli sfinteri.
Non sono stati ancora definiti i criteri diagnostici di inclusione per questo sottotipo, pertanto si tratta essenzialmente di una diagnosi per esclusione. È possibile utilizzare questa definizione quando sono presenti menomazioni dell’interazione sociale e della comunicazione, con un repertorio ristretto di interessi e attività, ma non risultano soddisfatti i criteri per nessuno dei precedenti disturbi generalizzati dello sviluppo.