Distribuzione
La d., o noleggio, è il settore dell'attività cinematografica che si pone tra la produzione (v.) e l'esercizio (v. impresa) per favorire la diffusione commerciale dei film alle migliori condizioni possibili di rendimento economico. L'originaria tipologia di contratto che regola la catena produzione-distribuzione-esercizio è rimasta sostanzialmente invariata. Le produzioni più importanti tendono a coprire tutto il territorio con agenzie dirette o in concessione, cui affidano in esclusiva il mandato di d. dei film per un determinato territorio e per un certo periodo di tempo. Il distributore o noleggiatore, come viene anche correntemente definito, pianifica i passaggi del film nella sua area di competenza contrattando con gli esercenti e istituendo una graduatoria d'importanza tra le 'visioni', dalla 'prima' al 'mercato di profondità'. A tutela del prodotto si tende a controllarne globalmente la circolazione, sia imponendo contratti 'a traino', ovvero obbligando l'esercente a programmare diversi titoli della stessa casa di produzione, o di cui si detengono i diritti di distribuzione, per ottenere così almeno un film che si presume di grande successo, sia istituendo un pagamento a percentuale sugli incassi, reso progressivamente efficace da accordi con le società degli autori (come la SIAE, Società Italiana Autori Editori) per il controllo rigido della biglietteria. Questo meccanismo a cascata rende il noleggio lo snodo centrale del mercato, perché controlla il flusso monetario liquido che risponde alle esigenze della produzione, e perché spesso, soprattutto in cinematografie a debole intensità di capitale fisso, come quella italiana, contribuisce alla stessa produzione dei film con 'anticipi', che sono stati poi sostituiti o integrati, a partire dagli anni Settanta-Ottanta, dalla vendita dei diritti d'antenna alle televisioni.
Alle origini dell'industria cinematografica si trattava innanzitutto di individuare con esattezza quale fosse il prodotto principale da distribuire sul mercato: la macchina o la pellicola impressionata, il dispositivo di proiezione, i film o addirittura, come nel caso della fotografia, la pellicola vergine per cineoperatori dilettanti. La decisione fu presa dal mercato: il pubblico pagava per vedere le immagini in movimento, e dunque bisognava fornirgliene sempre di nuove. Dopo una fase 'industrialista', negli Stati Uniti Thomas A. Edison colse meglio le potenzialità del cinema ‒ a metà strada tra il teatro, che fa pagare a tutti gli spettatori un biglietto per ogni rappresentazione, e l'industria della fotografia, che dopo aver venduto a singoli clienti una macchina li vincola attraverso l'acquisto di pellicole e servizi di sviluppo e stampa ‒ e già nel 1894 creò una rete di concessionari locali che aprirono kinetoscope parlors, prima a New York e in altre località degli Stati Uniti, subito dopo a Londra e Parigi, e contestualmente li rifornì di pellicole impressionate, al costo medio di 13 dollari per circa 15 metri. L'industria del cinema allo stato nascente concentrò ancora nelle stesse mani produzione e d. di macchine e di opere, di strumenti e di servizi, anticipando una dicotomia che si sarebbe riproposta con la stessa dinamica, circa ottant'anni dopo, con la diffusione dell'industria informatica e la diversificazione produttiva tra hardware e software, con il prevalere della progettazione di programmi sulla fabbricazione delle macchine. Il destino della fabbricazione di macchine e quello della produzione di opere si separarono nettamente molto presto, anche quando, come nel caso di Edison, si trattava della stessa proprietà finanziaria. Gli apparecchi da ripresa o da proiezione furono messi in libera vendita, perché soltanto la loro diffusione poteva creare le condizioni per la popolarità delle fotografie animate. Lo sviluppo di una molteplicità di produttori, in feroce concorrenza tra loro, rese evidente che la chiave di volta per il successo del nuovo spettacolo poggiava sulla disponibilità di una buona rete di d. ed esercizio.
Prima del 1900, mutò l'assetto della nuova 'economia cinematografica': mentre all'inizio i fabbricanti di apparecchi erano obbligati a realizzare film per alimentare il circuito dei loro clienti, già con il 1898 si affermarono i primi produttori autonomi di film, nacquero sale da proiezione con spettacoli continuativi su base quotidiana, e in Inghilterra l'agenzia Walker & Turner per la prima volta prese a noleggiare, ma non a vendere, ai clienti produzioni Edison e Lumière. Il modello distributivo in seguito divenuto dominante, basato sulla vendita delle macchine e sull'affitto delle pellicole, cominciò a diffondersi rapidamente. Esso implicava l'ammortamento immediato dell'industria manifatturiera e lo sfruttamento diluito nel tempo del diritto del produttore (e in seguito dell'autore). Mentre la produzione tendeva a concentrarsi in poche mani, l'esercizio si distribuì capillarmente sul territorio, rendendo necessaria la figura di un intermediario, il distributore, che iniziò a imporsi negli Stati Uniti dopo il 1902 e in Francia nel 1905. Ma la proliferazione dei cinematografi sia ambulanti sia fissi rendeva ingestibile il sistema della vendita diretta dei film: gli spettatori, divenuti sempre più esigenti, pretendevano infatti film one reel, cioè della lunghezza di circa 300 metri per una durata vicina ai 10 minuti, di acquisto troppo oneroso per un singolo esercente, perché lo avrebbe costretto ad ammortizzarlo in un arco prolungato di proiezioni, disincentivando così la clientela più assidua.
La rete di d. divenne subito l'indicatore più evidente della penetrazione di mercato. La prima grande multinazionale fu la Pathé Frères, con agenzie a Londra, Berlino, Mosca e San Pietroburgo, Bruxelles, Amsterdam, Barcellona, Milano, Varsavia, Calcutta, Singapore, e una forte presenza nel mercato americano. Nel 1907 l'ambizione monopolistica spinse Charles Pathé a tentare quello che all'epoca gli esercenti francesi definirono un 'colpo di stato': cessare la libera vendita delle sue pellicole affidandole a cinque agenti esclusivisti. Un analogo tentativo di monopolio si ripeté l'anno successivo negli Stati Uniti con la costituzione di un trust di produttori (che comprendeva la stessa Pathé) e lo scoppio di una guerra commerciale con i distributori e gli esercenti, che da un lato tentavano di approvvigionarsi di film sul mercato internazionale, e dall'altro si consorziarono per entrare direttamente nella produzione. Si istituì così, fin da subito, una dialettica tra concentrazioni monopolistiche e imprese indipendenti che tuttora contrassegna l'economia dell'audiovisivo. Grandi conglomerati nacquero per controllare 'verticalmente' fette imponenti del mercato concentrando produzione, d. ed esercizio. Come, per es., l'alleanza tra Marcus Loew e Adolph Zukor, che nel 1910 riunirono il più forte circuito di esercizio cinematografico, la Loew's Theatrical Enterprises. Nel 1916 la società si fuse con la Jesse L. Lasky Feature Play, fondata nel 1913 da Cecil B. DeMille, Lasky e Samuel Goldfish (poi divenuto Sam Goldwyn) assumendo il nome di Famous Players-Lasky Corporation e incorporando due grandi distribuzioni, la Artcraft Pictures Corporation e la Paramount Pictures Corporation. Unificati i settori di produzione e noleggio, la nuova ragione sociale assunse nel 1927 il nome di Paramount-Famous Lasky Corporation, per diventare Paramount Pictures, Inc. nel 1935. La Famous Players-Lasky, tra l'altro, introdusse per la prima volta il pagamento a percentuale dei film noleggiati da parte degli esercenti, che da allora costituisce la forma contrattuale standardizzata nel cinema, non soltanto per il noleggio ma spesso anche per la retribuzione degli attori e del cast artistico. Queste concentrazioni verticali entrarono in continuo conflitto con la legislazione antitrust degli Stati Uniti, mentre le case di produzione, per razionalizzare in particolar modo la penetrazione commerciale all'estero, con il tempo finirono per consorziarsi, affidando la d. a società specializzate, come la Cinema International Corporation (CIC) nata nel 1970 da Paramount e Universal, poi trasformata in UIP (United International Pictures) con l'inglobamento di United Artists e Metro Goldwyn Mayer.
In Italia, in parallelo con l'affermarsi della produzione a Roma, Torino, Napoli, Milano, le più importanti case aprirono agenzie regionali, affiancando spesso ai propri film la d. di società straniere, come la Itala Film di Giovanni Pastrone che si assicurò l'esclusiva della Bison di Thomas Ince e della Triangle. Il noleggio si affermò a partire dal 1909, e fin dall'anno successivo i produttori posero il problema della velocità di rientro dei capitali investiti, sollecitando il pagamento delle copie entro 15 giorni dalla consegna (agli inizi del 21° sec. gli esercenti sono tenuti a pagare le percentuali di noleggio sugli incassi entro 21 giorni dalla programmazione, a conferma della stabilità dei meccanismi fondamentali dell'economia cinematografica). Fino allo scoppio della Prima guerra mondiale le case di produzione italiane mantennero in molti Paesi del mondo una capillare rete distributiva, che dopo il 1917 finì tuttavia per capitolare alla concorrenza statunitense. Nel primo dopoguerra il cinema italiano tentò di uscire dalle difficoltà dandosi una dimensione nazionale con il consorzio UCI (Unione Cinematografica Italiana), fallito tuttavia già nel 1923 a beneficio di un'originale figura di imprenditore genovese, Stefano Pittaluga, che dominò il cinema italiano fino alla morte prematura nel 1931. Con l'introduzione del sonoro, il governo Mussolini guardò con sempre maggiore attenzione all'"arma più forte" (il cinema) e, su sollecitazione dei produttori, la l. 18 giugno 1931 nr. 918 fissò criteri d'intervento pubblico nel cinema che, sostanzialmente, sono rimasti immutati fino agli anni Novanta: lo Stato 'ristorna' una parte dei proventi dell'imposta sugli spettacoli cinematografici (istituita nel 1924 e abolita nel 2000) sui film nazionali dotati "di sufficiente dignità artistica" in percentuale sugli incassi. La d. del cinema italiano si scontrò subito con la concorrenza, soprattutto statunitense, e già il r.d.l. 5 ott. 1933 nr. 1414 istituì una tassazione sui film stranieri importati, accordando ai produttori tre 'buoni di doppiaggio' per ogni film italiano realizzato, e perfezionò il regime della 'programmazione obbligatoria', prevedendo quote di cinema italiano per ogni sala cinematografica in percentuale sul totale dei film programmati; un sistema questo che sarebbe rimasto in vigore, tra alterne vicende, fino agli anni Novanta. Nello stesso periodo del r.d.l. la Scalera Film rilevò gli stabilimenti romani della Caesar Film e costituì una rete di dodici agenzie regionali di noleggio, inaugurando una compartimentazione del mercato italiano che rimase invariata per mezzo secolo (mentre, per es., la d. francese si concentrava progressivamente in sole tre città: Parigi, Marsiglia e Lione), finché la progressiva contrazione degli incassi portò all'accorpamento interregionale degli agenti in vista di una tendenziale concentrazione tra Roma e Milano. Sempre per difendere il prodotto italiano, nel 1934 si stipulò l'accordo italo-americano tra G. Ciano, allora sottosegretario per la Stampa e propaganda, e W.H. Hays, presidente della Motion Picture Producers and Distributors of America, accordo che limitava i film americani distribuiti a 250 l'anno; ma nel 1938 il ministro della Cultura popolare Dino Alfieri istituì il monopolio per l'acquisizione, l'importazione e la d. dei film provenienti dall'estero, causando il ritiro delle majors MGM, 20th Century-Fox, Warner e Paramount dal mercato italiano a partire dal 1° gennaio 1939. Il risultato fu quello di aumentare la quota di mercato del cinema italiano dal 13,7% del 1938 al 35,1 del 1939: dai 45 film distribuiti nel 1938 si passò ai 96 del 1942, e gli incassi salirono da 75 a 350 milioni di lire. Lo stesso percorso di nazionalizzazione della d. avvenne in Germania nel 1941, con il predominio dell'UFA. Nel dopoguerra, invece, la libera circolazione dei film statunitensi fu prevista dal trattato di pace e sostenuta dall'apertura di filiali delle principali case hollywoodiane fin dal 1945.
Per tutto il secondo dopoguerra il mercato italiano, e quello europeo in genere, si divisero sul problema della d. del cinema statunitense: i produttori ‒ spesso appoggiati da leggi dello Stato ‒ chiedevano quote obbligatorie di film nazionali e gli esercenti, forti del favore del pubblico, premevano per la libera circolazione di prodotti americani. Una delle soluzioni individuate da diversi Paesi europei, tra cui l'Italia con la 'legge Andreotti' (l. 29 dic. 1949 nr. 958), per fronteggiare la forza di penetrazione commerciale di Hollywood fu il 'congelamento' di una parte dei proventi della d., con l'obbligo di investirli nel cinema nazionale. Derivarono da qui le runaway productions, cioè i film hollywoodiani realizzati a Cinecittà (a partire da Quo vadis, 1951, Quo vadis? di Mervyn LeRoy), che contribuirono a sviluppare la capacità produttiva degli studi italiani. Tra il 1950 e il 1980 furono distribuiti complessivamente in Italia circa 500 titoli l'anno (465 nel 1950, 654 nel 1954, 541 nel 1980), che divennero 350/400 nel ventennio successivo. I film italiani, partiti dal 20% circa del 1945, toccarono il 50% del totale tra il 1960 e il 1980, per ritornare progressivamente al 20% del 2001. Nel 1958-59, per es., quando entrò in vigore il Controlcine, monitoraggio degli incassi delle prime visioni delle dodici città capozona, in Italia erano attive sette d. americane (Ceiad, Columbia, MGM, Dear, Paramount, Fox, Warner); la Rank Film inglese; tre società italiane con agenzie in tutte le regioni (Titanus, Lux Film e Cineriz) e altre nove che si appoggiavano a noleggiatori locali: Atlantis-film, Cei-Incom, Cino Del Duca Films e Dino De Laurentiis Cinematografica, che distribuiva le proprie produzioni; Euro International Films, che toccò il momento di maggior successo alla fine degli anni Sessanta con film come Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto (1970) di Elio Petri; Globe Films International, forse la prima 'distribuzione di qualità' con film di Kurosawa Akira e Ingmar Bergman; INDIEF (Internazionale Nembo Distribuzione Importazione Esportazione Film); Metropolis Film e Variety Film. Nei decenni successivi si assistette a una progressiva concentrazione dei marchi statunitensi, seguendo le logiche del riassetto produttivo e degli intrecci tra cinema, media e finanza in atto a Hollywood, prima con la creazione della CIC, poi con l'apertura di agenzie dirette della Buena Vista nonché, dopo il 2000, della Miramax. Le successive crisi del cinema impedirono il vero consolidamento di una struttura distributiva nazionale. La Lux Film fu la prima a uscire dal mercato, la Titanus e la Cineriz ressero fino agli anni Settanta, mentre sul mercato si affacciavano le prime d. d'essai (Academy Pictures, Mikado Film, Bim Distribuzione, Lucky Red). Con gli anni Ottanta e Novanta, anche in Italia si sono affermate, tra alterne vicende, società integrate che hanno tentato di controllare verticalmente il ciclo produzione-distribuzione-esercizio per meglio competere con gli Stati Uniti, come la Filmauro di Aurelio De Laurentiis, la Medusa Film del gruppo televisivo Mediaset, la Cecchi Gori, travolta nel 2002 dalla crisi del gruppo, che comprendeva, tra l'altro, l'emittente televisiva Telemontecarlo, ceduta nel 2000 alla Telecom, società di gestione di telefonia.
L. Quaglietti, Storia economico-politica del cinema italiano, 1945-1980, Roma 1980.
Ch. Wagstaff, Il nuovo mercato del cinema, in Storia del cinema mondiale, a cura di G.P. Brunetta, 1° vol., L'Europa. Miti, luoghi, divi, Torino 1999, pp. 847-93.