DISTICO (dal gr. δίς "due volte" e στίχος "verso")
È propriamente qualunque strofa composta di due versi, come le più delle archilochee (v. archiloco); p. es. trimetro + dimetro, trimetro + hemiepes. Ora s'intende con tale nome il distico elegiaco, cioè la strofa composta di esametro + il cosiddetto pentametro. Gli antichi invece parlavano per lo più di ἐλεγεῖον (ᾆσμα) o di ἐλεγεία (ῳδή), facendo uso di un termine derivato secondo ogni probabilità dal cario (v. elegia). Esempî del nome occorrono già in periodo attico, mentre δίστιχον (sottintendi ᾆσμα "carme di due righe") non sembra trovarsi prima dell'età ellenistica. Tuttavia le condizioni che questa denominazione presuppone sono più antiche, ché già prima, mentre le altre strofe sono scritte di seguito, si suole nel distico per lo più andare a capo dopo ogni esametro e ogni pentametro. Il distico è essenzialmente recitativo, se pure poté essere talvolta accompagnato dal flauto. Esso ha dato il nome all'elegia, ed è, nonostante eccezioni, il verso tipico dell'epigramma. Il più antico esempio è per noi l'elegia di Callino (circa 670), ma essa suppone una tradizione più antica. È stato imitato in latino, come l'esametro, già da Ennio, ed è sopravvissuto nelle esercitazioni metriche del Medioevo, del Rinascimento, dell'età moderna.
Per l'esametro, v. questa voce. Quanto al pentametro, esso risulta di due hemiepes (v. dattilici, versi) separati da dieresi, dunque -́ -̮-̮ -́ -̮-̮ -́, -́ ⌣⌣ -́ ⌣⌣ -́. Per la seconda metà del pentametro è caratteristico che la tesi non può essere costituita da una lunga (le "eccezioni", solo in cattivi carmi epigrafici, sono veri errori). Già dallo schema è evidente che il pentametro consta non già di cinque, ma di sei dattili, o meglio di due trimetri catalettici. Chi ha chiamato il pentametro così, ha forse sommato meccanicamente le due lunghe delle catalessi, ottenendo così un quinto piede: il più antico testimone è per noi Ermesianatte (v.).
La dieresi non ammette né sillaba ancipite né iato, consente elisione.Nel pentametro greco è evitata dinnanzi a dieresi parola monosillabica o giambica, con particolare severità dal periodo ellenistico in poi. Nel pentametro latino sono evitati del pari monosillabo e parola giambica dinnanzi alla dieresi. L'elisione in questo punto, libera dapprima, viene sempre più limitata (i poeti cristiani trattano talvolta la dieresi come fin di verso, ammettono cioè iato e sillaba ancipite). Tibullo e Ovidio chiudono regolarmente il pentametro con bisillabo; questa tecnica pare in essi derivata da versificatori greci contemporanei.
Bibl.: W. Christ, Metrik der Griechen und Römer, 2ª ed., Lipsia 1879, pagina 206 segg.; F. Zambaldi, Metrica greca e latina, Torino 1882, p. 246 segg.; O. Schröder, Nomenclator metricus, Heidelberg 1929, p. 22; id., Grundriss der griechischen Versgeschichte, Heidelberg 1930, pp. 24, 50 segg.; U. v. Wilamowitz, Griech. Verskunst, Berlino 1921, p. 101. - Per le osservanze ellenistiche nel pentametro, W. Meyer aus Speyer, in Münchner Sitzungsberichte, 1884, p. 980 segg. Per il nome pentametro, G. Vitelli, in Studi it. di fil. class., XVIII (1910), p. 170; testimonianze nel nuovo Callimaco (ed. Pfeiffer, Bonn 1923), fr. 9, v. 313, 366. Sul pentametro latino: F. Vollmer, Röm Metrik, Lipsia 1923, p. 14; W. Meyer, op. cit., pp. 1032, 1042 segg.; U. v. Wilamowitz, op. cit., p. 52.