dispotismo
Potere politico assoluto e arbitrario
Il dispotismo (dal greco despòtes, "padrone della casa") è un regime politico autoritario, in cui il detentore del potere ha con i sudditi lo stesso rapporto che il padrone ha con gli schiavi. Nel linguaggio politico moderno il termine è usato polemicamente per indicare un potere assoluto e arbitrario, privo cioè di limiti e dipendente esclusivamente dalla volontà del despota. Viene anche usato come sinonimo di tirannide o dittatura, sebbene tale uso sia impreciso
Il concetto di dispotismo, nel suo significato specifico, nasce nella teoria politica greca. Il filosofo Aristotele lo definiva un potere ereditario legittimo (diversamente dalla tirannide), ma tipico dei soli paesi asiatici, dove le popolazioni, essendo "barbare", sono "naturalmente servili", incapaci di governarsi da sé, e si prestano a essere governate secondo le modalità di comando tipiche del padrone sugli schiavi.
Questa definizione di dispotismo, come rapporto tra governante e governati simile al rapporto tra padrone e schiavi, restò sostanzialmente invariata fino al Settecento, quando, soprattutto nell'ambito culturale francese, il concetto ebbe la massima diffusione e assunse anche altri significati.
Oltre al significato tradizionale, il dispotismo assunse nel 18° secolo anche un significato polemico nei confronti della realtà europea contemporanea. Per Montesquieu (vissuto tra la fine del 17° secolo e la prima metà del 18°) il governo dispotico era quello di uno solo, senza legge né regola, fondato sulla paura dei sudditi verso il despota e caratteristico delle vaste monarchie asiatiche (il modello del "dispotismo orientale" era per lui l'Impero cinese). Ma egli utilizzava il concetto di dispotismo anche per criticare le tendenze assolutistiche della monarchia (soprattutto quella francese), contro le quali teorizzava ‒ al fine di garantire la libertà ‒ la divisione dei tre poteri dello Stato, legislativo, esecutivo e giudiziario.
Il successivo pensiero illuministico utilizzò il termine dispotismo con due significati opposti. Anzitutto come dispotismo illuminato, cioè guidato dalla ragione: esso indicava un monarca dotato di poteri assoluti, ma al fine di promuovere il benessere dei sudditi. Despoti illuminati come Maria Teresa d'Austria, Federico II di Prussia e Caterina II di Russia avviarono progetti di riforme, soprattutto amministrative e fiscali, che avevano in realtà lo scopo di rafforzare lo Stato, concentrando l'autorità nelle mani del sovrano e del suo apparato burocratico. In secondo luogo, il dispotismo fu inteso come antico regime, ossia come assetto di potere ingiusto che negava le libertà politiche e civili degli individui. L'abbattimento di tale regime dispotico, con tutti i suoi retaggi ancora feudali, fu l'obiettivo principale dei rivoluzionari francesi.
Nell'Ottocento fu individuata una nuova specie di dispotismo nella degenerazione delle democrazie in un conformismo massificato, nella progressiva riduzione delle libertà individuali e nella violazione dei diritti delle minoranze, se non opportunamente tutelate.
Nel 20° secolo il termine dispotismo è stato sostituito da quello di totalitarismo, per indicare le forme di governo (nazismo, fascismo, comunismo sovietico) in cui i cittadini sono privati di libertà e diritti da un potere totale.
Riprendendo però le teorie di Karl Marx circa la dipendenza delle istituzioni politiche dai modi di produzione economica, alla fine degli anni Cinquanta è stato riproposto il termine di dispotismo orientale per regimi, come quello cinese, che si servono di potenti apparati burocratici per rispondere alla necessità di regolamentare l'irrigazione per le colture nelle grandi pianure asiatiche: questa forma di monopolio dell'organizzazione burocratica, applicata alle società industriali, costituisce una grave minaccia alla libertà.