DISPERATA
Nella poesia popolare è (come la mattinata e la serenata) una delle specie del rispetto (v.), in cui l'amante tradito o comunque sfortunato sfoga il suo corruccio. Fuori della poesia popolare la disperata non ha una forma metrica fissa, ma assume variamente quella della canzone o del capitolo ternario, e talvolta anche del sonetto, della frottola e dello strambotto.
Se ne hanno esempî fin dal sec. XIV. Alcuni sono fredde esercitazioni su un motivo tradizionale, altri sfogo spontaneo e sincero di cuore esacerbato, come il sonetto di Cino da Pistoia, Dante l'ò preso l'abito di doglia; quello famosissimo S'io fossi fuoco, arderei lo mondo di Cecco Angiolieri; alcuni componimenti di vario metro di Antonio da Ferrara, e, per citare un esempio dei più tardi, il sonetto del Tassoni, Parenti miei, s'alcun ve n'è restato. La maggior fioritura di disperate fu nei secoli XV e XVI, nei quali ne composero Simone Serdini, Leonardo Giustiniani, Antonio Cammelli, Antonio da Bacchereto, Andrea Calmo, Bartolomeo Cavassico e altri. La violenza di alcuni di questi componimenti provocò le controdisperate, contenenti benedizioni ed elogi, come quella di Antonio Salvazo di Mazorbo, che è un inno alla Vergine in risposta a una disperata del Cammelli. Fra i poeti moderni una disperata, nel metro del rispetto, scrisse il Carducci.
Bibl.: V. Cian, Le Rime di B. Cavassico, Bologna 1893, I, pp. lxxxvii-xciii; F. Flamini, La lirica toscana del Rinascimento anteriore ai tempi del Magnifico, Pisa 1891, pp. 532-33; id., in Rassegna bibl. della lett. ital., II, pp. 303-04; E. Levi, Il Canzoniere di Antonio da Ferrara, in Archivio storico italiano, dispense 3ª-4ª (1917); G. Volpi, La vita e le opere di Simone Serdini, in Giorn. stor. della lett. ital., XV, p. 73; E. Pércopo, Una "Disperata" famosa, in Raccolta di studi critici dedicata ad A. D'Ancona, Firenze 1901, pp. 701-707; A. D'Ancona, La poesia popolare italiana, Livorno 1906; la Disperata del Carducci è fra le Rime nuove.