disonore (disnore; desinore nel Fiore, in rima)
Ricorre, in rima, in Vn XII 11 14 leggeramente ti faria disnore, e Rime dubbie X 13 come colei che sil pone in disnore; inoltre in Cv IV XIX 10 la paura del disnore ricevere per la colpa, e XXIX 6 non onore, ma disonore dee ricevere: le relazioni con amore e core, frequenti con ‛ onore ' (v.), qui risultano costanti. La forma non sincopata è accolta dagli editori solo nell'ultima occorrenza, in coincidenza forse non casuale con la contrapposizione diretta della parola al termine originario.
Le accezioni di d. corrispondono, alla rovescia, con alcune di quelle che si registrano per ‛ onore '. Così in Vn XII 11 14 ‛ fare d. ' significa " accogliere male, con ostilità ": il poeta teme che le sue parole corrano il rischio - pericolo, dirà nel commento in prosa - di frantumarsi dinanzi allo sdegno di Beatrice (ed è una trepidazione che percorre tutto il componimento, forse l'unica sua nota sincera; se ne sente l'eco, non soltanto per la rima, fino al verso conclusivo: movi in quel punto che tu n'aggie onore). In Rime dubbie X 13 l'autore (D. stesso o, più probabilmente, Cino) afferma che il suo amore è considerato dalla donna vituperoso per lei, e similmente una " cattiva reputazione " è quella che si teme di ricevere (Cv IV XIX 10) per le proprie colpe. Infine il d. di Cv IV XXIX 6 è antitetico all'onore (tributo di privilegi e di stima), che ingiustamente pretendono per sé i discendenti degeneri di casate illustri.
La forma ‛ desinore ' appare in Fiore CXLVIII 7 Usanza me n'ha fatta sì savietta, / ched i' non dotterei nessun lettore / che di ciò mi facesse desinore, / ma' ched i' fosse bella e giovanetta. Si tratta di una variante di ‛ disonore ', ricavata probabilmente da ‛ disinore ', con sostituzione della forma des- a quella dis- del prefisso, la quale è documentata anche in Guittone (Deo, che mal aggia 14). L'espressione ‛ fare d. ' ha qui il senso di " disonorare ", " danneggiare la fama o la reputazione di qualcuno ".