disonesto
Strazio disonesto chiama il suicida fiorentino lo scempio fatto da Giacomo da Sant'Andrea e dalle nere cagne al suo corpo vegetale (If XIII 140): non è da escludersi una suggestione virgiliana (Aen. VI 497 " truncas inhonesto vulnere naris "), supposta dagl'interpreti dal Moore in poi (cfr. per es. F. Ageno, Per una semantica dei virgilianismi, in " Lingua Nostra " XI [1950] 82); ma il senso nuovo che si avverte in D. nasce dal fatto che l'impressione affidata all'aggettivo appartiene al dannato stesso, e non a uno spettatore, e riguarda un corpo inferiore, innaturale per un uomo: oltre che dolore, il suicida esprime preoccupazione per la composta integrità del cespuglio, nel quale ormai vive, e un forte attaccamento a esso (e così nelle parole seguenti: le mie fronde sì da me disgiunte, / raccoglietele al piè del tristo cesto). Il concetto di ‛ onesto ', come " dignitosamente decoroso ", così proprio di D., è qui stravolto in tutti i sensi (v. appunto ONESTO; ONESTÀ).
Minor rilievo ha l'aggettivo negli altri passi: con disonesta, contrapposto a pura, Adamo definisce la vita contaminata dal peccato originale, da lui trascorsa nel Paradiso terrestre (Pd XXVI 140); in Cv IV XXV 9 disoneste, cioè moralmente condannabili, sono le cose, le dimande, le cupiditati, che il pudore contribuisce a far evitare o a contenere.
In ambedue le occorrenze nel verso l'aggettivo è in rima.