disequilibrio macroeconomico
Fenomeno che riguarda i processi di allocazione delle risorse economiche (fattori produttivi, beni e servizi finali prodotti), che si svolgono attraverso il libero gioco della domanda e dell’offerta, guidato da prezzi non controllati o prefissati da un’autorità esterna al mercato. Il d. è un concetto complementare a quello di equilibrio (➔ equilibrio competitivo; equilibrio non competitivo).
Prendendo a riferimento l’accezione di equilibrio di origine walrasiana (➔ Walras, Leon; Walras, legge di), si ha d. in un mercato, o più mercati, in presenza di violazioni della legge del prezzo unico: per es., lo stesso bene ha un prezzo diverso in relazione ai soggetti o alla località della compravendita. Si ha d., inoltre, in presenza di eccessi di domanda e offerta: al prezzo vigente in un dato momento, la quantità domandata e offerta totale del bene non sono uguali. Altro caso di d. si ha con l’inefficienza allocativa: al prezzo vigente, uno o più operatori non sono in grado di realizzare il proprio piano ottimale di acquisto e di vendita del bene.
Entro questo schema, gli studi del d. possono essere distinti in due principali filoni: quelli dinamici, o dei processi fuori dall’equilibrio, e quelli statici, o del razionamento. Il primo indirizzo di studi risale alle origini stesse della teoria dei mercati nel 19° sec. e s’intreccia con lo sviluppo delle nozioni di equilibrio parziale (A. Marshall) e di equilibrio generale (Walras; da F.Y. Edgeworth a A. Cournot). Questi studiosi si preoccupano di comprendere se esistano forze spontanee, cioè guidate dalla mano invisibile (➔) smithiana, in grado di far sì che un mercato, o tutti i mercati simultaneamente, raggiungano lo stato di equilibrio, partendo da uno stato di disequilibrio, per es. ipotizzando che un eccesso di domanda provochi un aumento del prezzo, e un eccesso di offerta una sua diminuzione. Nella letteratura successiva viene introdotta la distinzione tra lo studio delle condizioni di esistenza dell’equilibrio e quello delle condizioni di convergenza verso l’equilibrio. Se sul primo fronte si ritiene definitivamente acquisita la prova di esistenza dell’equilibrio generale, fornita da J.K. Arrow e G. Debreu negli anni 1950, sul secondo non sono stati raggiunti risultati né definitivi né unanimi.
Il d. entra sulla scena della macroeconomia con The general theory of employment, interest and money di J.M. Keynes (1936), che introduce il cosiddetto equilibrio di sottoccupazione (underemployment equilibrium). La disoccupazione (➔ p) è un eccesso di offerta di lavoro, e quindi si presenta come d. sul mercato del lavoro, ma non ci sono forze spontanee di mercato in grado di modificare tale situazione. Così, Keynes introduce una nuova accezione di d., a cui s’ispirerà, a partire dagli anni 1970, un importante filone di studi, sia micro sia macroeconomici. Nel linguaggio moderno, si parla di allocazioni inefficienti o di razionamento (➔); nel caso di Keynes, i lavoratori sono razionati nel senso che non riescono a vendere tutti i servizi del lavoro che desiderano. Gli studi in questo campo provengono sia dalla scuola francese (E. Malinvaud, J. Drèze, J.P. Benassy, J.M. Grandmont) sia da quella statunitense (il cui fondatore è stato R.W. Clower). Una seconda corrente di studi analizza, a livello microeconomico, le ragioni per cui il razionamento non viene corretto spontaneamente: come quando, in presenza di un eccesso di offerta di lavoro, il salario non scende. La ricerca (G. Akerlof, J.E. Stiglitz) ha messo in luce come tali fenomeni possano derivare da decisioni individualmente razionali, ma con esiti socialmente inefficienti. Questi risultati, negli anni 1990, hanno portato all’affermazione di una nuova scuola macroeconomica, la nuova macroeconomia keynesiana.