Disegno
(XIII, p. 9; App. V, i, p. 843)
Nell'articolata analisi del d. - procedimento ed espressione artistica autonoma o funzionale alla realizzazione di un'opera di pittura, scultura o architettura - svolta nell'Enciclopedia Italiana, si individuano già le specificità tecnico-teoriche e la complessità classificatoria del d. architettonico, al quale viene dedicata una trattazione autonoma all'interno della voce. Oltre a lemmi dedicati a fondamentali strumenti di rappresentazione grafica utilizzati nel d., come descrittiva, geometria (XII, p. 667) e prospettiva (XXVIII, p. 350), nell'Enciclopedia si trovano descrizioni di procedimenti ed espedienti connessi in particolare al d. nelle arti figurative (rete: Disegno, XXIX, p. 141; scorcio, XXXI, p. 208) o voci relative a elaborati grafici che rientrano nell'ambito del d. architettonico (pianta: Architettura, XXVII, p. 128; sezione, XXXI, p. 560). Le valenze polisemiche del termine disegno in campo architettonico, in particolare l'accezione disegno/progetto/progettazione, sono state approfondite nell'aggiornamento dell'App. V, che esamina, tra l'altro, i distinti significati di d. architettonico e d. di architettura. Per una più ampia analisi relativa all'applicazione delle tecnologie avanzate nella progettazione, analisi svolta in questa voce per quanto attiene al d. architettonico, si rimanda a progettazione: Progettazione assistita dal computer, in questa Appendice. *
Disegno architettonico
di Livio Sacchi
Il d. ha sempre occupato una posizione di assoluta centralità nella preparazione, nella pratica professionale e nell'attività di ricerca di ogni architetto. Il suo obiettivo principale è esprimere chiaramente e univocamente per mezzo di due sole dimensioni (quelle del piano della rappresentazione, coincidente con il foglio di carta sul quale si disegna) la tridimensionalità dello spazio architettonico. Se nel corso della sua storia esso ha attraversato fasi di alterna fortuna critica, negli ultimi decenni del Novecento ha goduto di rinnovato interesse per almeno tre ragioni. La prima è che il progetto architettonico, in ognuna delle sue molte accezioni, ha assunto importanza crescente. Il perfezionarsi dei livelli di specializzazione, le sempre maggiori complessità socio-economiche, l'esigenza di ottimizzare i rapporti fra costi e benefici hanno imposto livelli di progettualità gradualmente più sofisticati. E il progetto non è che una forma di rappresentazione dell'idea, un mezzo di prefigurazione, di simulazione della realtà futura: è quindi spesso considerato sinonimo di disegno. Quest'ultimo è, a sua volta, strumento fondamentale e ineliminabile dell'elaborazione progettuale. La seconda ragione è che la circolazione delle idee è, sempre di più, prevalentemente affidata alla circolazione delle immagini: si tratta di una generalissima forma di rappresentazione che tende appena a distinguere fra ciò che è e ciò che non è: è ciò che è rappresentato. L'importanza della rappresentazione architettonica è cresciuta in rapporto ai diversi fini specifici del suo consumo, pur all'interno della sua strumentalità rispetto alla progettazione dell'architettura e indipendentemente dal più o meno ampio riconoscimento del suo autonomo valore artistico. La terza è che la fine del secolo ha registrato una straordinaria svolta epocale, forse non meno significativa, per portata e conseguenze, di quella segnata dalla riscoperta rinascimentale della prospettiva. Ci si riferisce a quella vera e propria rivoluzione nella sfera del d. innescata dall'avvento dell'informatica, dalla diffusione del CAD (Computer Aided Design) e dalle possibilità offerte dalle applicazioni della realtà virtuale.
Il termine disegno vale in generale come rappresentazione grafica a carattere artistico o tecnico, ma anche come progetto di un'opera da costruire, come abbozzo preparatorio di un'opera d'arte, o ancora, in senso figurato, come schema o proposito. D. è sinonimo di immagine, rappresentazione, figurazione, ma anche di intenzione, proposito, proposta, idea e, come si è detto, progetto. Esso s'identifica con l'atto iniziale dell'operazione artistica, cioè quello propriamente ideativo. In tale concezione viene considerato il momento intellettualmente più elevato fra le varie fasi creative, assume valore concettuale, diventa teoria. D. come forma d'arte dunque, autonoma o no, ma anche come schema, progetto o idea.
Si tratta di un'ambiguità semantica riconosciuta sin dall'antichità, che trova significativa corrispondenza nelle due diverse parole in uso in alcune lingue moderne. In inglese, com'è noto, per indicare i due aspetti del concetto si usano i termini drawing e design. Drawing indica propriamente l'arte di rappresentare oggetti, scene o altro, per mezzo di linee, con matite, gesso ecc., o qualcosa di fatto in questo modo, come uno schizzo, una pianta, una veduta. Design contiene anche i significati di 'proposito', 'intenzione', 'piano mentale', 'disegno' o 'schema' da cui si può costruire qualcosa. Il primo termine è così da ascrivere all'area della figurazione, il secondo a quella della progettazione, dell'invenzione, dell'ideazione. Il corrispondente italiano 'disegno', che viene spesso relegato in una zona meramente tecnica o didattica, dev'essere dunque interpretato non soltanto come presentazione descrittiva di un oggetto per via di simboli (com'è il tradizionale disegno/drawing) ma anche come 'pensiero creativo', 'intenzione concreta di progetto'.
Sulla questione del giudizio estetico basti ricordare che, se il d. dei pittori e degli scultori ha valore artistico autonomo e costituisce di conseguenza oggetto di tale giudizio, ciò non è altrettanto evidente per il d. degli architetti. La causa di tali incertezze va ricercata in una serie di motivazioni diverse, prime fra le quali sono probabilmente il gran numero di grafici richiesti dal processo costruttivo dell'architettura, tutti per lo più di carattere tecnico e spesso non di mano dell'ideatore, e la spiccata strumentalità, a fini esecutivi, che li contraddistingue. Il d. architettonico vale infatti, soprattutto, come strumento di comunicazione a disposizione dell'architetto per trasmettere le proprie intenzioni progettuali.
I destinatari di tale linguaggio sono molti. Non diversamente dagli artisti in genere, l'architetto, disegnando, dialoga prima di tutto con se stesso. Nelle fasi iniziali del processo progettuale, in particolare, l'accumularsi degli schizzi sul tavolo costituisce la testimonianza del lavoro creativo svolto. L'architetto pensa disegnando e diffida spesso delle parole: le medesime parole possono riferirsi a una buona o a una cattiva architettura, sono uno strumento ambiguo e inadeguato. Ma il d. serve anche e soprattutto a comunicare con gli altri: con i committenti, ai quali vengono mostrati grafici facilmente decodificabili, atti a illustrare la qualità delle risposte fornite alle loro richieste; con gli esecutori, ai quali sono riservati d. tecnici, in scala, a mezzo dei quali l'architetto trasmette, con la maggiore precisione e oggettività possibile, quanto necessario perché il manufatto venga eseguito a regola d'arte; ma anche con un pubblico più vasto, quello costituito dagli altri architetti, dai critici, dagli storici dell'architettura, per i quali sono specificamente redatti i grafici destinati ai concorsi, alle mostre o alla pubblicazione su libri e riviste specializzate.
La funzione svolta dal d. è, per l'architetto, essenziale, e ciò vale non soltanto nei confronti di un edificio da realizzare. Persino per le architetture costruite, dove la fotografia sembrerebbe il mezzo più idoneo alla trasmissione di un'immagine, si assiste alla necessità di guardare con attenzione ai d., i soli in grado di restituire una sintesi non ingannevole delle qualità di un edificio. Lungi dal registrare in maniera passiva la realtà, il d. infatti seleziona e orienta le infinite informazioni presenti in un'architettura, costituendo uno strumento imprescindibile per la comprensione di un'opera: basti pensare al ruolo generativo delle piante e delle sezioni, veri e propri luoghi concettuali dell'architettura, che esprimono ciò che nessuna fotografia è in grado di rappresentare ed esistono soltanto nell'elaborazione grafica e progettuale della realtà architettonica. Inutile, infine, sottolineare l'importanza che assume il corretto padroneggiamento dei metodi, degli strumenti e delle tecniche grafiche: la loro insufficiente conoscenza può inficiare seriamente la qualità dell'architettura e costituire un ostacolo alla stessa formazione del pensiero architettonico.
Disegno di rilievo e disegno di progetto
Il d. architettonico è utilmente articolabile in due sottoinsiemi: il d. di rilievo e il d. di progetto. Il primo è un tipo di d. che procede dall'esistente, essendo caratterizzato da una dinamica che dalla realtà dell'edificio tende alle due dimensioni del foglio. Si tratta di uno strumento indispensabile alla conoscenza della storia e della tecnica dell'architettura, che ha oggi acquisito ulteriore importanza ai fini del recupero e del restauro di edifici o parti di città d'interesse storico. Il rilevamento architettonico s'identifica dunque, com'è noto, con quel lavoro di ricerca, analisi e interpretazione non solo di tutti i dati inerenti gli aspetti metrici, geometrici, proporzionali, spaziali e formali dell'edificio, con le relative implicazioni tecnologiche e costruttive, ma anche di quelli legati alla storia dell'edificio e all'uso che se ne è fatto e se ne fa. È poi didatticamente opportuno distinguere fra rilievo diretto (effettuato dall'operatore con l'ausilio di strumenti elementari), rilievo strumentale (effettuato con l'ausilio di strumenti topografici) e rilievo fotogrammetrico (effettuato con l'ausilio di macchine da presa e restitutori). Il d. di progetto invece non procede dall'esistente, ma precede la costruzione dell'architettura. È segnato in particolare dall'intenzionalità di pre-figurare ai fini della produzione architettonica ed è caratterizzato quindi da una dinamica che dalla bidimensionalità del foglio da d. tende all'organizzazione e al controllo spaziale dell'opera da costruire. Ma, a ben guardare e al di là di tali distinzioni, qualsiasi definizione del d. sembra implicare, in maniera più o meno esplicita, una forte tensione verso il progetto, dalla quale non è esente nemmeno il d. di rilievo. Il d. è strumento comunque indispensabile per progettare le trasformazioni dell'ambiente in cui viviamo. La rappresentazione grafica consente la costruzione di un modello analogico, riproduce un oggetto attraverso una sua simulazione ottenuta mediante un limitato numero di segni tracciati su di un piano. Il ruolo strumentale, comunicativo e analogico del d. rende così spesso difficile distinguere i suoi aspetti specificamente progettuali da quelli più genericamente rappresentativi, imitativi, interpretativi, conoscitivi. È appena il caso di ricordare che se in linea teorica un progetto non è necessariamente costituito da d. (è infatti ipotizzabile l'esclusivo ricorso a modelli tridimensionali), ciò non avviene nella normale pratica architettonica. Il d. resta dunque strumento fondamentale e ineliminabile dell'elaborazione progettuale: si configura come un'attività che rimanda ad altro, designa altre cose e varia al variare dei suoi interpreti. Va dunque legittimamente considerato come un linguaggio: una comunicazione attraverso segni che determinano un comportamento. Se riconosciamo la natura linguistica dell'architettura e ricordiamo la nozione di metalinguaggio, introdotta da Ch. Morris (1946), come linguaggio che significa nei confronti di un altro linguaggio, non possiamo non considerare il d. architettonico come un metalinguaggio rispetto al linguaggio dell'architettura, condividendone anche la funzione strumentale ed eteronoma. La sua mediazione rispetto all'architettura fa assumere al d. un ruolo per certi aspetti analogo a quello svolto dai tipi-ideali weberiani (Weber 1958) rispetto alla complessità del reale: lo rende insomma, come si è anticipato, strumento essenziale per la stessa conoscenza dell'architettura.
Il disegno architettonico contemporaneo
Il d. architettonico contemporaneo include le esperienze di elaborazione grafica che vanno dagli inizi del 20° sec. a oggi. L'uso dell'aggettivo contemporaneo si deve non solo al desiderio di ricondurre la periodizzazione del d. a quella di altri settori storici - che parlano di un'età antica, medievale, moderna e contemporanea - ma anche a un principio storiografico, quello della contemporaneità della storia, in base al quale ci si occupa di tale argomento sia, evidentemente, da una visuale critica odierna, sia perché si riconoscono in esso valori e interessi rispondenti alle esigenze di oggi: un d. architettonico utile dunque alla comprensione, alla graficizzazione e alla progettazione dell'architettura.
La produzione grafica del 20° sec. è stata percorsa da una costante tensione fra due opposte polarità: l'innovazione da una parte e la tradizione dall'altra. Ciò che si è verificato in ogni epoca storica ha assunto, nel caso in esame, sensi e connotazioni particolari. La linea innovativa ha ispirato il d. delle avanguardie storiche, del Movimento moderno e delle neoavanguardie della seconda metà del secolo, in più o meno aperta rottura con il passato. La linea tradizionale ha invece preferito la continuità alla rottura, ispirando tutto il d. storicista, più o meno accademicamente connotato, fino al nuovo classicismo di fine secolo. La fortuna storiografica della prima è stata di gran lunga maggiore, con il risultato di aver talvolta forzato al suo interno disegnatori spesso sconfinanti nella seconda; di averne ignorato altri, pur significativi; di aver fatto apparire il d. del classicismo postmoderno e dei diversi regionalismi come novità di fine secolo, perdendo di vista la loro sostanziale continuità con il passato. Ma si tratta di una fortuna critica largamente prevedibile. L'influenza esercitata dalla linea dell'innovazione è stata evidente, e altrettanto può dirsi, in particolare, per la sua più vistosa manifestazione: il d. delle avanguardie. A tale proposito è opportuno ricordare che lo stesso concetto di avanguardia, fondato sulla contestazione globale, andrebbe a rigore limitato alle sue sole manifestazioni metalinguistiche (teorie, progetti e, soprattutto, d.), essendo per loro natura quelle linguistiche (cioè le architetture vere e proprie) inevitabilmente compromesse dal rapporto con la pratica costruttiva e dalle limitazioni di ordine tecnico, economico, burocratico ecc. L'avanguardia è stata inoltre un fenomeno propriamente novecentesco, che non ha avuto riscontri in altri tempi: soltanto in essa è possibile cogliere lo Zeitgeist del 20° secolo. Per quanto riguarda invece il d. della linea della tradizione, va riconosciuto che esso è stato quantitativamente molto presente, se non in tutto, almeno in gran parte del secolo; che ha offerto non pochi esempi di elevata qualità; che la sua legittimazione storiografica, oltre a dilatare positivamente l'universo segnico della produzione contemporanea, aiuta la comprensione di alcuni suoi aspetti destinati altrimenti a restare nell'ombra. Per entrare nel dettaglio, la linea dell'innovazione ha coinciso con il d. del Movimento moderno nelle sue declinazioni razionalista e organica, con tutto quanto lo ha anticipato e ne è seguito. È appena il caso di ricordare che l'espressione Movimento moderno viene adoperata in un'accezione relativamente restrittiva, non allargata quindi all'intero periodo che va dalla Rivoluzione industriale ai nostri giorni e riconoscendone pertanto i peculiari caratteri di antistoricismo o, almeno, di indifferenza alla storia; non si è trattato di un evento storicamente avvenuto, ma solo di un 'artificio storiografico' utile per studiare i d. e i loro autori: fattore cioè di storiografia e non di storia. La linea della tradizione ha coinciso invece, simmetricamente, con quella vasta parte del d. architettonico contemporaneo più o meno estranea alla nascita, all'affermazione e al consumo del Movimento moderno: essa ha incluso il d. di gusto Beaux arts, etichetta che designa l'articolato accademismo di fine Ottocento e dei primi tre decenni del Novecento e che ha raggiunto non di rado traguardi di eccellenza qualitativa, non solo in Inghilterra o negli Stati Uniti, ma anche negli ultimi esiti del classicismo postmoderno.
L'interpretazione del d. architettonico del Novecento sembra necessariamente dover ricorrere a un'ottica problematica. In generale, la gran parte di correnti e movimenti è stata segnata da iterazioni, sovrapposizioni e 'riprese': mentre è dunque abbastanza facile identificare il termine a quo dei fenomeni, non sempre ciò vale per il termine ad quem. Si tratta insomma di linee di tendenza per le quali è spesso noto il punto iniziale, ma non le loro fluide e talvolta incerte diramazioni e, tanto meno, le loro divergenti e sfumate terminazioni. La periodizzazione proposta distingue comunque tre grandi fasi. La prima va dall'anno 1900 al 1918, dall'inizio del secolo alla Prima guerra mondiale. Per la linea dell'innovazione tale fase include il d. del protorazionalismo e delle avanguardie storiche; fra queste ultime spiccano il neoplasticismo olandese, l'espressionismo tedesco, il futurismo italiano, il cubismo cèco e il costruttivismo russo. Per la linea della tradizione include invece il d. Beaux arts, quello del romanticismo nazionale scandinavo, del revival Louis xvi in Francia, del revival neoclassico in Germania e in Russia e, per molti aspetti, dello stesso Art nouveau, in cui gli elementi d'innovazione, a cominciare dal nome, sono stati tuttavia particolarmente significativi. La seconda fase inizia nel 1919 e si conclude alla fine degli anni Sessanta. Per la linea dell'innovazione include: i pluralistici e straordinari esiti delle avanguardie, che si codificano, oltre che nelle già citate linee espressionista e neoplastica, soprattutto in quella della grande stagione razionalista da una parte e organica dall'altra. Il razionalismo, in particolare, è stato il più forte e più altamente comunicabile codice-stile del Novecento: da ciò è derivata la sua diffusione geografica (planetaria) e cronologica (sotto molti punti di vista si tratta di una fase ancora aperta). Per la linea della tradizione la seconda fase include invece: il d. del classicismo nordico, tedesco, italiano e russo; del conservatorismo in Inghilterra e, per certi aspetti, dell'Art déco in Francia. È, come si vede, il periodo più lungo e articolato, coincidendo grosso modo con quanto la gran parte della storiografia architettonica contemporanea designa come Movimento moderno. Al suo interno sono facilmente identificabili due parti. La prima, che arriva al 1946, alla fine della Seconda guerra mondiale, è stata quella della modernità vera e propria, pur avendo ospitato per intero la linea della tradizione, assente nella seconda; quest'ultima va dal 1946 alla fine degli anni Sessanta, ed è quella della cosiddetta tarda modernità. L'ultimo decennio di questa seconda fase ha visto la scomparsa dei maestri F.L. Wright (1867-1959), J.J.P. Oud (1890-1963), Le Corbusier (1887-1965), L. Mies van der Rohe (1886-1969). La terza fase, infine, va dal 1970 alla conclusione del secolo: gli ultimi tre decenni del Novecento. Include, per la linea della tradizione, il d. del classicismo postmoderno nelle sue diverse accezioni; per quella dell'innovazione, il d. del nuovo modernismo con le derivazioni minimaliste di fine secolo, dell'High Tech e del Decostruzionismo. Una parte non secondaria della sua produzione può esser collocata a cavallo fra le due linee.
Il disegno prima del Movimento moderno (1900-1918)
La fase precedente l'avvento del Movimento moderno è aperta da un primo periodo, quello dell'Art nouveau, che, affondando le sue radici nell'Ottocento, è per molti versi interpretabile come l'ultimo stile del 19° sec. piuttosto che come il primo del 20°, ed è segnato da un codice grafico forte. Il periodo seguente, quello protorazionalista, è segnato invece da notevole reticenza sul piano dell'elaborazione grafica, a fronte della proposizione di idee architettoniche altamente paradigmatiche. Il periodo delle avanguardie storiche, come si è anticipato, è stato invece senza dubbio il più importante dal punto di vista della produzione metalinguistica in generale e grafica in particolare, a fronte di una produzione architettonica minima. In tutta questa prima fase si è segnalata infine anche l'ingombrante ed eclettica, per certi aspetti virtuosistica eredità grafica Beaux arts, che ha avuto diffusione universale (essendo legata alla proliferazione della cultura coloniale franco-britannica) e che ha trovato negli Stati Uniti il suo momento di maggiore tensione qualitativa con la cosiddetta American Renaissance.
Il d. del periodo Art nouveau è articolabile nelle due linee d'ispirazione naturalistica (in Belgio e in Francia) da una parte e geometrica (in Austria e in Scozia) dall'altra, corrispondenti alle formulazioni teoriche legate ai concetti di Einfühlung, 'simpatia simbolica', consenso, empatia, secondo le formulazioni neoromantiche di Th. Lipps (1851-1914) e di Astrazione, teorizzata da W. Worringer (1881-1965).
Fra i principali esponenti della prima linea si ricordano V. Horta (1861-1947) e H. van de Velde (1863-1957). I d. del primo costituiscono un eccezionale repertorio morfologico bidimensionale che, prescindendo dalle necessità costruttive, è piuttosto basato sullo studio della natura, dei fiori, delle piante e sulle celebri linee a colpo di frusta. Van de Velde, l'altra eclettica figura della scena belga, si è invece, non a caso, occupato di pittura prima che di architettura. Ad Anversa e poi a Parigi entrò in contatto con i circoli impressionisti, con i poeti simbolisti e con G. Seurat, il cui divisionismo aprì strade nuove anche per il d. architettonico. A Bruxelles entrò a far parte del gruppo Les Vingt, si avvicinò all'arte di P. Gauguin, al movimento Arts and Crafts, a W. Morris. Si applicò anche, con successo, allo studio di nuovi caratteri tipografici e di motivi ornamentali di gusto incline al linearismo. Fra i disegnatori della seconda linea si ricordano Ch.R. Mackintosh (1868-1928), O. Wagner (1841-1918), J.M. Olbrich (1867-1908) e J. Hoffmann (1870-1956). Mackintosh esordì nei circoli Beaux arts di Glasgow assieme ad altri eccellenti disegnatori come J.-J. Burnet, J. Campbell e A. MacGibbon. Dal 1895 è stato presente sulla scena europea: a Parigi, alla mostra inaugurale della galleria dell'Art nouveau, in cui presentò le sue affiche lineari e simboliste; nel 1900 a Vienna, alla mostra della Secessione, in cui emersero i legami con gli ambienti dell'astrattismo austriaco e con il purismo di A. Loos. Negli ultimi anni di attività si dedicò prevalentemente al d. e, alla fine, quasi esclusivamente alla produzione di raffinati acquerelli. Wagner fu il fondatore della scuola viennese, occupando, in Austria, una posizione paragonabile a quella di L. Sullivan (1856-1924) negli Stati Uniti, di van de Velde in Belgio e di H.P. Berlage nei Paesi Bassi. Alla fase iniziale del suo lavoro, segnata da irriducibile storicismo, ne seguì una maggiormente legata alla temperie Art nouveau da una parte e al nascente razionalismo dall'altra. Olbrich e Hoffmann, tra i fondatori del gruppo viennese della Secessione, riproposero nei loro edifici l'eleganza leggibile nei loro grafici. Seppur lontani dal rigoroso ascetismo di A. Loos, si avvicinarono comunque al protorazionalismo: si pensi, in particolare, a Hoffmann e ai progetti per il sanatorio di Purkersdorf (1904) e per il palazzo Stoclet (1905) a Bruxelles. Un posto a parte spetta infine al d. del modernismo catalano e, in particolare, alla figura di A. Gaudì (1852-1926). Quest'ultimo non ha costituito un fenomeno isolato, ma va piuttosto collocato nel contesto della Barcellona del tempo, ricchissima di autori e di opere. Sorprendente, sul piano sia quantitativo che qualitativo, è poi la produzione grafica di gusto Art nouveau in Russia (soprattutto a Mosca), in Scandinavia (soprattutto in Finlandia), a Praga e a Budapest.
Fra i principali disegnatori del periodo protorazionalista si ricordano A. Loos (1870-1933) in Austria, T. Garnier (1869-1948) e A. Perret (1874-1954) in Francia, H.P. Berlage (1856-1934) in Olanda, P. Behrens (1868-1940) e H. Tessenow (1876-1950) in Germania.
Loos fu il primo a prendere posizione per il nascente razionalismo contro il decorativismo Art nouveau e a diffondere nuovi, essenziali modi di elaborazione grafica. La sua influenza sul d. architettonico di personaggi quali A. Lurçat (1894-1970), R.M. Schindler (1887-1935), R. Neutra (1892-1970), I. Gill (1870-1936) è chiaramente avvertibile ed è sensibile fino alla crisi del Movimento moderno. Grande disegnatore, più legato alla tradizione, fu Garnier. Educato all'École des beaux arts, vincitore del Prix de Rome nel 1899, lavorò per anni al progetto della Cité industrielle (1917). La grafica adottata appare in bilico fra un'oggettività già gravida di tecnicismo razionalista e un irrinunciabile romanticismo di stampo ottocentesco. Analogamente, i d. di Perret riuscirono a contemperare virtuosismi Beaux arts con la rappresentazione, necessariamente severa, delle nuove tecniche costruttive. Di Berlage si ricorda l'utilizzazione espressiva di forme grafiche storiche, destinate a influenzare alcuni significativi esiti dell'Espressionismo tedesco. Behrens, come van de Velde e Le Corbusier, s'interessò a lungo di arti visive prima che di architettura. Subì l'influenza dei luministi olandesi, segnatamente di J. Israels, e di artisti tedeschi come W. Leibl. Nel 1893 fondò a Monaco il gruppo della Secessione. Iniziò poi a occuparsi di arti grafiche, ancora sotto l'influsso Art nouveau. Dal 1922 diresse la scuola di architettura di Vienna. Dei d. di Tessenow si ricorda infine, in particolare, l'elevata qualità manualistica. La sua rappresentazione favorì l'opzione prospettica e un uso della penna o della matita con tratto leggero e frammentario, evitando il colore e conferendo un ruolo importante al contesto naturale. Si tratta di un tipo di lavoro incisivo e indipendente, tuttavia accostabile agli organici disegni di H. Häring (1882-1958) o a quelli di P. Bonatz (1877-1956).
Il d. delle avanguardie occupa un posto di assoluta preminenza per almeno due ragioni. La prima è costituita dalle evidenti relazioni fra le avanguardie architettoniche e quelle pittoriche, al punto da rendere difficile tracciare una linea di demarcazione tra gli elaborati specificamente architettonici e quelli più genericamente artistici. La seconda è costituita dal fatto che l'avanguardia architettonica è stata, come si è anticipato, per definizione costretta nella dimensione metalinguistica e, segnatamente, in quella della produzione grafica: quest'ultima ha rappresentato l'essenza stessa del suo pensiero architettonico.
La vicenda delle avanguardie, in particolare quella del gruppo neoplastico, De Stijl, sorto intorno alla rivista omonima - J.J.P. Oud, Th. van Doesburg (1883-1931), C. van Eesteren (1897-1988), R. van't Hoff (1887-1979), Th.G. Rietveld (1888-1964) -, ha anche riportato l'attenzione su un particolare metodo di rappresentazione dell'architettura: le proiezioni assonometriche, che sottintendono una concezione dello spazio molto diversa da quella prospettica. Le commistioni con l'arte furono, come s'è detto, molto forti: è difficile distinguere fra i d. architettonici e i dipinti e i collage nati con autonome finalità artistiche. L'astrazione - nelle due declinazioni di rifiuto dell'imitazione della natura e della sostituzione del concetto di rappresentazione con quello di conformazione - fu il principale carattere del lavoro neoplastico. Van Doesburg iniziò come pittore (fu discepolo di V. Kandinskij ed ebbe rapporti con P. Mondrian dal 1915); il suo periodo propriamente neoplastico è databile dal 1917: è il momento in cui il metodo assonometrico fu visto come l'unico in grado di consentire la lettura sinottica dell'oggetto da ogni parte. Non a caso un'assonometria isometrica è considerata uno dei suoi più emblematici lavori: la litografia eseguita assieme a van Eesteren (che diede i colori) a Weimar, pubblicata a più riprese dal 1921 al 1925 nel libro di A. Behne sull'arte moderna. I colori usati sono quelli primari: rosso, blu e giallo, oltre a bianco, nero e grigio. La stretta collaborazione con Oud e J. Wils (1891-1972) ebbe come risultato la creazione di un legame fra pittura e architettura, riuscendo a tradurre in termini spaziali neoplastici la bidimensionalità della pittura.
L'unico movimento italiano di risonanza internazionale è, com'è noto, il Futurismo. Il suo principale esponente fu A. Sant'Elia (1888-1916), inquieta figura divisa tra la tendenza verso l'oggettività tecnologica e una romantica partecipazione emotiva. Nel 1913 iniziò a lavorare alla Città nuova, utopico progetto di metropoli del futuro; alcuni disegni furono esposti nel 1914 a Milano alla Prima mostra annuale degli architetti italiani. Qualche mese più tardi una più ampia selezione di essi venne presentata alla prima mostra di Nuove tendenze, gruppo di cui facevano parte, fra gli altri, M. Chiattone (1891-1957) e M. Nizzoli (1887-1969). Celebri le prospettive di immaginarie città contemporanee, alcune delle quali pubblicate nel 1914 nel Manifesto dell'architettura futurista: i contrasti di scala appaiono espressionisticamente accentuati e i punti di vista estremamente forzati. Molti anche gli schizzi preparatori rimasti. In questi, forse ancor più che negli elaborati finali, sono riconoscibili con evidenza tutti i caratteri del movimento: la macchinolatria, il dinamismo, l'agonismo ecc. La prefigurazione della scena urbana del futuro - da cui il nome, senza dubbio di successo, del movimento - si è accompagnata all'anticipazione di non pochi temi formali presenti nell'opera di Le Corbusier (il progetto per la Ville contemporaine fu redatto nel 1922) e, più in generale, nel Razionalismo italiano.
Ancor più ricca di fermenti creativi è stata la stagione russa in cui si sono intrecciate correnti diverse come il Raggismo, il Cubofuturismo, il Suprematismo e, soprattutto, il Costruttivismo, di fondamentale importanza per i suoi esiti propriamente architettonici, come lascia intendere il suo stesso nome. Fra i protagonisti si ricorda I. Černichov (1889-1951), i cui d., pubblicati nel libro Osnovy sovremennoi architektury (1931, I fondamenti dell'architettura contemporanea), costituiscono, ancora una volta, un esempio di superamento dei tradizionali confini tra pittura e architettura. I grafici, scambiati per una selezione di progetti di edifici industriali (motivo per cui ne fu permessa l'edizione), sono per lo più al tratto, spesso aerografati, a colori e in bianco e nero; molte le litografie, in assonometria per la maggior parte, ma anche in prospettiva. Importante anche il contributo grafico dei fratelli Vesnin - Leonid (1880-1933), Victor (1882-1959) e Aleksandr (1883-1953) -, di K.S. Malevič (1878-1935), V.E. Tatlin (1885-1953), K. Mel´nikov (1890-1974), I.J. Leonidov (1902-1959) e di L.M. Lisickij (1890-1941). Malevič, pittore e scultore, si avvicinò in particolare all'architettura negli anni Venti, periodo in cui collaborò con Lisickij e visitò il Bauhaus: il suo lavoro di esplorazione delle potenzialità comunicative delle forme astratte ha a lungo esercitato notevole influenza. Mel´nikov ha invece accostato a quella grafica una notevole produzione edilizia fino al 1934. Culturalmente isolato dopo quella data, continuò comunque a disegnare, lavorando sui temi architettonici precedenti. Leonidov, formatosi come pittore alla scuola d'arte di Tver´, entrò nel 1921 al Vchutemas, celebre scuola moscovita, spostando i suoi interessi, sotto l'influenza di A. Vesnin, dalla pittura all'architettura. Di Lisickij - architetto che lavorò con Malevič, ma anche con van Doesburg, Mies van der Rohe e M. Stam (1899-1986), costituendo pertanto il tramite più immediato fra i russi e gli altri europei - si ricorda in particolare la poetica sviluppata intorno alla nozione di Proun (dal russo Proekty utverždenija novrogo, Progetti di fondamento del nuovo), che assunse il senso di 'formativo' in opposizione a 'rappresentativo'. Significativa una litografia su carta che presenta una proiezione assonometrica dello spazio Proun costruito a Berlino nel 1923: si tratta di un sofisticato grafico che, fondendo la rappresentazione assonometrica con i ribaltamenti propri delle proiezioni ortogonali, riuscì a conferire valore estetico alle, fino ad allora, poco apprezzate caratteristiche di reversibilità proprie dello spazio architettonico contemporaneo.
Di particolare importanza è poi il contributo dell'Espressionismo tedesco. Significativo il ruolo assunto, anche in questo caso, dagli schizzi usati dagli architetti per catturare l'intuizione creativa che consentiva la strutturazione del progetto vero e proprio. Fra i protagonisti si ricordano B. Taut (1880-1938), E. Mendelsohn (1887-1953), H. Poelzig (1869-1936), F. Höger (1877-1949), H. Finsterlin (1887-1973), M. Berg (1870-1947) e F. Kiesler (1896-1966). Degna di nota, in particolare, la serie di 30 litografie a colori eseguite da Taut per il volume Alpine Architektur (1919), in cui sono riassunti i temi morfologici dell'utopismo espressionista dell'autore. Anche Mendelsohn deve gran parte della sua notorietà di progettista ai famosi schizzi che bene hanno prefigurato la qualità architettonica dei suoi lavori migliori. I primi, più caratterizzati in senso espressionista nonché più vicini alle poetiche di van de Velde e Behrens, furono redatti prevalentemente a matita durante la campagna di Russia. Ripassati successivamente a inchiostro, divennero celebri quando, nel 1919, furono esposti da P. Cassirer a Berlino. Notevoli anche i d. realizzati in occasione della mostra dedicatagli dal Museum of Modern Art di New York nei primi anni Quaranta. Di Poelzig si ricordano la serie di vedute prospettiche degli interni di due grandi teatri: l'auditorium di Dresda, mai realizzato, e la Große Schauspielhaus a Berlino, uno dei principali edifici dell'Espressionismo tedesco del primo dopoguerra. L'immaginifica libertà con cui l'autore trattò tali spazi, trasformandoli in naturalistiche cascate floreali disegnate a pastello e carboncino, contrasta con la capacità di tradurne le qualità in forme tecnicamente realizzabili. Finsterlin, infine, ha rappresentato la personalità più eclettica e straniata del gruppo. Noto per le sue organiche fantasie formali (sculture cave giganti interpretabili come creative trasposizioni delle teorie evoluzioniste di Ch. Darwin), ha prodotto d. a matita, acquerello e inchiostro su carta o cartoncino, sospesi in una dimensione onirica che, diversamente dalla maggior parte degli altri architetti del gruppo espressionista, gli impedì di muovere verso il Razionalismo. Nessuno dei progetti redatti, circa 500, fu mai realizzato.
Il disegno moderno (1919-1969)
I caratteri emblematici del d. razionalista sono derivati dal fecondo innesto, sulla nuda grafica protorazionalista, spesso non esente da moralismi, di alcuni aspetti propri delle avanguardie storiche: si pensi, per esempio, all'antinaturalismo di fondo, ai riconoscibili influssi cubisti e neoplastici, alla prevalenza della rappresentazione assonometrica su quella prospettica, al poco realistico uso del colore, all'enfasi sulla sperimentalità. Il d. è stato con successo utilizzato come strumento didattico e divulgativo, divenendo in tal modo espressione degli aspetti sociologici e ideologici dell'architettura.
Centrale il ruolo svolto dal Bauhaus, la scuola fondata da W. Gropius (1883-1969) a Weimar nel 1919. Il suo manifesto, redatto in quello stesso anno, è aperto da una xilografia di L. Feininger che rappresenta, ancora espressionisticamente, una scintillante cattedrale di cristallo assunta a simbolo della nuova architettura. Il rinnovamento grafico intrapreso da architetti e artisti del Bauhaus è stato di tale portata da essere difficilmente sintetizzabile in poche righe. Basti ricordare i disegnatori più vicini allo stesso Gropius: M. Breuer (1902-1981), F. Forbát (1897-1972), F. Molnàr (1897-1945). Quest'ultimo è l'autore dei d. per il Cubo rosso, un progetto del 1923, nonché della litografia rimasta a documentare il distrutto monumento dello stesso Gropius dedicato ai caduti del putsch di Kapp. Gropius diresse la scuola per circa un decennio, con l'obiettivo di giungere alla Gesamtkunstwerk, l'opera d'arte totale, mediante l'unione di tutte le forme d'espressione artistica - scultura, pittura, arti decorative e artigianato - con il fine di far nascere una nuova architettura. La grafica, caratterizzata da riduzionismo antidecorativo, ha in particolare rivestito un ruolo inaugurale e fondativo sia sul piano didattico sia su quello propriamente creativo. H. Meyer (1889-1954) gli successe alla direzione dal 1928 al 1930. Probabilmente conobbe le composizioni costruttiviste, certamente quelle di Mondrian; elaborò, assieme a Klee e Kandinskij, una teoria sui rapporti tra forme e colori. In polemica con il formalismo di personaggi quali L. Moholy-Nagy (1895-1946), rivendicò per i suoi d. - notevoli soprattutto le incisioni precedenti il 1926 - il ruolo di 'invenzioni costruttive', a prescindere da ogni considerazione estetica. Ancora va ricordata la grafica di L. Hilberseimer (1885-1967), uno degli esponenti di maggior spicco dell'ala radicale del Razionalismo, le cui rivoluzionarie idee sulla città contemporanea furono rappresentate da paradigmatiche ed essenziali assonometrie. L'attitudine minimalista ha segnato anche la grafica di Mies van der Rohe, la cui statura, al pari di quella di Gropius, ha comunque trasceso i confini del Bauhaus. Schematicità e freddezza compositiva hanno caratterizzato i suoi disegni. I più compiuti elaborati a matita e carboncino o i sintetici quanto evocativi schizzi a matita o inchiostro sorprendono per la straordinaria capacità di rappresentazione ottenuta con il minimo dispendio di mezzi. Degna di nota, in particolare, è la veduta prospettica per l'irrealizzato grattacielo di vetro del 1920. Probabilmente non di mano del maestro sono invece le ultime grandi prospettive americane: si vedano, per es., gli elaborati redatti dopo il 1941 per l'Illinois Institute of Technology. Di straordinaria portata è stata infine l'opera grafica di Le Corbusier, con Gropius e Mies il terzo grande maestro del razionalismo europeo. Il suo vastissimo e capitale messaggio resta inscindibilmente legato al corpus dei suoi disegni. Parte integrante di ogni idea, essi hanno costantemente accompagnato il suo lavoro di progettista, pubblicista, instancabile divulgatore di una nuova visione dell'architettura e della città: Le Corbusier è stato probabilmente il primo a intuire compiutamente il valore della visualizzazione grafica degli slogan. Particolare attenzione meritano i suoi carnet, che raccolgono considerazioni e d. eseguiti prevalentemente durante i numerosi viaggi. Al di là del loro valore documentario, storico e artistico, essi costituiscono la più preziosa testimonianza di come l'architetto interrogasse la storia e la costringesse a rivelargli i segreti del mestiere.
Resta ancora da ricordare il contributo della grafica architettonica italiana. Se G. Terragni (1904-1942) ne è stato il rappresentante più alto, emblematicamente legato all'avanguardia è stato il lavoro di A. Sartoris (1901-1998), che, con la mostra e il saggio Gli elementi dell'architettura funzionale del 1932, si pose come il rifondatore del d. moderno italiano. Sono celebri, in particolare, le sue assonometrie isometriche a colori primari: la loro caratteristica reversibilità visuale, già indagata dai disegnatori olandesi, ha curiosamente segnato il destino di questi elaborati, spesso pubblicati, per errore, alla rovescia.
Negli anni Venti e Trenta va anche registrato un fenomeno destinato a privare l'Europa di energie creative: la diaspora verso gli Stati Uniti, fenomeno uguale e contrario a quello che aveva portato gli Americani a studiare e formarsi in Europa agli inizi del secolo. Se R. Schindler si era già trasferito negli Stati Uniti sin dal 1913, E. Saarinen (1873-1950) con il figlio Eero (1910-1961) vi si spostò definitivamente nel 1922, dopo il concorso per il Chicago Tribune; R.J. Neutra nel 1923; F. Kiesler nel 1932; Mies van der Rohe, Gropius e Breuer nel 1937, in anni fra i più bui della storia d'Europa; J.L. Sert (1902-1983) nel 1939; E. Mendelsohn nel 1941. Prima della fine della guerra, la scomparsa di E. Lutyens (1869-1944), il genio conservatore, interrompe provvisoriamente (per almeno tre decenni) la linea del d. della tradizione.
Fra i caratteri emblematici del d. organico si ricordano: la prevalenza del momento intuitivo su quello razionale; il dinamismo compositivo; la centralità della rappresentazione prospettica; il naturalismo, specificamente tradotto nell'attenta trattazione riservata agli elementi naturali - il verde, l'acqua, le rocce - o a quelli del contesto costruito; l'uso veristico del colore, ottenuto prevalentemente ricorrendo alle tecniche del pastello e dell'acquerello, nonché alle ombre. È comunque assente la tensione ideologica che ha contraddistinto il lavoro razionalista: non a caso la scena si è spostata negli Stati Uniti o nelle estreme regioni d'Europa.
Wright, il rifondatore del d. architettonico americano - in un clima, come si ricorda, dominato, almeno fino ai primi anni Trenta, dal virtuosismo eclettico di gusto Beaux arts -, è stato fra i più raffinati disegnatori del secolo. Celebri le sue prospettive di case unifamiliari - appartenenti al ciclo delle Prairie houses - graficizzate con eleganza memore del gusto giapponese per la linea e il colore, ma anche di quello dei fratelli Ch. Greene (1869-1957) e H. Greene (1870-1954). La preferenza è in genere andata alla veduta prospettica, mentre la rappresentazione assonometrica è stata adoperata di rado: fra i pochi esempi di quest'ultima è il d. per le torri del National life insurance building a Chicago (1924). All'insegna dell'influenza di Wright si è sviluppata tutta la grafica della linea organica americana, i cui prodotti hanno spesso costituito una versione kitsch di quelli del maestro: degni di nota sono tuttavia gli elaborati dall'anarchico B. Goff (1904-1982). L'altro grande disegnatore della poetica organica è stato A. Aalto (1898-1976). Pittore prima che architetto, Aalto esitò a lungo fra le due diverse vocazioni. I suoi taccuini giovanili sono ispirati all'ambiente naturale finlandese, di cui vengono indagate le diverse configurazioni e i complessi rapporti fra struttura e forma. Facilmente identificabile è l'adesione ai principi della psicologia gestaltica; interessanti sono anche gli studi sulle ricerche prospettiche di alcuni artisti, segnatamente di P. Cézanne. Dagli schizzi di viaggio emerge invece la seconda anima di Aalto, quella affascinata dai paesi mediterranei: ma, anche in questo caso, l'architettura appare sempre organicamente saldata alla natura.
Sotto il nome di tarda modernità sono state raggruppate le esperienze che hanno segnato l'ultima fase dell'esplorazione grafica modernista, coincidente con la maturità dei maestri, dalla conclusione della Seconda guerra mondiale alla fine degli anni Sessanta. Due, al suo interno, le linee principali. Da una parte c'è chi ha lavorato sul lascito del moderno e ne ha esplorato le estreme possibilità. Dall'altra chi, con la propria produzione grafica, ha lavorato sul rapporto fra storia e progettazione.
Nella prima linea si collocano: il d. del nuovo empirismo scandinavo; le esperienze britanniche che hanno fatto capo alla nozione di Englishness e di neobrutalismo: si ricordano, in particolare, i disegni di A. Smithson (1928-1993) e P. Smithson (n. 1923); le coeve esperienze americane ispirate alle poetiche tecnologiche: K. Wachsmann (1901-1980) e R. Buckminster Fuller (1895-1983); quelle infine legate alla grande dimensione, all'utopismo di personaggi quali Y. Friedman (n. 1923), K. Kurokawa (n. 1934) e i giapponesi di Metabolism (gruppo fondato nel 1960); ma anche una parte del lavoro di P. Rudolph (1918-1997) e M. Safdie (n. 1938). Fra le esperienze grafiche delle neoavanguardie utopiche degli anni Sessanta si è, in particolare, segnalato il lavoro del gruppo inglese Archigram, costituito nel 1961 da W. Chalk (n. 1927), P. Cook (n. 1936), D. Crompton (n. 1935), D. Greene (n. 1937), R. Herron (n. 1930) e M. Webb (n. 1937): d. in sintonia con quella felice stagione del pop britannico che trovò in R. Banham il suo mentore. Collage, fotografia, aerografo e tecniche tradizionali coesistono in immagini straordinarie, per molti aspetti precorritrici dell'estetica High Tech e di una larga parte degli esiti grafici successivi. Simile notorietà internazionale fu anche raggiunta dal gruppo italiano Superstudio, fondato nel 1966 da A. Natalini (n. 1941): importanti, in particolare, le litografie a colori, i fotomontaggi e i d. appartenenti ai cicli Il monumento continuo e Le dodici città ideali.
Nella seconda linea, fra storia e progettazione, si collocano alcune esperienze italiane di gusto neorealista e neoliberty: si pensi ai d. di G. Samonà (1898-1983), M. Ridolfi (1904-1984), L. Quaroni (1911-1987), I. Gardella (n. 1905), BBPR - gruppo formato da G.L. Banfi (1910-1945), L. Barbiano di Belgiojoso (n. 1909), E. Peressutti (1908-1976), E.N. Rogers (1910-1968) -, F. Albini (1905-1977), R. Gabetti (n. 1925) e A. Oreglia d'Isola (n. 1928), assimilabili a quelli prodotti nell'ambito degli omologhi movimenti regionalisti stranieri, o allo stesso, più autonomo, ancora organico d. di C. Scarpa (1906-1978), i cui schizzi sono collegati a una dimensione quasi artigianale del fare architettura. Fra i disegnatori di questo secondo gruppo - che include personaggi eterogenei quali i già citati Rudolph e Saarinen, ma anche K. Roche (n. 1922) e il primo Ph. Johnson (n. 1906) - si ricorda, in particolare, la figura di L.I. Kahn (1901-1974). Il corpus della sua opera si è infatti configurato come vera e propria opera d'arte. Kahn disegnava non solo con finalità progettuali o per documentare viaggi e studi storici, ma con passione per molti aspetti autonoma. V. Scully, il suo più attento studioso, ne ha suddiviso l'opera grafica in tre parti. Il primo gruppo di d. è quello dei decenni Venti e Trenta: materiale dichiaratamente pittorico, per lo più all'acquerello. È la fase in cui Kahn iniziò ad adoperare la grossa matita a punta morbida per la quale divenne famoso. Il secondo gruppo risale al periodo immediatamente successivo alla guerra ed è caratterizzato da forte inclinazione per l'astrazione geometrica, per l'opera di De Stijl, di F. Léger o P. Picasso: si tratta per lo più di d. a inchiostro nero. L'ultimo gruppo è quello degli anni Cinquanta, una serie ispirata ai viaggi in Italia, Grecia, Egitto, per lo più a pastello. In realtà schizzi di viaggio sono anche quelli inclusi nel primo gruppo, ma è soprattutto quest'ultima raccolta, che guarda alle origini mediterranee dell'architettura, a essere importante: immagini che ricordano quelle di G. De Chirico e anticipano le città 'analoghe' di A. Rossi.
Il disegno postmoderno (1970-1998)
La scena del d. architettonico nella condizione postmoderna ha visto i suoi protagonisti al lavoro in più o meno consapevole opposizione ai principi grafici della modernità. Senza pretendere di approfondire una questione complessa e peraltro ampiamente dibattuta, basti ricordare, oltre quanto si è detto nel paragrafo introduttivo, che la stessa perdita di significato della triade vitruviana (firmitas, utilitas, venustas) o del binomio forma-funzione, in favore di esperienze quali la semantica, la semiotica, la teoria dell'informazione ecc., discipline che hanno enfatizzato la dimensione linguistica dell'architettura con le inevitabili degenerazioni stilistiche e formalistiche, non può non aver accentuato l'importanza del d. e di ogni altra forma di elaborazione metalinguistica.
Due le linee generalissime entro le quali è possibile classificare il lavoro grafico degli ultimi decenni del 20° sec.: il nuovo classicismo e il nuovo modernismo. La prima, tale anche da un punto di vista cronologico, elaborata nel corso degli anni Settanta e sulla scorta della lezione di Kahn, ha fatto del riuso della storia e delle modalità rappresentative da essa desunte il suo carattere più emblematico. La definitiva consacrazione su scala mondiale di ciò che è stato definito 'storicismo postmoderno' è avvenuta con la Biennale di Venezia del 1980: La presenza del passato. È il momento in cui il d. è assurto a ruolo di assoluto protagonista, in anni in cui, almeno in Italia, la parte più qualificata della cultura architettonica ha scelto, più o meno liberamente, di non costruire: di qui i fortunati slogan della 'architettura di carta' o della 'architettura disegnata'. A codici grafici forti e fortemente innovativi hanno però corrisposto codici architettonici deboli o, talvolta, addirittura inesistenti.
Fra i protagonisti di questo importante momento culturale europeo e, soprattutto, italiano, è stato F. Purini (n. 1941). I suoi d. a inchiostro di china e pennarello hanno puntualmente indagato le principali questioni al centro del dibattito architettonico contemporaneo, raggiungendo fama internazionale: il suo neorazionalismo 'visionario' si è concretizzato in grafici, febbrilmente prodotti, attestanti il primato della rappresentazione sulla realtà e configurantisi come vocabolario didattico di elementi architettonici, sintassi di archetipi progettuali, pensiero 'laterale' del loro autore. Un'importante collezione di suoi d. è quella pubblicata dalla Architectural Association con il titolo Around the shadow line (London 1984). In questa linea si ricordano anche le preziose letture grafiche di M. Scolari (n. 1943), il cui lavoro, a metà fra quello di un artista e quello di un architetto, costituisce un'altissima, indiretta rappresentazione dei limiti stessi dell'architettura.
Il d. del nuovo classicismo si è articolato in almeno quattro aree facilmente riconoscibili. C'è stata un'area postmoderna vera e propria che ha fatto del saccheggio di tecniche e stilemi storicisti il suo principale elemento di connotazione. C'è stata un'area regionalista, legata, più che alla storia universale del d., alle tradizioni locali e talvolta orientata verso la rappresentazione urbana, verso la grande tradizione del d. classicista della città. Le tecniche grafiche adoperate hanno spesso costituito la ripresa, più o meno letterale, di quelle ottocentesche, con il conseguente riaffermarsi di un gusto caduto nell'oblio con l'avvento del modernismo: i risultati, non esenti da ridondanze e compiacimenti descrittivi, sono comunque caratterizzati da ecumenica efficacia comunicativa. C'è stata ancora un'area che si potrebbe definire del classicismo pop: filone ironico e sofisticato, la cui spregiudicata grafica ha legittimato il mondo culturale televisivo, pubblicitario, multimediale, che costituisce una delle dimensioni più autentiche della coscienza rappresentativa contemporanea. C'è stata infine un'area che, per molti aspetti sconfinante nel nuovo modernismo, si è emblematicamente connotata per adesione allo storicismo morfo-tipologico.
All'ala più ortodossa del nuovo classicismo sono ascrivibili i d. dello statunitense A. Greenberg (n. 1938) e dell'inglese Q. Terry (n. 1937). Quest'ultimo, in particolare, ha proposto, tra l'altro con grande successo, un tipo di rappresentazione assolutamente tradizionale, difficilmente distinguibile da quella in auge nel 17° e 18° sec., fedelmente eseguita con tecniche preziose come l'incisione. Archetipica e classicista è anche la grafica di L. Krier (n. 1946), i cui d. di architetture e di città sono radicati nella tradizione dello storicismo tedesco: si vedano i lavori di K. Grüber (Die Gestalt des deutschen Staadt, München 1976). Da ricordare è pure l'opera grafica del fratello di Leon, R. Krier (n. 1938), personaggio le cui scelte grafiche appaiono spesso in bilico fra pittura e architettura. I suoi d., intenzionalmente didattici, sono caratterizzati da forte carica propositiva e si sono esplicitamente posti come un'anamnesi del passato feconda di soluzioni per il futuro. Nella stessa temperie grafica, ispirata a un colto tradizionalismo, si sono mossi gli statunitensi A. Duany (n. 1949) ed E. Plater-Zyberk (n. 1950), dai riconoscibili influssi wrightiani e Beaux arts; gli egiziani H. Fathy (1900-1989) e A. Wahed El-Wakil (n. 1943), la cui grafica, segnata da notevole uso dell'acquerello, appare un'ibridazione fra il conservatorismo britannico e quello islamico; l'italiano P. Portoghesi (n. 1931), teso al recupero di preziosismi rappresentativi neobarocchi e neoliberty. In un'area più eclettica è collocabile invece il lavoro di M. Graves (n. 1934). Partito da posizioni moderniste, noto per i suoi colorati collage, Graves ha vissuto una vera e propria conversione al classicismo nella seconda metà degli anni Settanta. Un importante esponente dell'area regionalista è stato invece Ch.W. Moore (1925-1993), di cui si ricordano le grandi tavole a inchiostro acquerellate che documentano la gran parte dei suoi progetti e, in particolare, le poetiche Architectural fantasies, una serie di piccoli d. a inchiostro su carta giapponese, preziosi per comprendere il mondo creativo dell'architetto. Di regionalismo è possibile ancora parlare a proposito del lavoro grafico di R. Stern (n. 1939) o di quello, più discutibile e pittoresco, di Th. Gordon Smith (n. 1948), entrambi caratterizzati da largo uso di prospettive e tecniche di indubbio effetto come l'acquerello. Esponente emblematico del classicismo pop è stato R. Venturi (n. 1925). Caratteristico l'uso del collage, dei retini colorati, dei pennarelli, ma anche di pattern decorativi di gusto optical. Un cenno merita pure l'attività grafica di S. Tigerman (n. 1930) che, attraverso d. a inchiostro e a pastello, nella linea surreale e pop di S. Steinberg, C. Oldenburg ed E. Sottsass (n. 1917), ha ironizzato sulla cultura di massa contemporanea. Un ruolo a parte è occupato da J. Stirling (1926-1992) che, partito da posizioni moderniste (caratteristico il gusto per le assonometrie isometriche dal basso, nella tradizione inaugurata da A. Choisy), si è poi collocato al centro della scena postmoderna (recuperando l'uso di colori e pastelli). Emblematicamente rappresentativa dell'ala postmoderna più prossima al razionalismo morfo-tipologico è infine l'opera grafica di A. Rossi (1931-1997), fra le più significative degli anni Settanta e Ottanta. Inizialmente protagonista della citata vicenda dell'architettura disegnata, Rossi è stato fra i contemporanei più richiesti dai collezionisti di d. d'architettura. Le tecniche adoperate sono le più varie: dall'incisione al collage, dall'acquerello all'inchiostro, dal pastello (anche a cera) all'aerografo. I precedenti diretti delle sue immagini vanno rintracciati nella pittura metafisica di G. De Chirico e C. Carrà, nelle periferie di M. Sironi. Le immagini pittoriche hanno spesso prevaricato i segni della conformazione architettonica: l'idea stessa di architettura perseguita da Rossi deve la sua diffusione planetaria prevalentemente al successo dei suoi disegni.
La seconda linea di sviluppo del lavoro grafico è costituita dal nuovo modernismo nelle sue diverse accezioni. Pur coesistendo sin dall'inizio con la linea del nuovo classicismo, essa si è rafforzata e definita solo qualche anno più tardi, forse in reazione al dilagare del classicismo più volgare e al suo rapido consumo, connotandosi, in maggiore o minore continuità con la tradizione modernista ma comunque libera dalle originarie connotazioni ideologiche di quest'ultima, in filoni moderatamente neorazionalisti, High Tech o più dichiaratamente legati al riesame delle avanguardie. La rappresentazione architettonica, forse influenzata dal successo e dalla straordinaria qualità raggiunta dall'ala storicista degli anni Settanta, è rimasta in genere forte: i risultati più eccezionali sono stati, non a caso, raggiunti dagli sperimentatori più radicali.
Fra i protagonisti del d. neorazionalista si ricordano: R. Meier (n. 1934) negli Stati Uniti; O.M. Ungers (n. 1926) e M. Botta (n. 1943) in Europa. Il primo, grande esecutore di pregevoli collage, si è segnalato per l'accuratezza dei d. a matita o a inchiostro su carta lucida, il secondo per una maggiore indulgenza verso il colore e il ruolo didascalico degli schizzi. Analoghi accenti sono identificabili nelle grandi elaborazioni prospettiche dello studio di V. Gregotti (n. 1927) o nelle colorate sezioni di H. Ciriani (n. 1936). Essenziali e di diretta ascendenza modernista sono anche i rigorosi d. di T. Ando (n. 1941), radicati in un profondo interesse per la geometria e l'essenza delle sue forme. Legato alla temperie razionalista, seppur tentato da esplorazioni storiciste, è il lavoro grafico di due architetti che, pur essendo a capo di due grandi studi di progettazione, non hanno mai perso il rapporto con la pratica del d.: ci si riferisce a C. Pelli (n. 1926) e H. Jahn (n. 1940). Gli schizzi del primo si sono segnalati per l'uso creativo di matite e pastelli, oltre che per la ricerca sugli effetti di luce. Notevoli pure i d. del secondo, titolare dello studio Murphy & Jahn: si ricordano le grandi assonometrie associate alle proiezioni ortogonali redatte a inchiostri colorati per il progetto dello State of Illinois Center a Chicago (1979) e le litografie tratte da d. a inchiostro seppia su carta per la Messeturm di Francoforte. Non diversamente, in una linea genericamente collocabile a cavallo tra moderno e postmoderno, si segnalano anche altri grossi studi, che con un elevato numero di dipendenti (in alcuni casi nell'ordine delle migliaia) e molte sedi in tutto il mondo (si pensi, per es., a Hellmuth, Obata + Kassabaum o a Skidmore, Owings & Merrill, oppure a Kohn Pedersen Fox) hanno potuto dotarsi di tecnologie digitali avanzatissime e di software appositamente prodotti per le loro specifiche esigenze, assumendo in tal modo un ruolo guida, se non nella sperimentazione progettuale, almeno nel settore della grafica assistita dal computer.
Fra i protagonisti del d. High Tech si segnalano C. Price (n. 1934), N. Foster (n. 1935), R. Piano (n. 1937), R. Rogers (n. 1936).
Di Foster, in particolare, si ricordano gli schizzi a inchiostro di china, che hanno spaziato dall'idea generale di progetto alla disamina dei minimi dettagli esecutivi. Di Piano e Rogers si ricordano invece le grandi sezioni delle complesse e spesso estesissime macchine architettoniche da essi progettate.
Fra i protagonisti del d. neoavanguardista si ricordano infine: J. Hejduk (n. 1929), P. Eisenman (n. 1932), F.O. Gehry (n. 1929), L. Woods (n. 1940), R. Koolhaas (n. 1944), J. Nouvel (n. 1945), D. Libeskind (n. 1946), Th. Mayne (n. 1944), M. Rotondi (n. 1949), B. Tschumi (n. 1944), Z. Hadid (n. 1950) e Coop Himmelb(l)au, gruppo formato da W.D. Prix (n. 1942) e H. Swiczinsky (n. 1944). Per essi valgono buona parte delle considerazioni sviluppate a proposito delle avanguardie storiche.
Legato a tali poetiche è, per es., il lavoro grafico di Hejduk: raffinatissimo disegnatore prima che progettista, chiaramente influenzato da artisti come G. Braque, J. Gris, Le Corbusier purista, ma anche F. Léger e P. Mondrian. Nei suoi d., pensati indipendentemente dalla realizzazione architettonica, la parola scritta ha svolto un ruolo essenziale: la loro qualità è prima di tutto poetica ed evocativa, poi, anche, progettuale. Si ricordano i grafici delle piante della Diamond House, palesemente ripresi da Victory Boogie-Woogie, un'opera di Mondrian del 1943; o le celebri assonometrie della casa Bernstein, che rinunciano a ogni allusione alla tridimensionalità. Fra i d. più emblematici del nuovo modernismo decostruzionista si segnalano quelli di Koolhaas e del suo gruppo (OMA, Office for Metropolitan Architecture, di cui hanno fatto parte E. e Z. Zenghelis e M. Vriesendorp). Si tratta di elaborati caratterizzati da modalità fortemente referenziali, con la commistione del tradizionale d. a inchiostro di china con il collage e, talvolta, con la sovrapposizione di materiale fotografico. Koolhaas è autore di un celebre libro, Delirious New York (1978), in cui ha metaforicamente interpretato la condizione del mito metropolitano del 20° sec. attraverso un insieme di straordinari, a volte ironici disegni. Le tecniche utilizzate, in questo come in altri lavori, sono le più varie (matita, pastello, inchiostro di china, gouache, gesso, aerografo, acquerello, smalto su carta, carta fotocopiata o cartoncino). Né sono mancati esempi di serigrafie: si veda il grande trittico per il progetto delle torri sul porto di Rotterdam. Altrettanto sperimentali, ma maggiormente disancorati dalla realtà costruttiva dell'architettura, sono i d. di Hadid, artista, oltre che architetto, in grado di produrre lavori straordinari, segnati da instabile conflittualità: grafici a inchiostro di china su carta lucida, spesso giocati sul contrasto fra positivo e negativo, ma anche ad aerografo su carta, su basi elaborate digitalmente. Analoghe osservazioni valgono per gli altri protagonisti della vicenda della decostruzione. Libeskind, in particolare, ha inizialmente basato la sua notorietà proprio sui disegni. Caratterizzati spesso da grande inventiva, tuttavia difficilmente relazionabili alla consueta prassi professionale, essi hanno contribuito in maniera decisiva, analogamente a quanto accaduto a Hadid, alla circolazione del messaggio architettonico del loro autore. La loro eccezionalità ha reso così persuasive le inconsuete architetture proposte da provocare, dopo decenni di confino all'interno di una dimensione utopistica, una serie di importanti incarichi progettuali proprio negli ultimi anni del secolo. Molto diverse, seppur anch'esse genericamente collocabili nell'area decostruzionista, le elaborazioni grafiche di Gehry. L'abitudine, molto diffusa negli Stati Uniti, di servirsi di modelli elementari - in cartone quelli di studio; più dettagliati e ricchi di varianti materiche (legno, metallo, plastica) quelli delle presentazioni finali - ha privato il d. di molti dei suoi contenuti comunicativi, riducendoli spesso a quelli puramente costruttivi. Si tratta di elaborati eseguiti generalmente a matita e pastello su carta da schizzi, affollati di annotazioni e quote aggiunte a mano libera, che costituiscono la traduzione, appena controllata sul piano metrico, dei primi schizzi ideativi. Più interessanti, dal punto di vista dell'elaborazione grafica, i successivi lavori di Gehry: d. ottenuti ricorrendo ad avanzatissimi software di modellazione tridimensionale che hanno consentito l'ideazione e la realizzazione di progetti altrimenti impensabili e comunque non verificabili sul piano esecutivo, come quelli redatti per la Walt Disney Concert Hall (1989) a Los Angeles, per il Guggenheim Bilbao Museoa a Bilbao (1991-97) o per il Museo della musica contemporanea a Seattle (1996). Il progetto per la Walt Disney Concert Hall va considerato un'autentica rivoluzione nel rapporto fra ideazione e rappresentazione: i suoi spazi fluidi e complessi non sono praticamente graficizzabili senza l'aiuto di un programma di modellazione. Il museo di Bilbao, realizzato nel 1997, ha compiuto un ulteriore passo in avanti: per la prima volta i dati esecutivi, elettronicamente elaborati, sono stati utilizzati direttamente dai costruttori, per es. per il taglio delle pietre in cava. L'eccezionale complessità geometrica di sezioni progressivamente variabili, incontrollabile con metodi rappresentativi tradizionali, si è, inaspettatamente, rivelata anche razionale, per es. nell'ottimizzazione dei materiali adottati. Altamente significativa è anche la ricerca rappresentativa di P. Eisenman. Si vedano, per es., i sofisticati d. assonometrici, anamorficamente elaborati per il progetto della House X (1975): una serie di proiezioni, fruibili efficacemente solo da un determinato punto di vista, che si 'distaccano' gradualmente dal foglio per disporsi nello spazio generando una sequenza che tende a colmare la distanza fra un d. (bidimensionale) e un modello (tridimensionale). Altre, successive rappresentazioni hanno optato per la stampa su carta fotografica (talvolta al negativo) di d. a china, come base di un trattamento cromatico ottenuto con velature trasparenti e sovrapposte. Le ultime sperimentazioni hanno infine fatto largo uso dell'elaborazione al computer, consentendo, anche in questo caso, una ricerca progettuale non perseguibile, per esplicita ammissione dell'autore, con metodi grafici tradizionali. Significativo è poi il fatto che, se da una parte la qualità dell'elaborazione grafica si è progressivamente avvicinata a effetti via via più realistici, dall'altra la qualità linguistica di un'area non secondaria della scena architettonica contemporanea si è orientata - si pensi alle sofisticate immagini dei progetti di J. Herzog (n. 1950) e P. de Meuron (n. 1950), Toyo Ito (n. 1941), M. Fuksas (n.1944) - verso poetiche ispirate alla stessa grafica prodotta dal CAD (v. oltre), segnatamente alla progressiva smaterializzazione, artificializzazione e virtualizzazione dell'immagine dell'edificio. Sulla base di tali impostazioni teoriche, si sono infine mosse le ipotesi grafiche di una promettente generazione nata negli anni Sessanta: si vedano, per es., i d. di G. Lynn (n. 1964) e H. Rashid (n. 1960), elaborati, alla fine degli anni Novanta, all'interno dei laboratori della Columbia University a New York.
Il Computer Aided Design (CAD)
La storia della grafica computerizzata è molto recente: basti pensare che il primo programma di questo tipo risale al 1961, il primo plotter elettrostatico al 1968. Degli inizi degli anni Ottanta sono le workstations dedicate alla progettazione e i PC, personal computers. Nel 1984 è stato commercializzato il primo PC in grado di elaborare graficamente. È dunque soltanto alla metà degli anni Ottanta che gli architetti hanno iniziato a interessarsi concretamente al CAD (o CADD, Computer Aided Design and Drafting; v. progettazione: Progettazione assistita dal computer, in questa Appendice), cioè a una tecnica di progettazione assistita dal computer. Nel corso di pochi anni l'utilizzo dei computer ai fini progettuali ha avuto uno straordinario incremento: il fenomeno è stato accompagnato da una rapidissima evoluzione e da una parallela, altrettanto rapida obsolescenza dei sistemi. Agli inizi degli anni Novanta tale uso si è definitivamente generalizzato, innescando una vera e propria rivoluzione nel modo di rappresentare e progettare l'architettura. Il computer ha consentito le prestazioni più diverse: la visualizzazione dell'edificio nel suo contesto naturale o urbano mediante il suo 'montaggio' all'interno di fotografie, video o altre forme digitali; la visualizzazione di ogni sua parte, da ogni punto di vista, ha reso possibile 'passeggiare' al suo interno o al suo esterno, con una semplice animazione su schermo, e verificarne l'immagine sotto diverse condizioni atmosferiche o d'illuminazione naturale e artificiale. Le rappresentazioni prodotte variano da quelle estremamente realistiche, difficilmente distinguibili da una fotografia o da un film, a quelle che simulano il tratto incerto di una matita da schizzo o la pennellata da acquerello; un modello digitale tridimensionale può essere inoltre visualizzato e stampato in piante, sezioni, prospetti, assonometrie o prospettive diverse; ogni dettaglio può essere agevolmente modificato o sostituito; le tessiture materiche possono essere più o meno realisticamente riprodotte; superfici complesse (come, per es., quelle rigate) facilmente rappresentate da ogni punto di vista. E, se tecnologie quali la realtà virtuale hanno costi ancora troppo elevati per essere utilizzate nella pratica professionale, sono già state messe a punto tecnologie semplificate che, basandosi su fotografie e immagini generate al computer, consentono vedute panoramiche a 360° o passeggiate virtuali (walk through) con tempi e costi accettabili, disponibili su normali CD-ROM interattivi. Molti anche i clienti (soprattutto pubblici) che hanno cominciato a richiedere esplicitamente l'elaborazione digitale del progetto. Ma il successo del computer è in realtà difficilmente spiegabile in termini strettamente utilitaristici. Se, da una parte, i vantaggi pratici sono tali da renderne poco probabile l'abbandono dopo averne sperimentato l'efficacia, è evidente dall'altra che, come si è anticipato, nell'ultimo decennio del Novecento si è comunque verificato un fenomeno più complesso e articolato di quanto possa apparire a un esame superficiale. Se è vero che la strumentazione non è stata mai neutrale in ogni attività creativa, l'ausilio offerto dal computer non poteva, d'altra parte, non provocare effetti notevoli sul pensiero creativo e sull'attività degli architetti. L'eteronomo sconfinamento dei riferimenti progettuali, più o meno metaforicamente intesi, nelle geometrie non euclidee, nella topologia, nelle geometrie frattali e negli insiemi di Mandelbrot, nella fisica dei quanti, nella teoria del caos e delle turbolenze, ma anche l'utilizzo di tecniche compositive quali lo scaling (utilizzo creativo della sovrapposizione di planimetrie tematiche a scale diverse), il folding (adozione di una tecnica di piegatura delle superfici basata sulla teoria delle catastrofi e sulle elaborazioni fattene da R. Thom), il morphing (conformazione del nuovo fondata sull'iterazione evolutiva delle geometrie delle preesistenze), o le stesse pratiche dislocative, decostruzioniste, a-topiche, entropiche, deboli, in una parola anticlassiche, che hanno giocato un ruolo così importante nella definizione dell'architettura e della città nell'ultimo decennio del 20° secolo, sono proprio in gran parte derivate dalle complesse, articolate e forse ancora non del tutto immaginabili interazioni fra creatività architettonica ed elaborazione grafica.
Fra le più interessanti ipotesi di nuovi spazi architettonici si segnalano le utopiche rappresentazioni di M. Novak (n. 1957). Notevoli sono infine gli investimenti fatti per la ricerca e la didattica nel settore: si pensi alle ricerche condotte in Inghilterra da J. Frazer (n. 1932) all'interno della Architectural Association di Londra, da S. Gage presso la Bartlett School of Architecture o nell'innovativo laboratorio della University of East London. O ai più famosi e avanzati laboratori multimediali statunitensi quali il Media Laboratory del Massachusetts Institute of Technology a Cambridge (Mass.), il Gardiners Symonds Teaching Laboratory della Rice University a Houston (Tex.) o il Center for Advanced Digital Applications della New York University a New York.
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