INDUSTRIALE, DISEGNO
(App. IV, II, p. 181)
Il d.i., inserendosi in un processo progettuale che coinvolge forma, tecnologia e tipo, nell'ambito del ciclo produzione-distribuzione-consumo, ha implicito nel proprio concetto il fatto che "già il disegno creato dal progettista contenga in sé quella qualità di unicità e di individuabilità artistica che lo distinguerà da ogni altro disegno e che verrà a costituire la sua vera identità" (Dorfles 1957). Si tratta di "un fattore di integrazione sociale che mira a raggiungere i suoi fini attraverso una metodologia piuttosto che attraverso l'impostazione di un gusto formale" (Argan 1955). Esso comprende "tutte quelle opere che, concepite per uso degli uomini − come diceva Leon Battista Alberti − profittano oggi dell'organizzazione industriale per essere prodotte secondo la tecnica più adatta a tradurre rapidamente la qualità, in relazione all'utilitàbellezza, in quantità e in elemento economico-sociale" (Rogers 1958).
Si tratta pertanto di materia viva e in divenire, che comporta una progettazione integrale in un continuo rapporto interdisciplinare non solo per il controllo, ma addirittura per l'attuazione stessa delle varie fasi del processo. È materia giovane, "disciplina che non ha ancora trovato un definitivo assestamento... che si istituisce come metodo generale di progettazione, di ricerca della risposta di volta in volta più capace di fronte al continuo trasformarsi delle necessità, di invenzione e di proposta di nuove relazioni" (Gregotti 1972). Proprio perché è materia in divenire, non è ancora avvenuta una sua storicizzazione, né le è stata attribuita una patente di nobiltà culturale: infatti si sono susseguite incomprensioni e incompatibilità traumatiche tra il mondo della produzione industriale, nata dalla tecnologia avanzata, e le inconsuete aperture di questa alla curiosità di artisti e di architetti ancora vincolati al peso di antichi materiali e processi artigianali. Si è venuta manifestando una nuova possibilità di operare per qualcosa destinato a una verifica più ampia, non delegata al singolo; quindi una nuova collocazione creativa e operativa per una nuova dimensione sociale, con la conseguente difficoltà d'individuare la struttura rispondente alla crescita dei problemi della nuova comunità.
"La storia del design incomincia nel momento in cui il progettare diventa il momento essenziale in cui la comunità può riconoscersi, nel chiedere, nel produrre, nell'usare l'oggetto o gli oggetti rispondenti a un comportamento e a ritualità condivise sia come singolo, sia come società" (Zanuso 1985). Molto pertinente appare questa asserzione di M. Zanuso se si riflette sulle fasi storiche dell'evoluzione del d.i.: dalla rivoluzione industriale iniziata in Gran Bretagna nella seconda metà del 1700 all'Esposizione universale di Londra del 1851, quando effettivamente nacque la figura del progettista specializzato per l'industria, con la conseguente scissione fra arte e industria; dalla transizione dal ''feticismo della merce'', dell'arte per l'arte, della scissione dell'architettura dalla società e dal mondo della vita, al ''feticismo dell'abilità'' propugnata dai designers nel proposito di fare dell'abilità il senso dell'oggettività, contrapposta a ogni valore sociale, per cui il prodotto s'intende valere in sé e per sé. Fu merito dell'Art Nouveau, nel primo espandersi della rivoluzione industriale, quello di assolvere a una fondamentale funzione storica: il distacco dell'arte dalle sue tradizionali caratteristiche di rappresentazione e contemplazione, proprie degli stili passati, verso una produzione destinata ad avere una funzione sociale, dall'arte per l'arte all'arte per la vita.
Parallelamente all'evolversi delle ideologie e alla presa di coscienza del rapporto design-industria si sviluppa una rivoluzione tecnica che procede verso una sintesi-limite in cui l'ingegnere si fa poeta e l'architetto diviene uno scienziato. Diceva Le Corbusier: "Gli autentici architetti dell'800 sono gli ingegneri", portando all'esasperazione la tesi meccanicistica: basti pensare ai ponti in ferro (il primo è quello progettato da J. Wilkinson nel 1777-79 a Coalbrookdale), a quelli in cemento armato di R. Maillart, ai ponti sospesi (il Golden Gate di San Francisco), al Padiglione reale di Brighton di J. Nash, alle biblioteche di Sainte Geneviève di H. Labrouste e alla Biblioteca Nazionale di Parigi, all'edificio a cinque piani di J. Bogardus a New York, al Palazzo di Cristallo dell'Esposizione di Londra del 1851 di J. Paxton, alle fabbriche del Cioccolato Menier a Noisiel-sur-Marne di J. Saulnier, ai grattacieli di Chicago di W. Le Baron Jenney, alla Galleria delle macchine di Dutert e Contamin che, insieme alla Torre Eiffel dell'Esposizione di Parigi del 1890 e al complesso delle Halles, sempre a Parigi, ne costituirono il trionfale decoro.
Lo sviluppo delle nuove tecnologie e dei nuovi materiali nella scienza edilizia e nell'architettura trova un riscontro parallelo negli oggetti minori e nell'arredamento, dove si crea un rapporto diretto tra scelte di linguaggio e materiale usato secondo un'interpretazione tecnicistica.
Così le sedie di M. Thonet in legno piegato a vapore del 1830 vengono reinterpretate da A. Aalto, a distanza di un secolo, con la tecnica del legno compensato a strati sovrapposti e incollati. Nel 1942 E. Saarinen fa propri i recenti studi sul trattamento chimico del legno e sulle potenzialità delle macchine a pressione per realizzare la sua poltrona ''organica''. Altrettanto dicasi per le poltrone metallico-tubolari di M. Breuer del 1925, ove il tubo metallico sarà successivamente sostituito dalla striscia, dalla lamina, dal profilato, al fine di consentire maggiori possibilità di sbalzi, di sospensioni più libere, di inclinazioni più modulate in una struttura aperta, anziché chiusa com'era quella del tubo. Con lo sfruttamento delle proprietà elastiche del metallo, derivazione della nuova produzione industriale, attuato da L. Mies van der Rohe nelle sue poltrone (1927), si giunge, con Ch. Eames, attraverso la realizzazione delle sue sedie, all'applicazione effettiva dei recenti studi sugli snodi elastici.
Negli anni Sessanta avviene il boom delle materie plastiche: il polietilene, il nylon, il poliestere rinforzato, il polistirolo, il laminato stratificato trionfano nella mostra al Museum of contemporary crafts di New York: Plastic as plastic, "plastica in quanto plastica", cioè un materiale analizzato al di là del suo uso merceologico, per quanto di carica espressiva andava ad assumere nei vari prodotti che essa conformava − dall'abito alla poltrona, dalla casa agli occhiali − assurgendo così a simbolo di modernità e d'innovazione tecnologica.
Il design in Italia. − La sperimentazione e l'uso nelle materie plastiche, a partire dagli anni Sessanta, trovano in Italia, come nel resto del mondo, un vasto campo d'applicazione. Innumerevoli sono gli esemplari prodotti, dal telefono Grillo disegnato da M. Zanuso nel 1966 alle lampade Viscontea e Taraxacum disegnate da A. e P. G. Castiglioni per la Flos nel 1960, alla lampada in perspex disegnata da J. Colombo, così come la poltrona Elda con scocca in fiberglass e cuscini staccabili, e la sedia in nylon disegnata per la Kartell nel 1968. Un discorso a parte meritano i poliuretani espansi che, tagliati da blocco o schiumati, permettono di superare il concetto di struttura portante o d'imbottitura per un tutt'uno portante e morbido contemporaneamente. La poltrona Sacco è emblematica di questo tipo di produzione, in quanto racchiude in sé ogni trasgressione formale ed è rappresentativa di un nuovo modo di vivere, sciolto e disinibito. Progettata da Gatti, Paolini, Teodoro, prodotta da Zanotta nel 1969 e tuttora in catalogo, consiste in un involucro in pelle o simil-pelle contenente pallini di polistirolo, che diviene sedile accogliente deformandosi e adattandosi al corpo del fruitore. "La scoperta della funzione del prodotto era simultanea alla fruizione dello stesso: la deformazione permetteva la fruizione, rompendo tutti i canoni linguistici usuali in una poltrona" (Raimondi 1988).
Altro materiale già noto, ma che in questi anni troverà una sua nuova immagine e un ampio sviluppo nell'arredamento, è il laminato plastico, prima di allora utilizzato nella sua finitura finto legno e chiamato ''formica'' dal marchio di origine americana. Grazie all'impegno posto nella ricerca di rifinitura del prodotto con il colore, con le finiture speciali, con i nuovi decori, si riuscì a fare del laminato un materiale espressivamente autonomo e a scalzare il monopolio della Formica in Italia. Tra le prime sedie stampate in plastica nel mondo figurano quelle di Colombo per la Kartell (1968), a iniezioni in nylon, sovrapponibili, nonché quella di V. Magistretti per Artemide, la Selene, in poliestere rinforzato con fibra di vetro, stampata a compressione con un unico stampo.
Negli stessi anni Sessanta inizia una serie importante di studi e ricerche nel settore dei sistemi componibili per l'arredamento, sia per la casa (cucine, soggiorni, armadi), sia per l'ufficio: tra i sistemi modulari di contenitori a parete e divisori attrezzati per la casa, che sono oggi uno dei livelli più avanzati d'industrializzazione nel settore dell'arredamento domestico, vanno ricordati gli armadi E 6 disegnati da Zanuso per Elam nel 1966, i contenitori Kubirolo di E. Sottsass per Poltronova del 1967, l'interparete Cub 8 di A. Mangiarotti per Poltronova del 1968, ecc. Tra gli anni Sessanta e Settanta vengono progettati e realizzati alcuni mobili multi-uso inglobanti in un corpo unitario più funzioni "come un grande puzzle composto però da tasselli singolarmente risolti ed autosufficienti" (Raimondi 1988).
In sostanza, in quegli anni, si delineano due filoni ben distinti, il radical design o disegno d'evasione che si riallaccia a esperienze figurative pop e concettuali per uscire dai vincoli del razionalismo e del funzionalismo e trova nelle mostre Italy: the new domestic landscape (organizzata dal Museum of modern art di New York nel 1972) e Contemporanea (Roma, 1973) l'apogeo e contemporaneamente i sintomi della fine storica di questo fenomeno, localizzato principalmente a Firenze e a Torino, ma anche in Austria. L'altro filone è quello del disegno classico, del good design milanese (quello di M. Zanuso, F. Albini, L., P. G. e A. Castiglioni, V. Magistretti, M. Bellini, G. Aulenti, A. Mangiarotti, ecc.), attento alle esigenze del marketing, alle possibilità d'industrializzazione e commercializzazione del prodotto.
Successivamente, negli anni Settanta si assiste al passaggio dalla produzione artigianale per un'élite alla produzione industriale, che comporta la diminuita importanza dell'oggetto prestigioso e un generalizzarsi di forme che, diventando d'immediato uso comune, esauriscono il loro ciclo produttivo in un tempo molto più breve. Il mercato del mobile presenta un eccesso di capacità produttiva, ma con scarsità di standardizzazione, e si registra una forte concorrenza tra le imprese a struttura industriale e quelle a struttura familiare dotate di maggiore flessibilità. Inoltre la mancanza di un'industria chimica che assicuri la produzione di resine e semi-finiti e la scarsezza di risorse forestali comportano una crisi di crescita sia nella produzione dell'oggetto sia nell'arredamento; si assiste a una segmentazione del mercato tra mobili in stile e mobili contemporanei; nasce un nuovo stile, lo stile design; si sviluppa la produzione in serie e si punta sul ''componibile'', utilizzando le tecnologie dei poliuretani espansi sia schiumati sia per taglio da blocco, a densità differenziata, nella tendenza a scoprire oggetti del tutto inediti per modo d'uso e di comportamento.
I materiali protagonisti di questo periodo sono il legno (frassino o noce), l'acciaio, le strutture fuse in lega leggera verniciata o nichelata in vista, i pannelli in acciaio armonico rivestito in cuoio, l'alluminio grigio plumbeo o argento, il cristallo (C. Scarpa, G. Raimondi, Zanuso) abbinato a strutture metalliche o facente un tutt'uno con esse, utilizzando la saldatura di fondelli metallici al cristallo sì da creare un sistema ove il cristallo non è più un piano semplicemente appoggiato, ma diventa funzionale alla statica dell'architettura e alla sua semplificazione costruttiva. Gli specchi riacquistano un'autonomia come oggetti, instaurando una relazione di curiosità reciproca tra oggetto e fruitore. Viene recuperato l'artigianato della canna e del bambù adottato per mobili scenografici e notevolmente kitsch, che si rivolgono a un mercato arabo o al jet set internazionale.
Dopo il 1973 si assiste a una svolta, a un ritorno a un vissuto più tradizionale della casa; diminuiscono le trovate formali, i prodotti presentano un aspetto più pragmatico, si ritorna al salotto tradizionale (Bellini, C. Boeri, L. Griziotti, A. e T. Scarpa). L'architettura prevale sul design (Superstudio e Mangiarotti): nasce l'high-tech con il gusto per le tecnologie del metallo. Viene rivitalizzato il ruolo del tessuto e l'industria tessile per l'arredamento risponde con una continua ricerca di nuove tramature e di nuovi decori (il ''letto tessile''). Nasce la ''transavanguardia'', con il ritorno al quadro, alla pittura figurativa come recupero tradizionale del mezzo pittorico, e si notano gli inizi di una frattura che segnerà il passaggio agli anni Ottanta, anticipata dal post-moderno in architettura e nel design, che avrà nella Biennale di Venezia del 1980 la sua consacrazione nella ''Strada Novissima''.
Negli anni Ottanta, infine, con l'avvento del post-moderno, si esauriscono gli stilemi dell'international style e si passa al new international style. L'antiquariato moderno si sostituisce all'operazione ''I Grandi Maestri'' iniziata da D. Gavina nel 1965 riproducendo Le Corbusier, G. Th. Rietveld, C. R. Mackintosh, F. S. Wright, H. Breuer, e sfrutta da un lato l'esaurirsi degli usuali oggetti antichi, dall'altro l'obsolescenza che sempre più rapidamente colpisce i prodotti moderni, particolarmente quelli in plastica.
In effetti, negli anni Ottanta, la plastica ritorna anche nell'arredamento dopo il boom degli anni Sessanta e il suo rifiuto negli anni Settanta, con le sue caratteristiche di resistenza, leggerezza, trasparenza.
Si affermano i tecnopolimeri, ossia polimeri dotati di proprietà meccaniche, tecniche e chimiche molto elevate: proprietà tutte che, essendo carenti nei materiali plastici tradizionali, costituivano un limite evidente al confronto con i materiali metallici. Le innovazioni più suggestive sono rappresentate dalle fibre, dai materiali compositi, in particolare le fibre al carbonio che, unendo resistenza meccanica e leggerezza, rispondono a numerosi requisiti nell'impiego strutturale: dall'industria aerospaziale agli articoli sportivi, sino all'industria dell'arredamento (sedia Light-Light di A. Meda per Alias). Resiste il laminato plastico per le sue possibilità decorative e il poliuretano, nella versione integrale semirigida finita in stampo secondo la texture desiderata e utilizzato anche nell'arredamento, calandrato su supporti di cotone o di poliestere.
In questi stessi anni la struttura produttiva del mobile si frammenta: le aziende più penalizzate sono quelle industriali e quelle artigianali che avevano nel ceto medio il loro mercato. Si assiste a una caduta recessiva dovuta a un assestamento di tipo strutturale più che a un adeguamento congiunturale alle condizioni di mercato. Sul piano progettuale si nota il tentativo di contestare il criterio dell'oggetto a uso ''funzionale'' per un oggetto a uso ''spirituale''. Nella seconda metà degli anni Ottanta il panorama tradizionale del design italiano muta inaspettatamente e nascono i ''complementi di arredo'', oggetti più minuti che collaborano al passaggio da una visione dell'arredo monocentrica a una policentrica, in cui l'ambiente risulta descritto non tanto dallo ''stile del mobile'' quanto dallo ''stile di vita'' (ne sono esempio i servimuti di A. Castiglioni, le sedie di M. Botta in struttura di acciaio con sedile in lamiera forata e schienale cilindrico in poliuretano integrale, la sedia Delfina di G. Raimondi in poliuretano integrale e schienale in tondino d'acciaio, e inoltre gli apparecchi d'illuminazione Aladino e Miriade, sempre di Raimondi, i letti Ititi di Castiglioni e G.C. Pozzi e quello di P. Piva).
Si nota ancora un profondo cambiamento del modo di abitare e delle relazioni tra i vari locali della casa, dei modelli culturali cui si faceva riferimento abitualmente; con l'incremento dell'elettronica nasce la ''domotronica'' che studia la realizzazione delle case telematiche.
Sempre negli anni Ottanta, dopo la crisi economica e sociale, si nota, anche attraverso il rinnovamento tecnologico, una crescente internazionalizzazione del nostro paese, in cui il settore terziario subentra a quello secondario; si nota altresì il passaggio a una fase post-industriale con la crescita delle classi medie e con l'affermazione dell'immagine del manager e la riscoperta dell'imprenditorialità.
Prevale l'''epidermico'' nella moda, nei mass-media, nella pubblicità: dalla maggioranza silenziosa si passa alla maggioranza chiassosa. Nasce l'antiquariato moderno degli oggetti in plastica parallelamente al crescente sviluppo dei tecnopolimeri; dopo la mostra di New York Plastic as plastic del 1968, si tiene (1987) quella di Parigi alla Cité des sciences et de l'industrie de La Villette, sponsorizzata dalla Montedison, Gli anni di plastica, che esalta, oltre alla coerenza logica ed estetica del materiale, la poliedricità dei suoi usi. Le funzioni dei locali domestici mutano: "la casa, magazzino della memoria, museo di se stessi... continua ad essere terreno di rinnovamento proprio perché gli oggetti del vivere domestico, nel loro disegno, non riescono a riconoscere nell'idea di utile un significato sufficiente ad esprimere la poetica che nasce invece più chiara, più intelligibile e suggestiva dalle relazioni tra gli oggetti e lo spazio che li contiene: la luce, il colore, il suono di una casa" (F. Trabucco).
Va detto a questo punto dell'importanza delle Triennali di Milano, specie della Triennale rinnovata del 1979 come museo in progress, come struttura permanente e sistematica di elaborazione e di produzione culturale. Dal 1979 al 1982 si svolsero tre cicli di manifestazioni e, nel 1983, la xvii Triennale organizzava una mostra dal titolo Le case della Triennale: otto progetti di ambienti domestici contemporanei, in cui s'indagava, attraverso una serie di temi ambientali vecchi e nuovi, il potere evocatorio e sottile delle arti decorative. Nel 1985, contemporaneamente alla Triennale, si teneva la mostra Le affinità elettive, che vedeva 21 progettisti internazionali chiamati a esprimere le loro poetiche nell'arredamento. Nel 1986 si teneva alla Triennale la mostra Il progetto domestico. La casa dell'uomo: archetipi e prototipi, che presentava 25 allestimenti commissionati ad altrettanti architetti, designers, artisti di fama internazionale, invitati a evocare con le loro opere alcuni degli archetipi dell'abitazione, evitando di progettare prototipi, ma piuttosto metafore dei modi possibili.
Dopo le tante mostre merceologiche, le mostre per la valorizzazione dei beni naturali autarchici, le mostre di carattere politico-celebrativo, notevole fu il ruolo didattico dei premi Compasso d'oro attribuiti, in successione, a M. Nizzoli, validissimo collaboratore di A. Olivetti che aveva al suo fianco M. Zanuso, A. Castiglioni, E. Fratelli per le ricerche sul tema della prefabbricazione, nella volontà esplicita di confermare un allargamento dell'area disciplinare, un recupero per una ''finalizzazione sociale'' del design; a S. Asti e a R. Bonfanti, a R. Mango, a E. Mari, fino all'xi edizione, dopo 9 anni di silenzio, che attribuì ben 42 premi.
Vanno ricordate pure le mostre Eurodomus, in particolare la terza edizione (Milano, maggio 1970), la prima mostra esclusivamente ''video'' in Italia, che anticipava la rivoluzione delle video-cassette e presentava gli effetti luminosi e sonori di L. Castiglioni. Inoltre le Biennali di Venezia, da quelle dedicate all'arte povera, all'arte minimal e alla body art sotto la spinta ideologica del 1968 a quelle dirette da C. Ripa di Meana, avevano aperto le porte al design, e nel 1976 V. Gregotti aveva dedicato una personale a E. Sottsass jr. e a cinque graphic designers stranieri; E. Crispolti e L. Vinca Masini nel 1978 ospitarono numerosi operatori vicini all'area del radical in Utopia e crisi dell'architettura. Intenzioni architettoniche in Italia, nell'intento di rinnovare lo statuto con un progetto espositivo in progress, supportato dalla ricerca.
Le riviste Casabella, Domus, Stile Industria, diretta da A. Rosselli, Casa viva, Modo, Casa-Vogue, sia pure con diverse angolazioni e tendenze, hanno contribuito alla diffusione e all'interesse per il design.
Tra le mostre vanno ricordate quella del 1946 a Milano, promossa dalla RIMA (Riunione Italiana Mostre per l'Arredamento), avente come tema L'arredamento popolare e come finalità la produzione in serie, in cui il Grand Prix fu assegnato a I. Gardella. La mostra dell'arredamento e la mostra degli oggetti per la casa della Triennale del 1947, organizzata da P. Bottoni, propone sì oggetti in serie, ma li ordina accanto a oggetti unici dell'artigianato di uso quotidiano. L'arredamento, programmaticamente non inteso come decorazione d'interni, era affrontato per mobili singoli, composti in gruppi, e alloggi. Gli oggetti per la casa volevano essere rappresentativi del gusto e delle pratiche esigenze del momento, tali da risolvere in una sintesi l'utilità e la bellezza. Di maggiore interesse fu la prima rassegna di Arte ed estetica industriale nell'ambito della xxx Fiera Campionaria di Milano del 1952, ordinata da M. Revelli, A. Mariani, C. Perogalli, A. Rosselli, E. Sottsass jr., A. Steiner, M. Zanuso, e la seconda, del 1953, curata da M. Ballocco, con la finalità della divulgazione del prodotto industriale e dell'utilità dell'incontro tra arte e industria per la soluzione di tutti quei problemi che hanno attinenza con la forma e il colore: dalla progettazione dei prodotti alla loro pubblicità. Nel 1953, anno di uscita del i° numero di Civiltà delle Macchine a opera di L. Sinisgalli, validissimo strumento di connessione tra produzione e design in una più generale strategia di unità tra cultura scientifica e cultura umanistica, si apriva, sempre a Milano, la Prima mostra dell'estetica ordinata da F. Albini, L. Anceschi, F. Helg, G. Dorfles, e la rassegna Estetica del prodotto allestita a La Rinascente da C. Pagani con A. Steiner e B. Munari. Nel 1956 viene fondata l'ADI (Associazione per il Disegno Industriale), che vede la luce dopo il Council of Industrial Design di Londra, il National Industrial Design Council di Ottawa e la Society of Industrial Designers di New York, nonché l'ICSID (International Council of Societies of Industrial Design) di Londra cui avevano aderito più di 10 paesi. L'ADI, sotto la presidenza di A. Rosselli, con la collaborazione di G. Ponti, A. Olivetti, E.N. Rogers, G. Dorfles, M. Zanuso, L. Ricci, presentò alla xxxv Fiera di Milano la Mostra internazionale per l'estetica delle materie plastiche che sanciva il successo dei risultati produttivi dell'industria chimica con i nuovissimi prodotti ''macromolecolari'' e le resine sintetiche nella ricerca di nuovi linguaggi espressivi. L'ADI fu pure coinvolta nella preparazione dell'xi Triennale con la Mostra internazionale di industrial design. Nel 1961 fu istituito il Salone del mobile, organizzato dalla Federazione dell'industria del legno e dalla Confederazione generale dell'artigianato, in cui ai pezzi unici si affiancava una ricca produzione organizzata su basi tipicamente industriali, sorretta da un'adeguata capacità progettuale e organizzativa e da una moderna attrezzatura tecnica. Sono questi gli anni della scoperta del ''componibile'' e in cui il product design si rivela non da meno dell'interior design, estendendosi a oggetti non di grande serie né di grande diffusione che vedono di nuovo l'Olivetti in prima linea con Bellini e Sottsass jr.
Numerosissimi negli anni Sessanta furono i convegni: basterà ricordare quelli a chiusura della xii Triennale sull'edilizia scolastica, a livello internazionale; quello su Arte/Artigianato/Industria; quello su Le nuove tecnologie dell'immagine del 1967 per la Biennale di S. Marino; quelli di Rimini del 1968 e 1970, l'uno su Le strutture ambientali, l'altro su Le forme dell'ambiente umano; quello di Napoli su Cos'è il Design presentato da V. Gregotti.
La grande rassegna sul design italiano Italy: the new domestic landscape, tenutasi al MOMA di New York nel 1972 e precedentemente citata, fu il canto del cigno della ricerca tra l'artistico e il progettuale che valutava l'''utopia'' ma anche l'informale nel radical design, progettazione non oggettualizzata che proponeva progetti conflittuali rispetto all'oggetto di serie, riallacciandosi ai linguaggi dei mass-media, dal fumetto alla pubblicità, in parallelo con i popular artists (gli Archigram e gli Street Farmers) in Italia e con l'architettura espressionista tedesca (Hollein e Salz der Erde) in Inghilterra e in Austria.
Gli esponenti più significativi di questa tendenza che esalta la povertà dei materiali e si rivolge a un pubblico assai ristretto, oltre a Sottsass jr. e U. La Pietra, sono A. Branzi, gli Archizoom e il Superstudio, gli UFO e i 9999, appartenenti tutti alla terza generazione. Nel 1970 si tenne a Milano una ''settimana del design'' e un convegno al Museo della scienza e della tecnica patrocinato dall'ICSID, ove si constatò − per dirla con B. Zevi − che "il design tendeva a perdere, massificandosi, la sua aura di ''cultura'': la disciplina decadeva a ''mestiere'' assumendo un carattere di styling, di kitsch, di banalizzazione di un più autentico ''prodotto progettato''".
A Rimini si apriva la i Biennale internazionale di metodologia globale della progettazione, Le forme dell'ambiente umano, organizzata dal Centro Pio Manzù, in cui Argan dichiarava: "Ora che siamo arrivati a porre la ricerca estetica come ricerca storica e come ricerca progettuale, dobbiamo affrontare il problema del confronto tra la ricerca estetica e la ricerca scientifica che è la ricerca pilota della cultura contemporanea". Intanto, negli anni 1973-76 l'ADI attraversava un momento di crisi d'identificazione del proprio ruolo all'interno della società; accusata di essere centro d'élite, luogo di sviluppo e sottosviluppo, di opulenza e ristrettezze, si proponeva una direzione collegiale articolata per competenze. Anche per la Triennale si proponeva una rifondazione democratica con l'istituzione di una Consulta: la xv Triennale, apertasi dopo cinque anni di silenzio e disertata dagli architetti e dai designers milanesi e italiani in generale, non conteneva un disegno, un modello, proponendosi un discorso ''adisciplinare sulla disciplina''. Ne risultò lo scioglimento di quest'organismo spontaneo, nodo articolato esterno e continuo di confronto.
Al Centrokappa di Noviglio (Milano) nel 1977 si svolse una rassegna sul Design italiano negli anni '50 che puntava a indagare il momento in cui in Italia quest'attività aveva cominciato a configurarsi e a rivisitare un "patrimonio di idee e di stimoli in gran parte perduti". Nel marzo 1979 si apriva a Milano, ristrutturato, il Padiglione d'arte contemporanea curato da V. Gregotti per il settore architettura e design, anticipando l'attività dell'Archivio del Design, già auspicato da Giò Ponti, il cui progetto veniva affidato a C. Venosta.
Nella realtà del design italiano degli anni Ottanta le aziende giocano ormai solo su immagini e su firme già consolidate, sfruttando ipotesi e atteggiamenti tecnologici ben datati; manca la ricerca, mancano le scuole, manca la tensione verso nuovi linguaggi. Alla committenza tradizionale i nuovi designers offrono la possibilità di allargare i campi d'intervento, affiancando alla produzione consueta e stabilizzata, ''firmata'' dal personaggio museificato e destinata al privato, i prodotti per l'uso collettivo, i progetti comunitari. Così il vecchio tipo di committenza, quella privata, diventa disponibile ad assumersi la ricerca e la produzione, tesa a risolvere le esigenze del consumo collettivo. Il social design potrà forse assumere l'importanza già avuta dall'Italian style pur non dimenticando il good design. La terza generazione ha ormai posto i presupposti perché ciò avvenga e la piccola e la media industria, nella loro lungimiranza, hanno già intuito i nuovi orizzonti che si sono aperti e che lasciano prevedere come, forse, sarà nella cultura soft la possibilità di allargare la conoscenza e i linguaggi.
È con la Bauhaus di W. Gropius che l'arte per la vita aveva iniziato la sua azione progressiva in modo decisivo, in una maggiore fiducia nella tecnica dell'industria come nuovo autentico mezzo espressivo e nella qualità del prodotto industriale ottenuta da una nuova intuizione della bellezza, attuabile nell'ideazione più che nel processo esecutivo, manuale. Il feticismo dell'abilità cedeva il passo al feticismo del progetto, al design, al vero e proprio d. i., per investire con la creazione artistica tutta la sfera sociale. Compito del designer, nella situazione di mercificazione della vita, diventa quello di porsi al servizio di tutta la società, qualificando la produzione e collaborando alla risoluzione dei conflitti tra capitale e lavoro. La ''rivoluzione dei tecnici'' avrebbe dovuto portarli a quella funzione direttiva, quindi politica, nella consapevolezza che la tecnica, dal momento che è sviluppo e progresso, non può che condurre a profonde trasformazioni sociali.
Gropius insisteva sul problema della serie, mentre Breuer mirava alla ''qualità-individuale'' della forma, che diviene perfetta solo quando può quantificarsi in serie. Diceva Breuer: "Ogni cosa risulta da un insieme di relazioni e la forma di una cosa è sempre forma di una relazione". La determinazione funzionale diviene fondamentale perché si pone come nuova concezione dello standard, distruggendo il mobile inteso come massa, volume, e intendendolo invece come tracciato. Obiettivo principale diviene il ''tipo'': i mobili metallici progettati da Breuer documentano la ricerca tipologica intrapresa in tal senso.
Dopo la chiusura della Bauhaus, dopo il fiorire in Germania delle Kunst Gewerbe Schule d'impronta fondamentalmente artigianale, molto importante, ma purtroppo di breve durata, fu la Hochschule für Gestaltung di Ulm, diretta da T. Maldonado; il Royal College di Londra; l'attività di Den Permanente a Copenaghen e della S.K.F. a Stoccolma.
A Venezia, Firenze, Roma, si aprirono nel 1962 gli Istituti Superiori per le Industrie Artistiche, ISIA, proseguimento degli Istituti d'Arte ai quali era stato demandato un tempo l'incarico di sfornare quei quadri produttivi che potrebbero, in qualche modo, essere paragonati ai designers contemporanei. Dopo la ''serrata'' decretata dal ministero nel 1969, sopravvissero soltanto quelli di Firenze e di Roma; mentre negli anni successivi s'inaugurò a Urbino un corso superiore dedicato al graphic design. Di fronte alle carenze organizzative e didattiche e allo scarso interesse dimostrato dalle facoltà di Architettura, sorsero varie scuole private con indirizzi e tendenze assai discutibili.
Per concludere, stiamo attraversando un periodo in cui tutto diventa ''storico'' prima ancora di essere decantato, e in cui l'accelerazione comunicativa accelera un processo di combustione del nuovo non sempre reale e non sempre privo di scorie significanti. Si nota la tendenza a sconfinare nel mondo dell'arte da quando le arti visive hanno recuperato una dimensione dell'oggetto artistico molto forte, neo-costruttivista e minimalista, con una tendenza al ritorno dell'astrattismo e al recupero di situazioni artistiche del 1968 e dell'avanguardia. Citando M. Zanuso (1985): "L'ambiguità del nostro tempo consiste soprattutto nel fatto di contenere contemporaneamente sia gli estremi per un prossimo evento capace di offrire la possibilità di realizzare questa coerenza ambientale, sia i presupposti per la determinazione di una diffusa negazione alla possibile convivenza tra uomo e oggetto ... Oggi la crisi sta nell'idea di progetto, e visto che il design vuol dire progetto, la crisi è del design, in un momento di transizione ove permangono ancoramenti ed espressioni che pretendono di essere razionalistiche ma che sono illuministico-neoclassiche ... nasce il sospetto che al rifiuto della tecnologia, delle scienze formative siano sottese radici preoccupanti, ''reazionarie''".
Infine va detto che la legge del consumo, dettata dal sistema di produzione capitalistico, è venuta ad assumere un sempre più stretto rapporto con le qualità degli oggetti e quindi con il lavoro del designer, lavoro che si è andato sempre più specializzando e differenziando, da quello del designer di oggetti d'uso a scala ridotta a quello del designer di autovetture o carrozze ferroviarie. Contemporaneamente, il tradizionale cantiere edile si è venuto trasformando da luogo di costruzione dell'edificio in luogo di solo montaggio dei vari elementi costruttivi e strutturali, valendosi della progettazione di un'altra figura di designer-architetto, specializzato nel design di componenti pensate in funzione di particolari tecniche di edificazione. L'attività del designer è, quindi, un'attività in continua evoluzione nella scoperta costante di nuovi ambiti di applicazione. Vedi tav. f.t.
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Il design internazionale. - Il carattere del design internazionale degli ultimi due decenni può essere sintetizzato con le parole di Adorno: "L'inutile è logoro, esteticamente insufficiente. Ma il puro e semplice utile rende desolato il mondo".
Gli anni Sessanta sono stati segnati da un forte consumismo. Le nuove tecniche di lavorazione, i nuovi materiali hanno permesso la produzione di mobili e capi di abbigliamento a basso prezzo, piacevoli e vivaci, usa e getta. La crisi petrolifera degli anni Settanta ha avuto pesanti ripercussioni sul modo di pensare i prodotti industriali, ponendo in primo piano l'attenzione per la conservazione dell'energia e per il contenimento degli sprechi, che sino a quel momento aveva fatto parte del bagaglio culturale del solo mondo ''alternativo''. L'interesse per le conseguenze della distruzione delle risorse naturali e dell'inquinamento ambientale ha comportato che l'attenzione generale si sia rivolta alle necessità quotidiane in termini di comfort e convenienza (illuminazione adeguata, isolamento acustico, ecc.), mirando a una più umanizzata economia del rapporto costi-benefici.
La fine degli anni Settanta segna così una svolta nel dibattito sui valori fondamentali delle teorie del design. L'idealismo dell'estetica industriale perde la sua credibilità perché la funzionalità viene troppo spesso usata solo in senso commerciale e industriale, invece che estetico-morale. Le tendenze radicali propongono esperimenti di produzione più ecologica attraverso la possibilità del riciclaggio del prodotto finito, o la produzione con utilizzo di materiali già lavorati, ove si sperimentano nuove vie progettuali.
Ma il design ''alternativo'' viene rapidamente professionalizzato e il momento ecologico è facilmente riassorbito. Acquista invece nuova attualità e peso il dibattito sulla semantica del prodotto, anche in relazione alla vera rivoluzione che è in corso: la miniaturizzazione. L'inglese C. Sinclair crea la prima calcolatrice tascabile nel 1972 e un televisore tascabile nel 1975. Il primo personal computer è disponibile nel 1977, mentre lo stereo Sony Walkman compare nel 1978. È la rivoluzione microelettronica, anche se l'introduzione di queste componenti in molti prodotti d'uso quotidiano porta alla conseguenza di farli divenire sempre più scatole indecifrabili.
Il design risponde a questa progressiva estraneazione del prodotto industriale caricando di significati la sua immagine attraverso tendenze linguistiche diversificate. L'high tech, per es., esaspera la severa essenzialità del prodotto, ne enfatizza gli aspetti macchinistici, ma insieme ne addolcisce spesso l'immagine con l'uso di colori vivaci, smitizzando la carica tecnologica. Stimolati dagli influssi più vari − la cultura pop, l'high tech, le fonti classiche − i designers cominciano a contestare la formula funzionalista "il meno è il più" che aveva ispirato il disegno negli anni del cosiddetto movimento moderno. In contrapposizione l'architetto americano R. Venturi all'inizio degli anni Settanta dichiara "il meno è noioso". Nasce proprio da quest'atteggiamento di rifiuto delle regole funzionaliste, e − altra faccia della medaglia − dal bisogno di liberare la creatività e di stupire, quel vocabolario formale che va sotto l'etichetta di post-moderno. Questo si impone nell'architettura, nell'arredamento, nei tessuti, nei prodotti di consumo. Difficile trovare una comunanza stilistica fra i vari operatori; è piuttosto il trionfo dell'espressività personale. Si cerca rifugio in un linguaggio di forme allegramente variopinte, ricche di trasognato entusiasmo, attraverso evasioni che esaltano gli oggetti, in forma senz'altro ironica ma talvolta anche cinica.
Negli anni recenti alla grande produzione industriale, sorretta da una forte componente tecnica, corrisponde la tendenza alla serie limitata, o anche ai pezzi unici. Nasce un nuovo design la cui essenza si esprime attraverso lo snaturamento di elementi conosciuti, anche nell'ambito della scelta dei materiali impiegati: legno grezzo, calcestruzzo, acciaio e ferro in tutte le varianti, materiali arrugginiti e usati. Si tratta evidentemente di una provocazione nei confronti di un'offerta commerciale solitamente improntata al lusso, ma che prova a esprimere nel modo più credibile il senso della vita urbana.
La varietà dell'orizzonte culturale in cui il designer si è trovato a operare nell'ultimo quarto di secolo, anche in rapporto ai mondi e modi di produzione economicamente e tecnicamente diversificati all'interno del villaggio globale, rende utile un'analisi per aree geografiche, europee ed extraeuropee, dando la precedenza alla Germania, che già negli anni Venti aveva lanciato il messaggio del valore dell'oggetto disegnato. L'itinerario prosegue con la Francia, i Paesi Scandinavi, la Gran Bretagna e i Paesi Bassi per terminare con la nazione europea emergente, la Spagna. Oltre oceano il panorama si limita alla descrizione delle componenti e delle tendenze del disegno del prodotto industriale negli Stati Uniti e in Giappone.
Nonostante la chiusura della Hochschule für Gestaltung di Ulma nel 1968, lo spirito di austerità, purezza, funzionalità promosso da quella scuola ha continuato a vivere nelle aziende tedesche e in modo particolare nel vigoroso disegno impresso dalla Braun ai suoi prodotti.
Quest'industria, che si avvale sin dagli anni Cinquanta della consulenza di D. Rams e mantiene le sue posizioni di mercato grazie alla collaborazione di famosi designers industriali, ha creato un vero stile nel settore degli elettrodomestici e degli utensili elettrici: il classico nero opaco della Braun è diventato sinonimo di qualità; la sua severità è la sua bellezza. Gli anni Settanta portano però nel panorama dei prodotti tedeschi − "scatola nera e cilindro bianco" − una nuova allegria di colori. Sempre più forti si fanno sentire le spinte della società del benessere in cui il consumatore viene permanentemente stimolato a nuovi consumi. Anche la Braun si adegua, seppure in via sperimentale, al post-moderno aggiungendo tocchi di colore ai suoi prodotti.
Ma il decennio segna soprattutto l'inizio di un particolare processo di emancipazione: si scoprono nuovi campi di attività, e il design si emancipa dalla posizione di sudditanza dall'architettura. Le scuole d'arte applicata, sino ad allora orientate in senso artigianale, si trasformano in istituti di specializzazione tendenti alla formazione di designers professionali. Sorgono così complessivamente in Germania sedici scuole superiori, accademie e istituti parauniversitari per il disegno industriale. La Neue Sammlung di Monaco diventa museo della cultura industriale. Nasce un design nuovo che s'impegna a favore degli strati più diseredati della popolazione, rivolgendosi ai bisogni degli handicappati, dei malati, degli anziani. Si scoprono anche campi diversi, che raramente erano stati oggetto dell'attivita del designer, come l'arredo urbano e per gli spazi pubblici.
Nei recenti anni Ottanta il design diviene un argomento d'importanza centrale nella società e nell'economia: nel clima di concorrenza internazionale, soprattutto di fronte ai paesi che producono a basso costo, l'economia tedesca riconosce di poter sopravvivere solo con un deciso balzo in avanti nell'ambito della tecnica del design. Con una modellazione globale non solo dei prodotti, ma anche di tutti gli elementi grafici e architettonici − il cosiddetto corporate design già in linea di principio realizzato da P. Behrens nell'attività del primo decennio del secolo per la AEG − la qualità e la funzione si rivestono di raffinatezza. Fra i migliori esempi quelli prodotti da industrie come Erco, Wilkhahn, Lamy, Siemens-Nixdorf, Mercedes Benz e BMW.
Parallelamente procede intensa la ricerca di nuovi linguaggi formali e forme espressive, promossa dagli esempi italiani e dalla scuola post-moderna presente nell'architettura tedesca che esprime un vigoroso giovane movimento di designers. La maggioranza di questi nuovi progettisti (il gruppo Pentagon, Ginbande Design, S. Wewerka, K. Ziehmer, Mobel Perdu, Serien Raumleuchten, B. Sipek, Formfursorge) rifiuta ogni reminiscenza di modellazione funzionale e lavora in un campo intermedio fra arte, nuova decorazione e artigianato, caratterizzato da un forte eclettismo di forme e molta ironia. I nuovi designers non cercano d'inventare continuamente qualcosa di nuovo ma utilizzano e modificano in modo scherzoso ciò che già esiste. Il punto di partenza non è più rappresentato dal prodotto finito. Enfatizzandone la povertà si attira l'attenzione su materiali mai percepiti perché troppo comuni; si fa uso di segni, logo o simboli ripresi più o meno direttamente usandoli in versione modificata e con scopi assolutamente dissimili dagli originali (la stella della Mercedes come schienale di una sedia), o trasponendoli in relazione al loro senso, come una sorta di ornamento contemporaneo.
Nel settore industriale la produzione francese è segnata da una certa discontinuità anche se società automobilistiche come la Renault e la Citroën, e la Moulinex per gli elettrodomestici puntano a caratterizzare i loro prodotti proprio attraverso il disegno. Di grande qualità è in generale la produzione industriale pubblica o comunque in campi d'interesse nazionale, dove meglio si è espresso quell'industrial design high tech che segna le migliori realizzazioni francesi recenti. Nel settore trasporti, in quello aerospaziale, e nell'informazione i prodotti simbolo dei successi ottenuti sono: il TGV, treno a grande velocità nelle sue varie versioni, la famiglia di aerei Airbus, il Minitel, terminale-computer per tutte le famiglie. Un altro settore in cui la Francia ha prodotto risultati interessanti è quello del graphic design, soprattutto nel settore dell'informazione pubblica e culturale in genere; il gruppo Grapus, la cui forma di comunicazione è prevalentemente la satira politica in stile popolare, è certamente, fin dai primi anni Settanta, il più celebre portavoce di questa tendenza.
Si mantiene inoltre, fino a metà degli anni Settanta, un primato francese nella moda femminile, anche se in quel periodo si può dire ormai segnata la fine delle case d'alta moda in senso tradizionale.
Parigi aveva brillantemente fatto fronte alla cultura pop degli anni Sessanta con i modelli di Courrèges, ma il romanticismo degli anni Settanta non ha trovato adeguata risposta tra gli stilisti francesi. Yves Saint Laurent è forse il solo capace di rilanciare, interpretando quella tendenza, il design della moda francese. Il suo stile, d'ispirazione orientale, utilizza tessuti ricchi come il velluto, il broccato e lo chiffon per creare vestiti ampi e voluminosi. All'inizio degli anni Ottanta stilisti giovani, come Th. Mugler e C. Montana, cominciano a modellare il tessuto in modo più disinvolto proponendo modelli dalle spalle ampie e dal taglio a sacco che incontrano grande favore.
La storia recentissima del disegno industriale è caratterizzata da un fenomeno particolare: il successo internazionale del designer Ph. Starck, le cui creazioni hanno prodotto un vero rinnovamento dello spirito francese nelle arti decorative. Eroe nazionale del design, estroverso, Starck è un raffinato progettista di arredi e oggetti post high-tech, facili, graziosi e insieme sofisticati.
Nel settore del design d'interni quello prodotto negli anni Cinquanta e Sessanta nei paesi scandinavi ha esercitato un'influenza enorme sull'ambiente domestico; erano pezzi di arredo sobri, senza ornamenti, che evidenziavano le tecniche di lavorazione e lasciavano le qualità del materiale in vista. Il risultato era quello di fornire modelli per la produzione di massa che avevano le qualità di prodotti artigianali.
Sono divenuti un classico i mobili in legno impiallacciato curvato e in laminato disegnati, sin dall'inizio degli anni Venti, da A. Aalto e che la Artek continua a produrre. Le strutture semplici e le forme lineari di quegli arredi si sono prestate anche a ridurre le fasi di lavoro, d'imballaggio del prodotto finito e del successivo montaggio. Non è un caso che il primo mobile da montare da sé, a metà degli anni Settanta, venga proprio dalla Scandinavia.
Anche negli oggetti d'uso i paesi scandinavi hanno creato un loro inconfondibile disegno proponendo colori puri e forme essenziali. Fra i tanti designers che hanno operato nel settore certamente i finlandesi A. Nurmesniemi e V. Eskolin Nurmesniemi hanno inventato le forme più innovative. Il primo è creatore di mobili semplici, leggermente arrotondati, di utensili da cucina e oggetti d'uso quotidiano; la seconda è ideatrice di magnifici tessuti per l'arredamento e l'abbigliamento. In questo campo i finlandesi vantano poi la celebre produzione della Marimekko, azienda che si avvale oggi del contributo di designers internazionali, e che negli anni Settanta dovette le sue fortune al lancio di semplicissimi abiti e tessuti a grosse righe parallele, la cui squisita eleganza geometrica esprimeva la quintessenza del design nordico.
Gli anni Settanta sono anche quelli di un sostanziale ripensamento del quadro operativo dei progettisti scandinavi. Il concetto del design come strumento per assicurare a tutti un tenore di vita qualitativamente più ricco cedeva il passo a un design fine a se stesso, strumento per potenziare la concorrenzialità nell'industria. Si allargava così la sfera di azione dei designers che, dall'originaria area d'interesse − l'ambiente chiuso della casa − si volgevano anche ai luoghi pubblici, al posto di lavoro, ai mezzi di comunicazione.
Lo studio dell'ergonomia è un esempio delle nuove direzioni intraprese. Criteri ergonomici sono adottati da nuovi studi di design come, per es., in Finlandia da Ergonomia Design o a Stoccolma dall'Ergonomi Design Gruppen e ampiamente sfruttati. Il risultato di questi studi, in parte finanziati dallo stato, sui rapporti del sistema uomo-macchina-ambiente di lavoro sono nuove macchine utensili per l'industria della lavorazione del legno, attrezzature antinfortunistiche per l'edilizia, attrezzature per la saldatura in metallurgia: realizzazioni il cui disegno discende non tanto dal fattore estetico quanto da principi di ergonomia applicati al rapporto uomo-macchina.
Questo dell'applicazione dell'ergonomia si è quindi configurato come uno dei poli del moderno design scandinavo. I principi derivati da ricerche ergonomiche sono stati estesi dallo svedese Ergonomi anche agli utensili da cucina e, addirittura, agli abiti da lavoro. Due esponenti del gruppo, M. Bencktzon e S.E. Juhlin, hanno messo a punto attrezzature e accessori d'arredamento per disabili, studiati proprio per persone con forza fisica e capacità di movimento limitate. Sempre dagli studi ergonomici vengono i primi apparecchi telefonici a tastiera, come il modello F78 della GN Telematics, disegnato da H. Andreassen.La nuova frontiera del design scandinavo è oggi quella dell'ecologia: si tratta di ritrovare la filosofia tipica del design nordico nella produzione di beni compatibili e in accordo con l'ambiente.
Nel panorama del design britannico dell'ultimo trentennio emergono due personaggi: T. Conran e M. Quant. La metà degli anni Settanta conferma definitivamente in Gran Bretagna l'affermazione dei negozi Habitat creati da T. Conran nel decennio precedente e destinati a un successo e a un'espansione a livello mondiale. Dapprima attrezzature per cucina di buona qualità, eccellenti mobili disegnati da Conran stesso, poi l'intera gamma di articoli d'uso domestico (dagli apriscatole alle federe, dalle lampade ai tessuti) costituiscono la sequenza dei prodotti offerti. Tutti vivacemente colorati, dalla linea pulita e senza pretese, pubblicizzati da cataloghi ben illustrati fatti per il mercato delle ordinazioni postali, questi oggetti semplici ma insieme gioiosi costituiscono la base del successo della catena.
I prodotti di Habitat fanno tesoro dell'esperienza del decennio precedente, quando l'influenza della pop art aveva originato in Gran Bretagna un'intensa rilettura dell'ambiente materiale alla luce d'un rinnovato interesse per gli oggetti della cultura di massa. Ne era nata una nuova sensibilità verso la grafica, la moda, la progettazione di mobili e di architettura, e design di piccoli oggetti d'uso. Lo stesso concetto, ormai datato, di ''buon design'' era sostituito da un insieme di criteri che privilegiavano il gioco, l'effimero, la decorazione di superficie e l'espressività: la sedia ''di carta'' di P. Murdoch, i vassoi Union Jack di P. Clark, gli orologi, i poster psichedelici di M. English sono tra le immagini più durature di quell'eccitante decennio sperimentale.
Nello stesso anno in cui Conran apriva a Londra (1964) il suo primo negozio Habitat, M. Quant lanciava la minigonna, un abito destinato a fare epoca, e, insieme a questa, proponeva un panorama intero di abiti in cui era enfatizzato il carattere giovanile, scherzoso, attraverso il taglio semplice, geometrico e l'abbinamento di colori forti. I vestiti sono insieme economici e confortevoli: alta moda disponibile per tutti. Al pari di Conran, la Quant lanciava anche una concezione del grande magazzino per il commercio dei suoi abiti come piacevole luogo d'incontro e non solo di vendita, che farà scuola al pari della sua moda. Gli abiti della Quant hanno a tal punto simbolizzato la Londra degli ultimi anni Sessanta che nel 1973-74 il London Museum le dedica una mostra intitolata ''La Londra di Mary Quant''.
Negli stessi anni altri designers di moda seguono il successo della Quant: B. Gibb, O. Clarke, J. Banks. Interessante il caso di L. Ashley, disegnatrice di tessuti e di moda, che realizza − utilizzando i medesimi disegni floreali − tessuti, carte da parati, abiti in romantico stile vittoriano per un pubblico di massa. Grazie a questi vestiti in cotone stampato si diffonde nel paese, e dura ancora oggi, una forma di nostalgia della campagna, che dagli abiti si è estesa sino a influenzare lo stile delle confezioni alimentari, cui l'adozione di temi ottocenteschi o campagnoli vuole conferire un ''sapore casalingo''.
Più di recente nel design degli oggetti d'uso si è fatto strada un atteggiamento sensibile agli sprechi energetici, alla durata, alla facilità d'uso. Esemplifica questa tendenza la cabina del camion T45 (1980) disegnata dalla Ogle Design per la Leyland, rivoluzionaria in quanto pone l'accento sulla comodità e sulla sicurezza; del resto il nuovo simbolo dell'Inghilterra automobilistica è l'Austin Metro: economica, sicura e facile da parcheggiare.
Anche l'architettura risente dell'influenza del design industriale; opere come la sede centrale della Lloyds Bank, a Londra, di R. Rogers (1979-84) o il terminal aeroportuale londinese di Stansted, realizzato da Norman Foster Associates (1990), tentano un'umanizzazione della costruzione, accostando in maniera eccentrica fantasia creativa ed elementi high tech, come travi maestre e tiranti metallici in vista, sottolineati dall'impiego di colori primari.
Se negli anni Settanta e Ottanta anche in Gran Bretagna si sono moltiplicati i prodotti ''firmati'', si è anche sviluppato un movimento volto alla rinascita dell'artigianato che ha prodotto un certo numero di interessanti oggetti, visti come prototipi per la produzione industriale di serie, come i mobili di F. Van der Broecke, J. Morrison, D. Lane,T. Dixon e A. Dubreuil o i gioielli di S. Heron e C. Broadhead, in materiali poveri e del tutto fuori del comune.
Da questa tendenza sono derivati oggetti come la radio Bag, disegnata da D. Weil (1981), un apparecchio assemblato in maniera libera all'interno di un sacchetto di plastica trasparente, e gli impianti di sonorizzazione inseriti in supporti in cemento di R. Arad (1985): si tratta di esempi forse isolati del d.i. inglese d'avanguardia di questo decennio, che si sono però rivelati importanti come stimoli verso un approccio radicalmente nuovo all'estetica e al significato del prodotto industriale.
Il contributo più significativo portato dai Paesi Bassi allo sviluppo del design è principalmente rivolto al campo della grafica nei settori di pubblica utilità: segnali per la pubblica informazione, francobolli, banconote, corporate design delle grandi aziende pubbliche sono i settori per eccellenza in cui si è mossa l'esperienza olandese.
Il Total Design, studio di consulenza fondato da F. Kramer nel 1962 ad Amsterdam, è stato uno dei primi a rivoluzionare il gusto grafico ricorrendo a caratteri puliti, freschi ed eleganti; fra i suoi innumerevoli prodotti di qualità si pongono il marchio delle poste olandesi (PTT) e la serie di manuali per il ministero dell'Istruzione e delle Scienze.
Il sistema Mehes, parola che deriva dalle iniziali di mobility ("mobilità"), efficiency ("efficienza"), humanisation ("umanizzazione"), environment ("ambiente") e standardisation ("standardizzazione"), per la suddivisione dello spazio ufficio e del suo arredo, ideato da Kramer nei primi anni Settanta, introduce concetti di flessibilità, ergonomia e trasparenza negli ambienti di lavoro che hanno prodotto soluzioni qualitativamente eccellenti. L'adozione del sistema Mehes nella Hong Kong and Shangai Banking Corporation a Hong Kong (architetto N. Foster, 1986) non è che la conferma più recente della validità di un'idea che fonde qualità del disegno e bisogni individuali.
G. Dumbar, dello Studio Dumbar dell'Aia, è un altro designer famoso per le sue opere grafiche e per gli allestimenti di mostre. I suoi committenti sono ancora soprattutto nel settore dei servizi pubblici: le poste, le ferrovie, molti musei e uffici governativi. Caratteristica del lavoro di Dumbar è l'imprevedibilità con cui risponde alle esigenze del cliente; un esempio eloquente è il lettering che ha creato per le poste olandesi basandosi su caratteri dattilografici elaborati a mano per renderli più ''amichevoli''.
R. Oxenar ha lasciato un'impronta significativa sul design olandese con il disegno della carta moneta. È del 1966 il suo primo incarico per una serie di banconote piacevolmente originali e ben distinguibili tanto per l'uso particolare del lettering quanto per i colori vivacissimi e per i profili stilizzati dei personaggi celebri rappresentati. Le banconote mostrano un'innovativa abilità nel coniugare le possibilità tecniche del disegno e le esigenze di sicurezza richieste dalla banca centrale. Negli anni Settanta Oxenar disegna ancora una nuova serie di banconote dai colori brillanti e dalle composizioni ancora più avventurose, in cui motivi tratti dalla natura prendono il luogo dei tradizionali ritratti. Oxenar ha saputo fin qui dimostrare come un lavoro grafico dal carattere così pubblico e un po' asettico qual è il disegno di banconote possa ancora essere un'espressione originale e personale.
Sulla scia del rinnovamento del disegno delle banconote B. Ninaber ha elaborato all'inizio degli anni Ottanta una nuova serie di monete, caratterizzate da una forte stilizzazione grafica dei segni.
Nel settore del design la Spagna è un paese dallo sviluppo recente. La struttura sociale in rapido mutamento e una situazione economica in crescita hanno favorito lo sviluppo di una classe media più ampia e con essa quello di un mercato più esigente. L'entrata della Spagna democratica nella CEE è stato un altro fattore importante per il risveglio del disegno, giacché i suoi prodotti hanno dovuto affrontare la concorrenza internazionale. La creatività spagnola ha trovato spazio nel particolare trattamento con cui gli aspetti tecnologici sono visti attraverso il filtro della sua peculiare sensibilità e fantasia. Il d.i. è così, in pochi anni, penetrato a fondo nella società spagnola.
Il fiorire del nuovo design spagnolo può farsi coincidere con la creazione nel 1973 del Barcelona Centro de Diseño (BCD), nato con l'appoggio di alcune istituzioni finanziarie catalane che ne comprendono l'interesse per il futuro sviluppo industriale del paese. Il BCD ha dato vita a molteplici attività d'informazione e di promozione del d. i. organizzando esposizioni, conferenze e seminari, pubblicizzando presso il pubblico o l'industria, e sensibilizzando le autorità. Sebbene abbia sede a Barcellona, la sua area di attività si è presto estesa a tutta la Spagna: nel 1987, in collaborazione col ministero dell'Industria, ha creato i premi nazionali di disegno, un momento importante per il lancio di nuovi professionisti.
Nonostante l'approccio con il mondo del design sia recente, la Spagna vanta già designers di fama internazionale. Nel campo della moda l'innovativa Sybilla ha legato il suo nome ad abiti dalle forme e colori immediatamente riconoscibili, simmetrici, prodotti con nuove tecniche di filatura che prevedono anche l'introduzione di metalli nei filati: abiti elaborati, ma sempre molto eleganti. Nel campo dell'arredamento progettisti come C. Riart, O. Tusquets Blanca, J. Pensi, hanno prodotto un disegno dalla forte identità, segnata dal riferimento a un high tech temperato dall'uso di forme organiche e antropomorfiche. Personaggio simbolico di questa nuova vivacità è J. Mariscal, un creativo dotato di grande personalità: disegnatore satirico e di fumetti che riflettono il caos della società attuale, progetta mobili e lampade con forte gusto grafico e coloristico; sua è la mascotte dei giochi olimpici del 1992.
Non molte sono le novità che negli ultimi decenni giungono nel settore dell'industrial design dagli Stati Uniti, paese che pure nel passato ha potentemente contribuito alla configurazione di questa disciplina. Gli anni Settanta sono un periodo di crisi: l'opulento sistema economico americano che ha abituato i consumatori a cambiare con rapidità i prodotti, sempre contrassegnati da un nuovo disegno, non è più in sintonia con lo stato d'animo generale. Le spese per la guerra del Vietnam e la crisi del petrolio nel 1973-74 danno infatti un colpo decisivo non solo all'economia statunitense, ma a un intero sistema culturale legato al binomio produzione-consumo. Si diffonde l'esigenza di prodotti meno stravaganti e più attenti al risparmio energetico, che viene però non interamente compresa dalla produzione nazionale, creando così le condizioni favorevoli alla massiccia introduzione sul mercato statunitense di prodotti europei e soprattutto giapponesi.
Dalla fine degli anni Ottanta si pongono in evidenza alcuni autori, portabandiera del disegno post-moderno che, come l'architetto M. Graves, sviluppano un nuovo lessico formale riecheggiante gli stili classici del passato ravvivati dal colore e da motivi decorativi. I progetti di Graves per gli showrooms della Sunar prevedono monumentali pastiches con colonne e trabeazioni modanate messi in evidenza da colori freschi e contrastanti. Graves progetta anche articoli d'arredamento con allusioni surrealiste e un uso del colore nel migliore spirito post-moderno. Un altro settore nel quale gli Stati Uniti hanno, negli ultimi anni, portato un contributo inaspettato è quello della moda, con un consistente gruppo di validi stilisti quali C. Klein e R. Lauren.
Un vero gigante nel settore del d.i. contemporaneo è certamente il Giappone. Sino a dieci anni addietro la qualità del disegno sembrava non interessare troppo questo paese teso piuttosto a raggiungere la supremazia in alcuni settori industriali puntando su economicità e funzionalità dei prodotti. Ma gli anni recenti stanno mostrando come esso non solo non segua più l'indirizzo occidentale, ma imponga la sua linea per un gran numero di prodotti.
A partire dalla metà degli anni Settanta il Giappone consolida la sua posizione di punta nei settori dell'industria elettronica, delle automobili e delle motociclette.
Le fabbriche d'auto Toyota, Honda, Mazda e Nissan hanno per alcuni anni realizzato veicoli famosi più per la loro sicurezza ed economicità che per la qualità del disegno. Senza dubbio più importante è il contributo dato da Honda, Yamaha e Suzuki che hanno prodotto ottime moto al cui costo non elevato ha fatto da contrappunto un design essenziale, all'avanguardia, che ha rivoluzionato il settore. La capacità di soddisfare i gusti informali dei giovani si manifesta anche nelle mini-jeep a quattro ruote motrici della Suzuki e della Daihatsu.
La prima azienda ad affrontare in maniera complessiva e coerente il tema della qualificazione del disegno dei propri prodotti è la Sony, che negli anni Settanta crea un proprio centro di studi del mercato e di progettazione da cui esce l'idea del più innovativo prodotto della casa, il registratore stereo a cassetta, portatile, Walkman. Nel gennaio del 1982, a quattro anni dal suo lancio, ne sono già stati venduti quattro milioni: un successo clamoroso. Combinando felicemente alta tecnologia e qualità estetiche, la Sony inventa anche tutta una gamma di prodotti per il tempo libero collegati al sistema stereo Walkman.
Stimolate da una riuscita tanto clamorosa tutte le grandi case giapponesi cominciano a istituire al loro interno centri di studio e ricerca degli stili di vita emergenti nella società, per cercare d'individuare in maniera sempre più precisa le esigenze dei nuovi consumatori. Risultato di queste ricerche sono, per es., le sofisticate segreterie telefoniche e i nuovi fax compatti.
Gli anni Ottanta vedono un interesse sempre più profondo del Giappone verso il d. industriale. Nel 1981 viene istituita la Japan Design Foundation, sostenuta da forti sovvenzioni governative, che organizza ogni anno a Osaka festival internazionali di design premiando sia progetti specifici, sia attività di promozione in favore del design di qualità. Il numero complessivo dei designers giapponesi cresce e nel 1985 ammontava a ben 120.500.
Mentre il Giappone assume questa nuova coscienza del design, i suoi progettisti iniziano a lasciare il disegno funzionalista degli anni a cavallo fra il Settanta e l'Ottanta e a essere influenzati dal post-moderno verso un'integrazione nell'oggetto di forma espressiva e colore. La tendenza si manifesta in una serie di prodotti di mercato come la macchina fotografica Canon rossa e la radio rosa della Sharp e giunge fino alle poltroncine di S. Kuramata, in plexiglass nelle quali sono inclusi veri ramoscelli con foglie (sedie Miss Branch, 1989).
Anche se la sua industria si basa sull'innovazione, il Giappone non rinnega le vecchie tradizioni artigianali e artistiche. Gli alti livelli del graphic design, per es., affondano le loro radici nell'antica arte giapponese dell'illustrazione. Nei suoi poster I. Tanaka rivela l'influenza della calligrafia tradizionale e la stilista I. Miyake realizza con tessuti drappeggiati forme insolite legate allo stile tradizionale giapponese. E proprio nel disegno della moda si è aperto per la cultura giapponese un nuovo settore di successo. Stilisti come Miyake e Y. Yamamoto hanno infranto le regole della haute couture ridisegnando attraverso una nuova essenzialità l'abito femminile e acquistano una posizione di rilievo nell'universo parigino della moda.
Negli anni Ottanta il fenomeno del design entra quindi in pieno boom: designers stranieri vengono chiamati a lavorare in Giappone, mentre progettisti giapponesi divengono celebri all'estero. Il design acquista un ruolo di primo piano nella stessa definizione dell'identità della cultura produttiva del paese. A Tokyo sono costituiti due grandi gruppi che riuniscono ciascuno varie industrie: l'uno, il Tokyo Creative, raccoglie dieci aziende, tra cui Sharp e Suzuki, con l'obiettivo di studiare e lanciare insieme nuovi prodotti, scavalcando la diversità dei settori; l'altro, il Tokyo Design Network, cui aderiscono Canon, Sony, Nissan, Nec e Hitachi, si propone invece di studiare, dal punto di vista del design, le strategie che le industrie giapponesi dovranno adottare per sostenere adeguatamente il loro ruolo internazionale. Vedi tav. f.t.
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