disdegnare
Verbo penetrato nel lessico italiano e dantesco per il tramite della lirica trobadorica (provenzale desdenhar); comune ai siciliani e a Guittone col senso di " sdegnare ", " non voler amare ", è termine proprio e figura psicologica della convenzione dell'amore cortese. In Rime LXXX 5 Tanto disdegna qualunque la mira / che fa chinare gli occhi di paura, è riferito alla donna, allegoricamente alla filosofia, altera e schiva verso coloro che non sanno concepirne il valore, e comporta senso opposto a quello significato al v. 22 della stessa ballata, degnasse di guardare un poco altrui, com'è confermato anche dal confronto con Cv III XV 19, dove la filosofia è detta disdegnosa, ché non mi volgea l'occhio.
Nei due esempi della Commedia, la parola sta un grado più su che il semplice ‛ sdegnare ' (v.), denotando in confronto una netta distanza morale, in Pd XXXIII 6, dove è detto che in Maria il divino fattore non disdegnò di farsi sua fattura, umiliandosi a incarnarsi nell'uomo (e cfr. Pd VII 118-120); e in Pg IX 27, dove il verbo è riferito all'aquila, che solleva in sogno D. dalla valletta dei principi alla porta del Purgatorio, e che forse d'altro loco / disdegna di portarne suso in piede, cioè ritiene non degno di sé il levare prede da altri luoghi.