DISCO (δίσκος; discus)
Piastra rotonda a facce piane, di grandezza, spessore e materia variabili; è oggetto di grande importanza negli esercizî ginnastici o atletici. L'esercizio del disco risale ai tempi eroici. Nel mondo mitologico furono famosi alcuni lanci di disco, come quello con cui Apollo causò involontariamente la morte del giovinetto Giacinto, e quell'altro al quale Aerzio dovette la morte per mano di Perseo, che pure lo colpì senza volerlo. Nei poemi omerici si parla più volte del lancio del disco, in particolar modo nella descrizione dei ludi in onore di Patroclo e in quella dei giuochi presso i Feaci, dove Ulisse appunto compie un meraviglioso lancio.
Il disco fu dapprima di pietra, poi di metallo, per lo più ferro o bronzo, e fors'anche di piombo; era rotondo e lenticolare: più spesso quindi al centro che alle estremità: Luciano (Anacarsi, 27) lo paragona a un piccolo scudo senza impugnatura e senza correggiolo. Naturalmente le proporzioni variano; l'esercizio consisteva nell'afferrare il disco con la mano destra, con adesione perfetta di tutte le dita alle due facce, nel sollevarlo all'indietro di un quarto di giro con il braccio teso, e finalmente, ripiegandosi e alzandosi di scatto con tutta la persona, nel gettare il disco in avanti, imprimendogli tutto lo slancio possibile così da fargli toccare terra nel punto più lontano. Accurate descrizioni del disco ci sono date da Stazio (Tebaide, VI, 670 segg.) e da Filostrato (Immagini, 124).
Nelle gare ginnastiche nazionali greche, in Olimpia e altrove, dischi di bronzo venivano offerti in dono come ex-voto alle maggiori divinità. Un disco di bronzo, rinvenuto in Sicilia e conservato nel British Museum di Londra, ha il diametro di cm. 22 e porta incisa sopra una faccia la figura di un atleta che si prepara al salto. Un disco simile, figurato sulle due facce, si trova al Museo di Berlino. Fuori esercizio, per comodità di trasportoi oltre che per la migliore conservazione, il disco metallico veniva tenuto dentro una custodia o busta, probabilmente di cuoio.
La popolarità del gioco del disco nel mondo greco rendeva popolari coloro che vi si distinguevano. Di conseguenza, le arti figurative, pittura e scultura, trattarono infinite volte il tema del lanciatore di disco (δισκοβόλος, discobolus) e cioè su pitture vascolari (del secolo VI e V a. C.), in rilievi marmorei, monete e statue, queste ultime eseguite spesso dai migliori artisti greci (v. mirone). In una successione numerosa e variata di monumenti figurati, si possono ancora seguire la figura dell'atleta discobolo in tutte, si può dire, le fasi e i passaggi dell'azione, dal momento in cui l'atleta prende posizione, essendo ancora in istato di riposo (come nella statua detta appunto il Discoforo che si trova nel museo Vaticano) all'atto fulmineo e definitivo del lancio.
Col crollo della civiltà antica il disco scomparve al pari di quasi tutti gli altri esercizî ginnici e ne riparlerà solo l'italiano Mercuriale (De arte gymnastica, 1573). Gli Svedesi s'impadronirono di questo sport, modificandone lo stile di lancio, cioè aggiungendo la rotazione del corpo. Il peso del disco (di legno e bronzo a forma lenticolare), che alle Olimpiadi classiche era di circa kg. 1,923, è ora di kg. 2 per gli uomini e di kg. 1 per le donne. Il lancio, che in antico veniva fatto da una piattaforma quadrangolare, ora si effettua da una piattaforma circolare di metri 2,50 di diametro. Dal 1896 il lancio del disco fece parte dei giuochi olimpici (v.) sia come gara individuale sia come parte del decathlon.
Liturgia. - Nel rito bizantino viene chiamata disco la patena dei latini. È un po' più grande di questa, con un orlo per ritenere più facilmente le particelle di pane consacrato, talvolta numerose: in Russia è sostenuto da un piede di metallo.
Bibl.: E. Saglio, in Daremberg e Saglio, Dictionn. des antiq. grecques et romaines, II, 1, p. 277 segg.; Jüthner, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., V, col. 1188 segg.; E. N. Gardiner, Greek athletic sports and festivals, Londra 1910, p. 313 segg.; W. Woodburn Hyde, Olympic Victor Monuments and Greek Athletic Art, Washington 1921, pp. 22, 217 segg. Per i tempi moderni vedi E. Brambilla, Atletica leggera, Milano 1929.