DISARMO
In senso assoluto: equivale ad abolizione di ogni armamento bellico; in senso relativo, a riduzione o limitazione degli armamenti. Concepito per il passato da un punto di vista esclusivamente unilaterale, il disarmo rappresenta per lo più un onere imposto dal vincitore al vinto nelle condizioni di pace; sotto questo aspetto si può dire che l'idea del disarmo è antica quanto il genere umano e la storia offre esempî di sue applicazioni in ogni epoca. Il concetto del disarmo bilaterale o plurilaterale si fa strada nei tempi moderni col progresso dei principî pacifisti e col miraggio dell'abolizione della guerra quale mezzo di soluzione violenta dei conflitti internazionali. Ma, mentre il disarmo unilaterale ha trovato spesso attuazione sia in senso assoluto sia in senso relativo, il disarmo bilaterale o plurilaterale ha cominciato ad assumere soltanto dopo la pace di Versailles (1919) qualche consistenza sotto la forma di limitazione e di graduale riduzione degli armamenti.
In virtù dell'art. 8 del Patto della Società delle Nazioni gli stati membri hanno riconosciuto "che il mantenimento della pace esige la riduzione degli armamenti nazionali al minimo compatibile con la sicurezza nazionale" e hanno affidato al Consiglio della Società stessa il compito di studiare le modalità per raggiungere questo fine. Nel dicembre 1925 il Consiglio costituì la Commissione preparatoria della conferenza del disarmo, cui parteciparono tutti gli stati membri della Società delle Nazioni interessati, nonché gli Stati Uniti d'America, la Russia e la Turchia. Terminati i lavori preliminari nel dicembre 1930, la Conferenza generale del disarmo, incaricata di elaborare la relativa convenzione internazionale, venne convocata per il 2 febbraio 1932. In base a una proposta presentata dalla delegazione italiana, l'Assemblea della XII Conferenza della Società delle Nazioni si pronunziò nel settembre 1931 in favore di una tregua degli armamenti per un anno. La tregua, cui aderirono 53 stati, entrò in vigore il 1° novembre 1931.
La questione della riduzione degli armamenti è assai complessa, sia per la connessione pregiudiziale che specie alcune potenze hanno inteso di attribuirle col problema della sicurezza nazionale e con quello dell'arbitrato obbligatorio per i conflitti fra gli stati, sia per la triplice natura degli armamenti (terrestri, navali e aerei), sia ancora per la distinzione fra l'elemento materiale e l'elemento umano, sia infine per l'influenza dei fattori politici, geografici, economici, sulla determinazione del cosiddetto potenziale bellico. L'esistenza di dominî coloniali ha inoltre posto il quesito della distinzione fra armamenti metropolitani e armamenti d'oltremare. Varî criterî sono stati prospettati per la valutazione degli armamenti in uomini (contingenti di leva, effettivi sul piede di pace e riserve istruite) e in materiali (mobili o fissi, dotazioni e scorte pronte per la mobilitazione, magazzini e opifici militari, impianti bellici, attrezzamento industriale, ecc.); nonché per una limitazione indiretta (spese massime consentite nei bilanci) o diretta (numerica, per capi e per categorie di materiali), in relazione alla natura diversa dei problemi tecnici.
Il disarmo navale. - Speciale importanza ha assunto la questione del disarmo navale tra le principali potenzé marittime, per mantenere le flotte da guerra entro i limiti di una determinata quota di tonnellaggio. Sono state prese in esame diverse modalità per raggiungere il fine:1. determinare una quota di tonnellaggio globale unica e lasciare ai diversi stati libertà di costruire nei limiti di essa le diverse categorie di navi, cioè navi da battaglia, navi portaerei, incrociatori leggieri, cacciatorpediniere, sommergibili, secondo le proprie esigenze particolari di sicurezza; 2. determinare una quota totale di tonnellaggio per ciascuna di dette categorie; 3. determinare una quota totale per i diversi tipi che entrano in ciascuna categoria: per es., per gl'incrociatori leggieri, una quota per quelli di 10.000 tonn., e una per quelli di tonnellaggio inferiore.
Col trattato di Washington del 6 febbraio 1922, Gran Bretagna, Giappone, Stati Uniti, Italia e Francia procedettero a una prima riduzione degli armamenti navali, limitando le navi da battaglia e le navi portaerei. Il metodo adottato fu il secondo; una quota totale per una determinata categoria di navi. La proporzione di riduzione per i cinque stati è comunemente indicata con la formula 5 : 5 : 3 : 1,67 : 1,67, che significa una assegnazione per le navi di battaglia di 525.000 tonn. agli Stati Uniti e Gran Bretagna, 315.000 tonn. al Giappone e 175.000 all'Italia e alla Francia. Fu convenuto inoltre che gl'incrociatori leggieri non potevano superare il tonnellaggio di 10.000 tonn. con cannoni da 203 mm. Questa unità suole chiamarsi incrociatore tipo Washington.
Gli studî per arrivare a un'ulteriore riduzione degli armamenti navali furono ripresi dalla commissîone preparatoria della Conferenza per il disarmo. Su invito del presidente Coolidge, si riunì a Ginevra nel giugno-agosto 1927 una conferenza per limitare tutte le categorie di navi non regolate dal trattato di Washington. La conferenza, detta tripartita, perché ad essa parteciparono Gran Bretagna, Stati Uniti e Giappone, avendo rifiutato di aderirvi Italia e Francia, si chiuse senza risultato per la divergenza sugl'incrociatori leggieri tra i due primi stati. Per le stesse ragioni fu respinto dagli Stati Uniti il progetto di accordo concordato tra la Francia e l'Inghilterra nel luglio 1928, che va sotto il nome di compromesso navale. Esso si proponeva di ridurre gl'incrociatori leggieri da 10.000 tonn. e inferiori, portanti cannoni superiori a 152 mm. e i sommergibili superiori a 600 tonn.: riduzioni cioè per tipi di navi entro una determinata categoria. L'Italia, sempre ferma nella sua tesi della riduzione per tonnellaggio globale, secondo il metodo 1°, non si associò al progetto franco-inglese.
I negoziati fra le cinque potenze furono ripresi nel gennaio 1930 con la Conferenza di Londra che si chiuse il 22 aprile con un accordo limitato agli Stati Uniti, Gran Bretagna e Giappone, non essendosi potute conciliare allora le divergenze navali franco-italiane. In base a questo trattato un regime di parità navale veniva di fatto riconosciuto agli Stati Uniti di fronte alla Gran Bretagna; un aumento di tonnellaggio era concesso al Giappone sulla quota di Washington; il limite per la sostituzione di navi da battaglia antiquate era prorogato fino all'anno 1936 e si fissavano altresì le quote relative agl'incrociatori, ai cacciatorpediniere e ai sottomarini; venivano stabilite alcune norme per rendere più umano l'uso dei sommergibili.
Le conversazioni successivamente riprese e interrotte fra i delegati italiani, francesi e britannici pervenivano nel marzo 1931 all'accordo parafato a Roma, per la conseguente adesione dell'Italia e della Francia al trattato di Londra. Tale accordo non intendeva stabilire alcuna proporzione permanente in qualsiasi categoria di navi fra Gran Bretagna, Francia e Italia. Queste due ultime potenze convenivano tuttavia di rinunciare praticamente al diritto di costruire, entro il 1936, le 175.000 tonnellate di navi di linea stabilite a Washington, accettando di non completare rispettivamente più di due unità di stazza e armamento inferiori al limite già consentito, e cioè due navi da 34.000 tonn. con cannoni da 305 mm.; Italia e Francia limitavano altresì il tonnellaggio complessivo di navi portaerei a 34.000 tonn. e si accordavano sulla parità degl'incrociatori tipo Washington (7 navi da 10.000 tonn. per ognuno dei due stati). Circa il restante naviglio leggiero di superficie, nessun aumento di tonnellaggio in servizio doveva aver luogo per tutta la durata dell'accordo. La differenza fra le due flotte sottomarine risultava diminuita essendo fissato per l'Italia un limite di tonnellaggio eguale a quello stabilito a Londra per la Gran Bretagna, il Giappone e gli Stati Uniti, senza precludere la possibilità di un'ulteriore riduzione della quota francese di sommergibili in servizio. In sostanza l'accordo di Roma, integrando e perfezionando il trattato di Londra realizzava una vera e propria vacanza navale, assoluta per certe categorie di navi e relativa per alcune altre, per la durata di sei anni.
Le mutue concessioni fatte dall'Italia e dalla Francia permettevano un'effettiva riduzione delle costruzioni navali e, dimostrando praticamente la possibilità del disarmo in genere, facilitavano il compito assunto dalla Società delle Nazioni anche in materia di forze terrestri e aeree. Si affermava altresì il principio, propugnato dall'Italia, che la riduzione effettiva degli armamenti costituiva di per sé stessa elemento di sicurezza e principale condizione per il mantenimento della pace. Sennonché il governo francese intese dare agl'impegni assunti a Roma dai proprî delegati un'interpretazione eccessivamente restrittiva, tale da mettere in causa la sostanza stessa dell'accordo. Rimaste pertanto senza risultati pratici nuove conversazioni tra i due governi, si giunse all'apertura della Conferenza generale del disarmo senza alcuna ratifica del compromesso di Roma da parte della Francia.
La preminenza data al disarmo navale in seno al problema generale della riduzione degli armamenti dipende da due principali fattori:1. le forze navali sono quelle che esercitano maggiore peso nei rapporti internazionali; 2. il materiale navale, per la sua costruzione, chiede un tempo di gran lunga superiore a quello necessario per la l'allestimento delle forze aeree e terrestri.
Rientrano nella questione generale del disarmo anche i lavori della Società delle Nazioni relativi al commercio internazionale delle armi (Convenzione internazionale di Ginevra del 17 giugno 1925); alla fabbricazione privata delle armi e delle munizioni; all'interdizione della guerra chimica e batteriologica (Prot. di Ginevra del 17 giugno 1925).