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Diritto dell'imputato all'interprete e alla traduzione degli atti

di Daniela Chinnici - Libro dell'anno del Diritto 2015
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Diritto dell’imputato all’interprete e alla traduzione degli atti

Daniela Chinnici

Il contributo illustra in sintesi le modifiche in materia di interpretazione e traduzione degli atti nella disciplina del c.p.p., in attuazione della direttiva europea 2010/64/UE, sottolineando la maggiore garanzia del diritto alla partecipazione consapevole al procedimento per l’alloglotta, al fine di assicurare una difesa il più possibile consapevole.

La ricognizione. Direttiva europea e giurisprudenza nazionale

Con il d.lgs. 4.3.2014, n. 32 – su delega al governo con l. 6.8.2013, n. 96 – è stato riscritto l’art. 143 c.p.p. e modificate altre disposizioni, recependo la direttiva 2010/64/UE sul diritto all’interprete e alla traduzione degli atti per l’imputato alloglotta.

Il favore verso la consapevolezza dell’interessato alla partecipazione al procedimento era stata mostrata da parte del Giudice delle leggi1 e della giurisprudenza di legittimità2, che, quanto al ruolo dell’interprete, avevano già distratto la disciplina dall’area dei soggetti ausiliari della pubblica accusa e del giudice verso quella della persona sottoposta al procedimento penale che non conosce la lingua italiana, nella logica, appunto, dell’effettività del diritto di difesa.

Il “filo rosso” che lega la giurisprudenza interna, la direttiva europea e la riforma de qua è la consapevolezza della necessità di predisporre un concreto ausilio all’accusato per la comprensione dei fatti addebitati, dei diritti e delle facoltà spettantigli al fine di garantire l’effettiva partecipazione dell’alloglotta sottoposto al procedimento, così assicurando l’effettività del diritto di difesa in tutte le pieghe delle dinamiche del procedimento penale.

Dall’onere di verifica in concreto della capacità linguistica dell’accusato, indipendentemente dalle richieste delle parti, con l’obbligo di immediata reazione nel caso di accertata incapacità, si è giunti alla formalizzazione del riconoscimento del diritto alla comprensione, tramite ricorso all’interprete e alla traduzione degli atti, con un regime visibilmente irrigidito3.

Una certa flessibilità è rimasta, se si pensa che, per una vasta gamma di atti, la tutela del diritto alla partecipazione consapevole è in concreto affidata alle valutazioni del giudice, in quanto è costui a disporre la traduzione qualora gli atti gli appaiano essenziali per consentire all’imputato di conoscere la accuse: l’area, così, da una interpretazione letterale, appare più circoscritta rispetto a quella tracciata dalla direttiva europea, atteso che, ivi, all’art. 3, par. 1, è stabilita la traduzione per tutti gli atti che incidono sul diritto di difesa e sull’equità del procedimento.

Nella direttiva è stabilito che, indipendentemente dall’esito del procedimento, gli Stati membri devono sostenere i costi dell’interpretazione e traduzione, da adempiere «entro un periodo di tempo ragionevole», nonché dare atto a verbale della sottoposizione dell’alloglotta a interrogatori o a udienze con l’assistenza dell’interprete, della ricezione di una traduzione orale o di un riassunto orale dei documenti fondamentali ovvero della rinuncia da parte dell’interessato al diritto alla traduzione dei documenti.

La focalizzazione. L’innesto normativo nel codice di rito

Rispetto allo standard europeo, la tutela dell’alloglotta appare rafforzata, attesa l’impossibilità della traduzione orale o per riassunto (art. 3, par. 4) o dei passaggi salienti dell’atto (art. 3, par. 7). L’art. 143 c.p.p. prevede infatti la traduzione in forma scritta.

Peraltro, per gli atti di cui al co. 1, la traduzione, da svolgere «entro un termine congruo», è obbligatoria e in forma integrale: si tratta dell’informazione di garanzia, dell’informazione sul diritto di difesa, dei provvedimenti che dispongono misure cautelari personali, dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari, del decreto che dispone l’udienza preliminare, della citazione a giudizio, delle sentenze e dei decreti penali di condanna.

Il legislatore non ha, tuttavia, previsto sanzioni per l’omessa o scadente traduzione degli atti, in ciò discostandosi dall’art. 3, par. 5, della direttiva in cui è riconosciuto il diritto a impugnare le decisioni che dichiarano superflua la traduzione di atti, come pure la scadente qualità della operazione.

Quanto agli atti ritenuti essenziali, la traduzione d’ufficio o su istanza di parte è facoltativa, oltre che non necessariamente integrale, potendo essere limitata ai passaggi fondamentali; il provvedimento reiettivo è impugnabile unitamente alla sentenza.

L’accertamento sulla conoscenza della lingua italiana (art. 143, co. 5, c.p.p.) conferisce ulteriore concretezza al riconoscimento di una partecipazione consapevole dell’alloglotta, atteso che, ai sensi dell’art. 143, co. 6, c.p.p. costui ha diritto al traduttore anche nel caso in cui il giudice, il p.m. o l’ufficiale di polizia abbiano «personale conoscenza della lingua o del dialetto da interpretare».

Peraltro, l’effettività della assistenza, anche da un punto di vista qualitativo, è assicurata, ai sensi del co. 7, dall’estensione al traduttore delle regole di cui agli artt. 144 ss. del titolo IV, «che già disciplinano l’attività dell’interprete, ad esempio con riguardo alle incompatibilità e agli obblighi professionali», nonché la necessità di istituire albi o registri dei traduttori, stabilita con le modifiche alle norme di attuazione (art. 67, co. 2; art. 68, co. 1) che recepiscono l’art. 5, par. 2, della direttiva.

I profili problematici. Diritto all’interprete e diritto di difesa

Dal tenore della norma codicistica riformata sembrerebbe che la traduzione sia prevista solo per gli atti che contengono l’imputazione: in realtà, nel solco della lettura della disciplina sull’interprete già fornita dalla Corte costituzionale (sent. n. 10/1993), la partecipazione consapevole si deve intendere implicitamente fissata come valore grazie al riconoscimento costituzionale, a favore di ogni uomo (cittadino o straniero), del diritto inviolabile alla difesa, con la conseguenza che nell’interpretare le norme «che contengono la garanzie dei diritti di difesa in ordine alla esatta comprensione dell’accusa», il giudice è vincolato nel conferire «un significato espansivo, diretto a render concreto ed effettivo» il diritto. Atti essenziali da tradurre, peraltro anche solo in parte, sarebbero allora, ai sensi dell’art. 143, co. 3, c.p.p. non solo quelli che contengono l’accusa, ma tutti quelli che rilevano ai fini del più ampio possibile esercizio del diritto di difesa. La sintonia con la direttiva europea rimane affidata all’auspicabile ortodossia del diritto vivente, con un alto tasso di discrezionalità.

Peraltro, sul versante applicativo, il riferimento alla traduzione gratuita, oltre che per comprendere l’accusa, anche «al fine di seguire il compimento degli atti e o lo svolgimento delle udienze» (art. 143, co. 1) – sia pubbliche sia camerali – depone per un’interpretazione estensiva del diritto de quo, che assurgerebbe così a presupposto processuale, «dovendosi intendere improcedibile il giudizio in assenza di un pieno riconoscimento della tutela linguistica dell’imputato alloglotta, distinguendo i due momenti dell’interpretazione e della traduzione» degli atti4. A conferma del diritto alla traduzione degli atti come declinazione del diritto di difesa soccorre il combinato disposto dell’art. 104, co. 4-bis, c.p.p. di nuovo conio – che dà diritto all’imputato in stato di custodia cautelare, all’arrestato o al fermato che non conoscono la lingua italiana «all’assistenza gratuita di un interprete per conferire con il difensore» – con la parte del co. 1 dell’art. 143 che assicura il medesimo diritto «per le comunicazioni con il difensore prima di rendere un interrogatorio, ovvero al fine di presentare una richiesta o una memoria nel corso del procedimento».

In conclusione, il diritto alla traduzione è ora riconosciuto formalmente, inteso come declinazione del diritto di difesa, nel senso più ampio, quale piena consapevolezza della scelta delle strategie difensive, e non più nel significato ristretto di mera assistenza nel corso del procedimento penale.

1 C. cost., 19.1.1993, n. 10; C. cost., 24.2.1994, n. 64; C. cost., 6.7.2007, n. 254.

2 Cass. pen., S.U., 24.09.2003.

3 Recchione, S., L’impatto della Direttiva 2010/64/UE sulla giurisdizione penale: problemi, percorsi interpretativi, prospettive, in www.penalecontemporaneo.it.

4 Antinucci,M., L’attuazione della direttiva, europea sul diritto alla traduzione: verso la tutela sostanziale del diritto alla difesa effettiva, in Arch. pen., 2014, 4.

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