DIPOLDO di Schweinspeunt (Diopuldus, Diubuldus, Diopaldus, Theobaldus, Tebuldus, Tiboldus de Suinespont, de Rocca Archis, di Acerra)
Nacque intorno al 1160-65 da una famiglia tedesca di ministeriales, dipendenti dai conti di Lechsgemúnd (Donauwörth), di cui è documentata l'esistenza fin dalla metà del XII secolo; essa si estinse nel Quattrocento nel luogo d'origine, da cui traeva il nome: la tenuta di Schweinspeunt, sita in Baviera, presso Morchsheim (distretto di Donauwörth). La denominazione D. da Vohburg, introdotta da T. Toeche e ripetuta fino ai nostri giorni, è invece erronea e deriva da uno scambio di persona, come ha dimostrato già nel 1876 E. Winkelmann.
Nell'inverrio 1190-91 D. partecipò alla spedizione di Enrico VI a Roma, al seguito dei conti Enrico e Dipoldo di Lechsgemünd. Alla fine di aprile del 1191, quando Enrico VI, ricevuta la corona imperiale, attraversò a Rocca d'Arce (Frosinone) i confini del Regno di Sicilia, D. faceva già parte delle truppe imperiali. Dopo aver invano assediato Napoli, nel settembre l'imperatore iniziò la ritirata, affidandogli il castello di Rocca d'Arce, posizione strategica ai confini della Terra di Lavoro ed essenziale per poter attaccare il Regno da settentrione. Con l'appoggio dei cavalieri tedeschi al suo seguito e di avversari del nuovo re Tancredi di Lecce, come Guglielmo di Caserta e il decano Adinolfo di Montecassino, D. nei due anni successivi seminò il disordine nella zona settentrionale della Terra di Lavoro, vincendo varie battaglie contro i seguaci di Tancredi. Nell'inverno 1192-93, dopo le vittoriose azioni contro Aquino e Sessa, egli sembrò essersi assicurato il dominio su vaste porzioni della provincia. Tancredi in persona, nel 1193, fu costretto a lanciare una controffensiva per costringerlo a ritirarsi nella Rocca d'Arce.
Tornato nel Regno nel 1194, l'imperatore Enrico VI, presumibilmente prima di lanciare la sua offensiva dalla Campania verso il Meridione, nominò D. giustiziere della Terra di Lavoro, demandandogli l'affermazione della sovranità imperiale in quella provincia. In questa veste D. comparve alla Dieta imperiale di Bari nel marzo del 1195. Nel 1196 riuscì a catturare a tradimento uno dei più irriducibili avversari del dominio tedesco, il conte Riccardo d'Acerra, consegnandolo all'imperatore; in compenso, tra la fine del 1196 e l'inizio del 1197 ottenne in feudo la contea vacante di Acerra e l'emancipazione personale. Alla contea d'Acerra era tradizionalmente legata la signoria sulla città di Nusco, nel Principato.
Dopo la morte di Enrico VI, nel settembre del 1197, l'imperatrice Costanza ordinò l'espulsione dei cavalieri tedeschi, ma D. non obbedi a questo provvedimento che riguardava anche lui. Nello stesso mese, a Nusco, fece una donazione in favore del convento di S. Salvatore di Goleto. Nel febbraio dell'anno seguente risiedette a Salerno, nel palazzo di Terracina, e in veste di conte d'Acerra donò al vescovo Gentile d'Aversa un'isola nel lago di Lucrino.
Dopo la morte dell'imperatrice, nel novembre del 1198, D., insieme con i fratelli Ottone e Sigfrido, intervenne nella lotta apertasi per la reggenza, lanciando nuove azioni da Rocca d'Arce. Disponendo, oltre a questa, di altri castelli nella zona di Montecassino, e delle città di Acerra, di Nusco e soprattutto di Salerno (cui si aggiunsero temporaneamente Aquino, Venafro, Samo, Alife ecc.), ottenne l'appoggio di vescovi e di esponenti dell'alta aristocrazia e conquistò seguaci, almeno temporaneamente, anche nelle grandi città. Nel 1198-99 si alleò a Marquardo d'Annweiler, dando a quest'ultimo forza politica sufficiente, agli occhi del papa, per rivendicare la reggenza. D., un mese dopo aver conquistato, insieme con Marquardo, San Germano (febbraio 1199), cadde in balia del suo ex alleato Guglielmo di Caserta, restando tagliato fuori dal gioco politico e militare per quasi nove mesi.
Nel novembre del 1199, mentre Marquardo puntava verso la Sicilia, D. riacquistò la sua libertà di manovra, grazie a un'alleanza con il nuovo conte di Caserta, Roberto; da allora egli si presentò come il capo indiscusso del partito "imperiale" in Terra di Lavoro e Campania, con l'obiettivo politico di mantenere il collegamento con l'Impero germanico. Nonostante alcuni insuccessi, come il fallito attacco a Montecassino (marzo 1200), riuscì ad ampliare ancora la sua sfera d'influenza, portandola fino al Molise grazie a una vittoria sul conte Pietro di Celano (giugno 1200).
Serie difficoltà sorsero per D. solo quando il papa Innocenzo III trovò nel conte Gualtieri di Brienne, genero di Tancredi, un alleato disposto ad appoggiare la causa pontificia con un proprio esercito. Avendo evidentemente sottovalutato il nuovo avversario, D. subì a Capua, nel giugno del 1201, un'inattesa sconfitta, che gli costò in poco tempo anche la perdita di Aquino e Venafro. Nemmeno alleandosi al cancelliere Gualtieri di Pagliara e a Pietro di Celano egli riuscì a bloccare la vittoriosa avanzata di Gualtieri di Brienne, che in ottobre sbaragliò presso Canne le truppe riunite dei suoi avversari. A fatica D. riuscì a riparare a Rocca Sant'Agata. Molti dei suoi compagni, compreso il fratello Sigfrido, furono catturati.
Dopo la morte di Marquardo, nel 1202, D. si dedicò a ricostituire il suo potere in Campania, senza curarsi degli eventi a Palermo. La superiorità militare del partito papale lo costrinse più volte sulla difensiva; a Capodanno del 1203 fu addirittura catturato e tenuto prigioniero per qualche tempo a Somma Vesuviana dal castellano tedesco Ludovico. Nonostante ciò, continuò a spargere terrore e rovine in Terra di Lavoro e Campania con le sue scorribande. Nel 1204, dopo alterne vicende, Gualtieri di Brienne riuscì a cacciarlo da Salerno, che era la sua roccaforte. Un'ulteriore svolta si ebbe nel giugno del 1205, quando Gualtieri strinse d'assedio D. a Samo, una delle ultime basi d'appoggio rimastegli. In una sortita di D. Gualtieri fu ferito e catturato; il 14 giugno morì, prigioniero di Dipoldo.
Ancora una volta D. si era riconfermato come forza politica dominante in Terra di Lavoro. Innocenzo III si vide allora costretto a un'inversione di rotta tale da sconcertare molti dei suoi stessi seguaci. Appena D., seguendo la sua politica "filoimperiale", cercò di collegarsi col vescovo Lupoldo di Worms, inviato del re tedesco Filippo, il papa entrò in azione. Ritirò la scomunica contro D. e lo invitò a Roma per dei colloqui politici. D'accordo con lui, nel 1206 inviò in Terra di Lavoro e in Puglia uno degli uomini più fidati, il notaio Filippo, come conciliatore. Da parte sua D., in seguito agli accordi con il pontefice, nel novembre dello stesso anno si recò a Palermo per liberare il giovane re da Guglielmo Capparone che là deteneva il potere. D. riuscì a convincere il Capparone a consegnare Federico al cancelliere Gualtieri di Pagliara, ma poco dopo egli stesso, invitato a pranzo dal cancelliere, fu catturato con un pretesto. Riuscì presto a fuggire e riparò via mare a Salerno, mentre suo fratello Sigfrido, appreso l'agguato di cui D. era rimasto vittima, aveva immediatamente catturato il legato papale Filippo, rilasciandolo solo dietro riscatto. Nel maggio del 1207 D. attaccò vittoriosamente Napoli. Questo successo militare dimostrò che in Terra di Lavoro si doveva ancora tener conto di lui, ma rese al tempo stesso evidente che, la sua politica di accordo con il papa era finita.
Nei primi mesi del 1208 una coalizione tra i nobili della parte meridionale dello Stato pontificio e alcuni vassalli dell'abate Roffredo di Montecassino attaccò vittoriosamente Sora, Sorella e Rocca d'Arce, spazzando via il "giogo tedesco" ai confini settentrionali del Regno. La contea di Sora fu quindi affidata al fratello del papa, Riccardo Conti. Quest'episodio dimostrò che D. aveva perso appoggi e influenza proprio nei territori da cui era nato il suo predominio politico in Terra di Lavoro. Nell'autunno del 1208 i cittadini di Capua si sollevarono contro il prepotere dei Celano, rivolgendosi al conte Riccardo di Fondi, genero di D.; quest'ultimo in ottobre venne in suo aiuto, sebbene un anno prima, quando Riccardo era rettore di Napoli, lo avesse osteggiato. Ma poco dopo, nel 1209, si ebbe un nuovo cambiamento di fronte: D. si alleò col conte Pietro di Celano per cacciare da Capua il conte di Fondi. Questa nuova alleanza fu sigillata da un accordo nuziale.
Appena terminata la reggenza, il re Federico II (I di Sicilia) nominò D. capitano e magister iustitiarius di Puglia e Terra di Lavoro. Ma D. dovette condividere le prerogative di quest'ambita carica con altri esponenti dell'alta nobiltà, quali i conti Matteo Gentile di Lesina, Riccardo di Fondi e Giacomo di Tricarico. In veste di gran giustiziere, nel gennaio del 1209 egli rinunciò, in cambio di una notevole somma di denaro, a qualsiasi azione o rivendicazione contro l'abate Donato di Montevergine. Costui aveva lasciato fuggire Guglielmo Francisio, un nobile tenuto rinchiuso in quel monastero, impedendo così a D. di impadronirsi del castello di Capaccio.
D. non aveva mai perso di vista l'obiettivo di una riunione della Sicilia all'Impero tedesco. Comprendendo che l'incoronazione imperiale di Ottone IV aveva tolto al re di Sicilia Federico II qualsiasi possibilità di ristabilire questo collegamento, decise, non più tardi dell'ottobre 1209, una nuova inversione di rotta, conquistando alla sua nuova opzione anche il conte Pietro di Celano e altri esponenti dell'alta nobiltà che, come D., erano allarmati per la reazione di Federico II contro i capi della rivolta feudale calabrese e siciliana e per le prime avvisaglie della sua politica antifeudale. Dopo trattative preliminari a Terni e a Pisa, all'inizio del 1210 D., insieme a Pietro di Celano, fu ricevuto dall'imperatore, che si trovava nuovamente in Tuscia, e lo invitò formalmente a conquistare il Regno di Sicilia. Ottone IV accolse l'invito e tra il 6 e il 10 febbraio, presumibilmente a San Ginesio (sotto la rocca imperiale di San Miniato), conferì a D. il ducato di Spoleto come feudo imperiale, rinnovando così la politica dell'UnioRegni ad Imperium di Enrico VI. Al tempo stesso confermò D. nelle sue funzioni di magister capitaneus totius Apuliae et Terre Laboris, esercitando per la prima volta diritti di sovranità relativi al Regno di Sicilia.
D. prese possesso del suo nuovo feudo già nel marzo del 1210, poi seguì Ottone IV nei suoi spostamenti attraverso l'Umbria, e dal novembre, insieme a Pietro di Celano, condusse l'armata imperiale nel Regno. Attaccò invano Aquino, fedele a Federico II, ma procurò all'imperatore molti nuovi seguaci, aprendogli le porte di Salerno e spianandogli la via verso la Puglia e la Calabria. Quando Ottone IV, minacciato in Germania, decise di ritirarsi, D. si trovava già nel ducato di Spoleto, per consolidare il proprio potere e al tempo stesso proteggere alle spalle l'imperatore. Prima che questi si ritirasse definitivamente dall'Italia D. ottenne a Montefiascone (novembre 1211) un nuovo privilegio feudale, che estese il suo dominio in Umbria ad altre contee e città.
Il fallimento della politica di Ottone IV travolse anche il potere di D. in questa regione, sebbene egli avesse tentato, non senza successo iniziale, di ripristinare i diritti ducali del suo predecessore Corrado d'Urslingen, insediando balivi ducali in varie roccaforti e castelli. Il suo principale alleato pare fosse proprio quel Ludovico di Somma che lo aveva tenuto prigioniero nel 1203. Nel luglio del 1213 D. prometteva ai consoli di Spoleto di distruggere Trevi entro pochi mesi: ma stava già lottando per sopravvivere politicamente in Umbria. Neanche sconfinando nelle Marche (come indica la sua sosta a Fabriano nell'ottobre del 1213) egli riuscì a modificare la situazione a proprio-favore. Nel gennaio del 1214, nell'atto con cui rinnovava ancora una volta la sua alleanza con Spoleto, D. citava il papa come sovrano dello Stato della Chiesa, dandogli la precedenza sull'imperatore. Ma questo segnale lanciato al papa non sortì l'effetto sperato. Nello stesso anno il tesoriere papale si recò a Perugia come mediatore e nel 1215 un rettore pontificio esercitava già poteri sovrani nel ducato di Spoleto. D. era ormai politicamente isolato e aveva di fatto perso qualsiasi potere nel feudo conferitogli da Ottone IV.
Spodestato, tentò di tornare di nascosto nel Regno, ma a Tivoli fu scoperto mentre viaggiava a dorso d'asino e consegnato al senatore di Roma. Riuscì ancora una volta a comprare la propria liberazione, ma tutti i suoi tentativi di riconquistare il potere in Terra di Lavoro fallirono. Nel 1218 il conte Giacomo d'Avellino, gran giustiziere delle province continentali e genero di D., lo fece arrestare per ordine di Federico II, che si trovava in Germania. Solo nel 1221, dopo una prigionia di tre anni, D. fu consegnato all'imperatore, che lo rilasciò per le preghiere dei cavalieri tedeschi del suo seguito, ma a caro prezzo: il fratello di D., Sigfrido, dovette restituire alla Corona Alife e Rocca di Caiazzo, gli ultimi feudi rimasti alla famiglia. Secondo Alberico di Troisfontaines, D., dopo la liberazione, sarebbe entrato nell'Ordine dei cavalieri teutonici. Indizi di un suo particolare rapporto con i nuovi Ordini sorti allora esistono già per gli anni precedenti: come signore della città di Samo egli aveva donato all'ospedale di S. Antonio da Vienne una "starza" precedentemente tolta al convento di Cava.
Dopo il suo ingresso nell'Ordine cavalleresco, D. sembra aver vissuto ancora a lungo, ma non si conosce l'anno della sua morte.
Ministeriale tedesco di condizione servile, giunto nel Regno al seguito di Enrico VI, D. vi ascese al rango comitale grazie ai suoi successi militari e all'aiuto politico fornito all'imperatore. Sebbene lo precedesse la fama di nemico e persecutore delle popolazioni locali e delle chiese, s'introdusse per via nuziale nei più potenti casati nobiliari del Regno, come gli Aquila, i Celano e i Sanseverino. Fu così che durante la crisi politica del 1209 poté ergersi, insieme a Pietro di Celano, a portavoce dell'opposizione nobiliare nella parte settentrionale del Regno, pur tenendo fede, con notevole coerenza, alla tradizione di Enrico VI e perseguendo sempre una soluzione "imperiale" della questione siciliana. Il suo mutamento di rotta, nel 1209, assecondava molte aspirazioni di Ottone IV, ma ebbe comunque conseguenze di portata europea. Nonostante le sue origini forestiere e l'ostilità di molti, D. seppe difendere il suo predominio politico in Campania e Terra di Lavoro attraverso crisi e alteme vicende, ma naufragò come duca di Spoleto perché il presupposto politico del suo potere ducale, vale a dire la capacità determinante d'intervento dell'Impero di Ottone IV nel Regno italico, venne a cadere dopo la battaglia di Bouvines. La vittoria di Federico II in Germania impedi a D. di sopravvivere politicamente nella stessa Italia meridionale.
Una figlia di D. sposò nel 1199 il conte Roberto di Caserta (morto nel 1212) e può percio essere identificata con la contessa Adelagisia, di cui non abbiamo altre testimonianze prima del 1210. Fu madre del conte Tommaso, cacciato nel 1223. Un'altra figlia di D., di cui non conosciamo il nome, andò sposa al conte Giacomo d'Avellino, appartenente anch'egli a un ramo del casato Sanseverino. Si ha notizia di un unico figlio maschio, Corrado, di cui sappiamo che nell'agosto del 1210 si trovava sul Monte Amiata, presso l'accampamento imperiale di Ottone IV, probabilmente come pegno di fedeltà da parte del padre. Fu certamente Corrado ad accompagnare D. nel 1206 a Palermo, dove venne imprigionato con lui. Nel 1209 sposò Stefania, figlia del conte di Celano, con cui D. aveva stretto l'alleanza che li avrebbe portati ad offrire all'imperatore guelfo la corona di Sicilia.
Sulla scia di J. Ficker, è stato affermato più volte, fino ai nostri giorni, che Dipoldo di Dragone, castellano di Napoli nel 1239-40 e più tardi vicario generale del ducato di Spoleto, sarebbe stato figlio o nipote di Dipoldo. Egli apparteneva invece a una nobile famiglia che traeva il nome dal proprio feudo di Dragoni, presso Caiazzo. A comunque probabile che essa si sia imparentata con la famiglia di D. durante la signoria feudale di Sigfrido a Caiazzo, accogliendo perciò il nome di Dipoldo nella propria tradizione onomastica.
Due fratelli di D., Oddone e Sigfrido, ebbero parte diretta nei conflitti in Terra di Lavoro. Il primo assediò nel 1197 Roccasecca, dove si trovavano due membri della casa d'Aquino ribellatisi a Enrico VI, ma interruppe l'assedio quando giunse la notizia della rivolta nobiliare siciliana contro l'imperatore. Di lui si ha soltanto un'altra notizia: nel 1199 fu scomunicato, come seguace di Marquardo.
Sigfrido nel 1199 divenne genero del conte Riccardo di Fondi che, alleandosi a D., si riprometteva maggior sicurezza per i propri domini feudali. Nell'ottobre del 1201, durante la battaglia di Canne, Sigfrido fu catturato da Gualtieri di Brienne. Nel novembre o dicembre del 1206, in Terra di Lavoro, fece a sua volta prigioniero il vicario pontificio Filippo, per vendicare l'agguato teso contro D. a Palermo. Alla fine del 1208 Federico II gli conferì la contea di Alife, ma ciò non gli impedi, nel 1210, di schierarsi dalla parte dell'imperatore Ottone IV, presso cui soggiornò, a Capua, nel gennaio del 1211. A differenza di D., Sigfrido riuscì a conservare i feudi di Alife e Caiazzo fino al 1221.
Anche Eberardo de Suispont, che negli anni 1229-30 ebbe in feudo San Mango sul Calore (provincia di Avellino), appartenne quasi certamente alla famiglia di Dipoldo. Dando in sposa sua figlia Contessa a Giovanni Saraceno feudatario di Torella de' Lombardil anch'egli s'imparentò con un'antica famiglia baronale dell'epoca normanna.
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