DIOSCURI (epigr. Διόσκοροι, fonti Διόσκουροι)
Castore e Polluce, figli del dio del Cielo, Zeus o, nel valore originario del nome, Tindareo (così in Esiodo, negli Inni omerici, ecc.; invece una tradizione posteriore personifica Tindareo in un eroe, re di Sparta e ne fa i D. figli e successori), e di Leda; fratelli di Elena e talvolta di Clitennestra.
Nati dallo stesso uovo di Elena, generato da Leda fecondata da Zeus-cigno, oppure deposto da Nemesi ed accudito da Leda; o, secondo un'altra tradizione, già accolta nelle Ciprie, Polluce nato con Elena da Leda e da Zeus-cigno, e perciò immortale; Castore da Leda e dall'eroe Tindareo, e perciò mortale (per un dio uranico che si trasforma in cigno, cfr. il mito vedico della procreazione dei fratelli Asvini). Il culto dei D., diffusosi ben presto da Sparta, nelle cui vicinanze li vuole nati la tradizione più generalmente accolta, a tutto il Peloponneso, e poi di lì in Attica, nelle isole dell'arcipelago ed infine nella Magna Grecia, si spiega con la loro deificazione ed assunzione tra le stelle (già nota nelle fonti antiche), che risolve la loro natura ambigua ponendoli fra i megàloi theòi (v. Cabiri).
In età arcaica sono essenzialmente divinità guerriere ed agonistiche, onde vengono rappresentati spesso con una corona di palma o di alloro, quasi sempre a cavallo o vicini a cavalli, a volte, nella ceramica a figure nere, barbati (rilievi da Sparta, frontone da Locri, ecc.).
Meno di frequente appaiono nelle rappresentazioni di età classica: sono allora spesso armati, vestiti di chitone o più raramente di clamide, il capo a volte coperto dal pètasos (soprattutto nella pittura vascolare), a volte, però, anche dal pìlos, berretto conico caratteristico dei Cabiri, coi quali i D. cominciano ad essere confusi nella funzione di protettori dei naviganti. Si incontrano più volte nei vasi attici del V e del IV sec. a. C.; isolatamente su una gemma della metà del V sec. a. C., forse dall'Asia Minore, nell'insolito atteggiamento di giocare agli astragali (onde l'ipotesi che i pueri astragalizontes di Policleto rappresentassero appunto i D., e che la gemma ci conservi una riproduzione di questo gruppo statuario andato perduto); infine di un'altra opera plastica ci dà notizia Plinio (Nat. hist., xxxiv, 78): i D. di Hegias, posti davanti al tempio di Iuppiter Tonans in Roma. Il Visconti ne voleva riconoscere una copia nei Colossi del Quirinale.
L'ellenismo fissa il tipo più diffuso anche in età romana: clamide al vento, nudità eroica, pìlos, testa generalmente volta in alto, occhi grandi ed aperti, guance piene; molto spesso sono armati ed a cavallo. Anche le loro attribuzioni sono ora alquanto modificate: come protettori dei naviganti (Diod. Sic., iv, 43, 2) sono completamente confusi con i Cabiri; ma proteggono anche l'ospitalità (già in Pindaro, Nem. x, 38; 66-73), la musica, la danza, la poesia (Theocr., Idyll., xxii, 24). Tra le rappresentazioni più notevoli: bronzo da Paramythia al British Museum; testa con pìlos da Argo; testa in terracotta da Capua, al museo di Berlino; D. capitolini, ecc. A volte sono rappresentati per brevità accanto ad una protome equina: D. Torlonia, D. Campana al Louvre, ecc.
In Etruria compaiono ben presto coi nomi più usuali di Kastur e Pultuc, specialmente in connessione con i Cabiri: ma spesso sono rappresentati anche isolatamente, ora vestiti, ora nudi, ora col pileus, ora col petasos, a volte barbati, spesso in numero di tre ed insieme ad una donna. Li troviamo di frequente su specchi, ciste ed altri bronzi.
A Roma vengono introdotti verso la metà del III sec. a. C.: oltre alle solite prerogative, sono connessi con tutto ciò che concerne l'ippica, e quindi divengono i protettori della cavalleria e dell'esercito; più tardi lo saranno anche del commercio e degli affari; sono identificati ormai con la costellazione dei Gemelli. Nel complesso mantengono l'iconografia ellenistica: sono un soggetto abbastanza usuale per i sarcofagi di età imperiale, dove spesso le loro figure, agli angoli, incorniciano la scena della fronte. Ma l'alternanza fra la luce e le tenebre, la vita e la morte, propria della loro natura, va man mano accentuando il carattere funerario del loro culto, soprattutto a partire dal II sec. d. C., fino a Costantino.
Tra la tipologia meno usuale: i D. isolati (Polluce come pugile, nella cista Ficoroni ed in varî specchi etruschi; Castore come domatore di cavalli); i D. in teossenie (stele di Larissa, al Louvre, lèkythos da Camiro, al British Museum, ecc.); i D. seduti (rilievo dall'Esquilino).
L'iconografia sulle monete ha uno sviluppo proprio: nei pezzi più antichi cavalcano al passo (statere di Taranto del 315); poi al galoppo, con clamide al vento, avanzando da destra (didracma di Taranto del periodo 281-272); poi col pileus (didracmi del periodo 272-235); a galoppo con pilei, o stelle e lance abbassate (denario di Roma del 268); cavalcanti in direzioni opposte (Sannio, 90). Nell'Oriente greco, a cominciare dalla fine del III sec. a. C., appaiono frequentemente come divinità cabiriche su monete di Pergamo, Siria, Fenicia, Battriana, ecc.; spesso è figurata la sola testa coperta dal pileus; altrove solo sporadicamente. Usuali anche le rappresentazioni per simboli: pilei coronati o stellati (aurei spartani), anfore con serpenti (monete enee di Sparta), ecc.
I D. nel mito. Nascita dei Dioscuri. - Il mito della nascita dei D., menzionato all'inizio, è frequentemente rappresentato nella pittura vascolare. I D., generalmente armati e vestiti di clamide, assistono al rinvenimento dell'uovo di Nemesi da parte di Leda. Su un cratere attribuito al Pittore di Kadmos (museo di Vienna), i D. fissano l'uovo posato sull'altare; dall'altro lato è Leda con il re Tindareo. La scena è quasi identica su una pelìke all'Ermitage, attribuita al Pittore di Kiev; e si ripete su uno stàmnos di fabbricazione etrusca, da Chiusi, nel quale però figura anche Zeus.
Con Leda, Tindareo ed Eurialo, essi sono anche raffigurati nel retro della celebre anfora di Exekias al Vaticano.
Lotta con gli Afaridi. - I D. vengono a diverbio con i figli di Afareo, Ida e Linceo, per la spartizione di un bottino di buoi; gli Afaridi fuggono in Messenia con l'intera mandria, i D. muovon guerra alla Messenia, la saccheggiano e recuperano i buoi; tendono poi un agguato agli Afaridi, ma Linceo uccide Castore; Polluce vendica il fratello ed uccide Linceo. Ida è invece fulminato da Zeus. Polluce ottiene dal padre di poter vivere alternativamente con Castore all'Olimpo e agli Inferi (fonti: Ciprie e Pindaro). In una metopa frammentaria del Tesoro dei Sicioni a Delfi, essi sono rappresentati insieme agli Afaridi: marciano in fila, recando il doppio giavellotto sulla spalla sinistra ed un altro nella mano destra. Tra l'uno e l'altro (restano solo tre personaggi, dei quali due con le iscrizioni Kastor, Idas) appaiono frontalmente teste di buoi.
Ratto delle Leucippidi. - Hilaira e Febe, figlie di Apollo (Ciprie) o di Leucippo, fratello di Afareo (Teocrito, Licofrone, Ovidio e altri) sono, secondo la tradizione tarda, promesse agli Afaridi. I D. le rapiscono e rubano anche le loro mandrie; da qui la lotta con gli Afaridi. In Teocrito, Linceo si offre di risolvere la lite in un duello con Castore, ma è vinto da lui. Ida viene fulminato da Zeus. Altrimenti Castore muore, ma Polluce lo vendica. Questo mito ebbe sempre larga popolarità: lo troviamo già in una metopa frammentaria dell'Heraion del Sele, ove i due D., vestiti di un semplice chitonisco e senz'armi, corrono inseguendo le Leucippidi, rappresentate su di un'altra metopa, fuggenti; riappare su un frammento di vaso calcidese da Reggio, dove Polluce, barbato e con chitone, rapisce Febe su una quadriga; ancora su un cratere a calice nel British Museum di Londra, dove due quadrighe, ciascuna con un D. ed una Leucippide, corrono in direzioni opposte; sulla famosa hydrìa di Meidias, dove si ripete il motivo delle due quadrighe rivolte in senso opposto, ma mentre Polluce con una Leucippide guida quella sinistra, Castore è ancora a piedi, nell'atto di rapire la seconda Leucippide nei pressi di un altare, vicino al quale siede Afrodite. Tra le figure di contorno, Zeus e Peitho (v. attici, vasi). Infine in un'anfora italiota da Ruvo, i D. sono ambedue appiedati, benché appaia una quadriga sulla sinistra; ritorna il motivo del luogo sacro, simboleggiato da un idolo di Hera, presso il quale si rifugiano varie compagne delle Leucippidi, mentre queste sono rapite dai Dioscuri.
Liberazione di Elena. - Elena, rapita da Teseo e Piritoo, o altrimenti dagli Afaridi, e nascosta in Aphidnai, viene liberata dai D. che devastano l'Attica e rapiscono Aithra, madre di Teseo. L'introduzione del culto dei D. in Attica viene così spiegato con l'insediamento al potere di Mnesteo, imposto dai vincitori. Questo mito era rappresentato sull'Arca di Cipselo (Paus., v, 19, 2-3). Si incontra raffigurato abbastanza spesso: i D. sono armati, vicino ai propri cavalli: fra di loro appare Elena recante simboli sacri (vittae, su un rilievo da Sparta: aureola intorno al capo ed una torcia (?) in mano, su un altro rilievo da Stobi, in Macedonia).
Mito degli Argonauti. - I D. partecipano alla spedizione, nel corso della quale hanno modo di svolgere la loro opera di salvatori nelle burrasche. Appaiono, perciò, fra gli altri eroi in quasi tutte le rappresentazioni del mito (cratere di Orvieto al Louvre, bronzi etruschi, ecc.); a volte vi assumono un proprio ruolo: sull'anfora di Talos a Ruvo, Polluce, disceso da cavallo, sostiene Talos morente; Castore è invece a cavallo. Sul retro dello stesso vaso, i D. armati di lancia e coronati da una Nike, avanzano verso Atena; altrove, nella cista Ficoroni ed in varî specchi etruschi, è rappresentato il pugilato di Polluce con Amykos, re dei Bebrici.
Caccia al cinghiale calidonio. - Come partecipanti alla caccia del cinghiale calidonio, sono rappresentati fra gli altri eroi sul vaso François, su una kölix di Archikles e Glaukytes, da Vulci, e sui sarcofagi.
D. con una divinità femminile. - È una rappresentazione molto diffusa a partire dal III sec. a. C. fino al III d. C. L'identificazione della figura femminile è controversa; per le varie interpretazioni della triade, un'esauriente disamina in Chapouthier (v. bibl.) e, più recentemente, Giglioli (v. bibì.).
Monumenti considerati. - Rilievi arcaici da Sparta: H. Dressel-A. Milchhoefer, in Ath. Mitt., ii, 1877, p. 313 s.; A. Furtwängler, ibid., viii, 1883, p. 371, tav. 18. Frontone da Locri: E. Petersen, in Röm. Mitt., v, 1890, p. 201 ss., tav. ix. Gemma del V sec.: A. Furtwängler, Gemmen, Lipsia 1900, tav. x, 17. Colossi del Quirinale: A. Della Seta, Il nudo nell'arte, vol. i, Milano 1930, p. 18o ss., figg. 78, 79. Bronzo da Paramythia: H. B. Walters, Catalogue of the Bronzes in the British Museum, Londra 1899, n. 277, tav. vi. Testa da Argo: A. Milchhoefer, in Ath. Mitt., iv, 1879, p. 149. D. Capitolini: S. Reinach, Répertoire de la statuaire grecque et romaine, vol. i, Parigi 1897, P 485. D. Torlonia: S. Reinach, ibid. D. Campana: S. Reinach, op. cit., vol. ii, p. 109. Cista Ficoroni: E. Pfuhl, Tausend Jahregriechischer Malerei, Monaco 1940, figg. 215-219. Stele di Larissa: L. Heuzey, Mission de Macédoine, p. 419, tav. 25. Lèkythos da Camiro: W. Froehner, Deux peintures de vases grecs de Camiros, 1871. Rilievo dall'Esquilino: E. Q. Visconti, in Bullettino della Commissione Archeologica Comunale di Roma, 1887, p. 73 ss., tav. v. Per le monete: S. L. Cesano, I D. sulle monete antiche, in Bullettino della Commissione Archeologica Comunale di Roma, lv, 1927. Cratere a Vienna: J. D. Beazley, Attische Vasenmaler des rotfigurigen Stils, Tubinga 1925, p. 451. Pelike all'Ermitage: R. Kekulé, Über ein griechisches Vasengemalde, in Akademisches Kunstmuseum zu Bonn, 1879, p. 13; J. D. Beazley, Attic Red-figure Vasepainters, Oxford 1942, 852, n. 2. Stàmnos chiusino: R. Kekulé, ibid., p. 19; J. D. Beazley, Etruscan Vase-painting, Oxford 1947, p. 39. Anfora di Exekias: E. Pfuhl, op. cit., figg. 229-230. Metopa del Tesoro dei Sicioni: Fouilles de l'Ecole Française d'Athènes à Delphes. Sculptures grecques de Delphes, a cura di Ch. Picard e di P. de La Coste-Messelière, Parigi 1927, p. 8 s. e tav. iv. Metopa dell'Heraion del Sele: P. Zancani-Montuoro. U. Zanotti Bianco, Heraion alla foce del Sele, vol. ii, Roma 1954, p. 330 ss., tav. xclv-c. Frammento calcidese: A. Rumpf, Chalkidische Vasen, Lipsia 1927, p. 99 s. e tav. 35. Cratere a Londra: E. M. W. Tillyard, The Hope Vases, Cambridge 1923, tav. 17-18. Hydria di Meidias: E. Pfuhl, op. cit., fig. 593. Anfora da Ruvo: A. D. Trendali, Frühitaliotische Vasen, Lipsia 1938, tav. 18 b. Rilievi da Sparta con D. ed Elena: A. Conze-A. Michaelis, in Annali dell'Instituto di Corrispondenza Archeologica, xxxiii, 1861, tav. D 1/2. Rilievo da Stobi: L. Heuzey, in Revue Archéologique, xxv, 1873, 2, p. 40 ss. Cratere di Orvieto al Louvre: E. Pfuhl, op. cit., fig. 492. Anfora di Talos: E. Pfuhl, op. cit., fig. 574. Vaso François: E. Pfuhl, op. cit., figg. 215-219. Kölix di Archikles e Glaukytes: I. C. Hoppin, Black-fig., p. 6o s.
Bibl.: A. Furtwängler, in Roscher, I, 1884-90, s. v.; F. Chapouthier, Les D. au service d'une déesse, Parigi 1935; F. Cumont, Recherches sur le symbolisme funéraire des Romains, Parigi 1942, p. 35 ss.; D. Levi, in Am. Journ. Arch., XLIX, 1945, p. 322 ss.; J. Babelon, Les D. à Tomi, in Mélanges d'Archéologie et d'Histoire, I, 1949, p. 24 ss.; B. Hemberg, Die Kabiren, Upsala 1950; G. Q. Giglioli, in Archeologia Classica, III, 1951, p. 199 ss.; B. Ghali-Kahil, Les enlèvements et le retour d'Hélène, Parigi 1955; W. Kraus, in Reall. Ant. u. Christ., III, 1957, s. v. Dioskuren, c. 1122 ss.; Ch. Picard, in Bull. Corr. Hell., LXXXII, 1958, p. 435 ss.