DIOSCURI (Διόσκουροι)
Com'è chiaramente indicato dalla composizione della parola (Διὸς κοῦροι), sono costoro gli eroi figli di Zeus. In numero di due, Castore (Κάστωρ) e Polluce (Πολυδεύκης), insieme con Elena, andata sposa a Menelao re di Sparta, furono, secondo una remota leggenda, generati dall'uovo che Leda, moglie di Tindaro spartano, ebbe dalla sua unione con Zeus, trasformato in cigno. Perciò i figli di Leda, detti Dioscuri, sono pure riconosciuti col nome di Tindaridi. Trattandosi di eroi divini di origine dorica, anzi spartana, il loro culto è specialmente localizzato nelle città di Sparta, Amicle e Terapne nella Laconia. Divinità della luce, considerati forse come i due astri del mattino e della sera, essi trascorrono il cielo infaticabilmente sui loro divini cavalli: affini in ciò ai fratelli Aśvin che dai sacri poemi indiani, i Veda, appaiono radicati nella religione indiana non meno di quanto sono radicati i Dioscuri nella religione greca, come cavalieri del cielo. Ad essi dovette essere attribuita in origine la costellazione dei Gemelli. La natura e l'indole dei due fratelli sono affini, ma non identiche, essendo Castore considerato piuttosto figlio di Tindaro che di Zeus; Castore è perciò talora indicatu come mortale, Polluce sempre come immortale. Il primo specialmente onorato come domatore di cavalli e guidatore di cocchi, il secondo come pugilatore e inventore, anzi, dell'arte del pugilato. Ambedue sono però forniti delle più pure virtù cavalleresche, compresa quella di sovvenire, come divinità benefiche e salvatrici (σωτῆρες), quanti invochino il loro aiuto; in primo luogo i combattenti, impersonando essi le virtù guerresche, unitamente a quelle dei cavalieri. Sotto l'aspetto di astri, essi sono anche le divinità tutelari della navigazione e protettrici dei naufraghi.
Delle numerose leggende greche di cui sono protagonisti i Dioscuri, la più popolare era forse quella che li collega alle figlie di Leucippo, re di Messenia, Ilaira (‛Ιλάειρα) e Febe (Φοίβη), promesse spose ai figli di Afareo, gli eroi Ida e Linceo, rapite a questi dai Dioscuri.
La leggenda era stata ampiamente illustrata in opere d'arte importanti, fra le quali le pitture di mano di Polignoto nel tempio dei Dioscuri in Atene (Pausania, I, 18,1), in un affresco dove non altro che una scena di ratto dev'essere supposta nelle cosiddette "nozze" dei Dioscuri con le Leucippidi. Un bellissimo vaso attico del British Museum illustra con ricchezza di particolari questa leggenda. Nel detto vaso, firmato dal ceramista Midia, si vede Polluce che ha già deposto la fanciulla rapita, Ilaira, sul suo carro, mentre Castore è sul punto d'impadronirsi della sorella, esplicitamente indicata dall'artista col nome di Erifile, e non di Febe; forse per semplice ignoranza dell'artista stesso. Il ratto sembra avvenire in luogo sacro, presso l'altare e sotto gli auspici di Afrodite, assistita da Peitho, la Persuasione, e alla presenza dello stesso Zeus, ispiratore diretto dell'impresa amorosa.
In Sparta anche le Leucippidi erano innalzate agli onori del culto come spose dei Dioscuri. In seguito all'affronto subito, gli Afaridi si dànno all'inseguimento dei fortunati rivali. Dal loro incontro si genera un duello mortale, in cui Castore e Linceo rimangono uccisi. A questa versione della leggenda fanno capo varie altre leggende dei Dioscuri, più antiche e di ordine indipendente. La prima relativa a una lotta e a un duello mortale fra gli Afaridi (messenî) e i Dioscuri (lacedemoni) per certi buoi che questi ebbero loro a rapire; un'altra, relativa alla diversa natura, mortale e immortale, dei Dioscuri, leggenda che si accorda con l'alterna vita, celeste e sotterranea, all'ombra e alla luce, che i divini fratelli avrebbero condotto, come è accennato nella Nekyia (Odyss., XI, 301); una terza, infine, relativa al luogo della lotta, che sarebbe stata ad Afidne, antica città e fortezza attica, dove Teseo e Piritoo avrebbero nascosto Elena dopo averla rapita, e dove i Dioscuri sarebbero venuti a liberare la sorella. Un'altra leggenda molto diffusa nel mondo greco è quella dei Dioscuri partecipi alla spedizione degli Argonauti (v. argonauti). Nella quale s'incontrano due episodî salienti: il primo relativo alla lotta di pugilato e al conseguente imprigionamento di Amico, inospite re dei Bebrici; l'altro relativo alla morte del bronzeo gigante Talos nell'isola di Creta, per intervento dei Dioscuri e per le arti magiche di Medea. Soggetto questo ispiratore di una delle più perfette pitture vascolari attiche del secolo V, nel cosiddetto vaso di Talos, della collezione Jatta a Ruvo di Puglia.
Oltre che nella Laconia, il culto dei Dioscuri era assai diffuso, c considerato culto nazionale, anche nella vicina Messenia. Del resto si può dire che in tutto il Peloponneso e nelle altre regioni della Grecia e del mondo ellenico in genere, come a Cirene e altrove, si celebravano feste e sorgevano in loro onore templi e monumenti. A Sparta, come in Argo, accanto al tempio dei Dioscuri si additava e venerava la tomba di Castore. Lo stesso culto si trova praticato in Atene, dove ai Dioscuri detti colà "Ανακες ("Ανακτες "signori"), era dedicato un tempio, l'Anakeion, situato in luogo non lontano dall'Agorà e adorno di pregevoli pitture di Polignoto e di Micone (sec. V a. C.), ammirate ancora nel sec. II d. C., come apprendiamo da Pausania. Con il culto dei Dioscuri è spesso associato, a Sparta e altrove, il culto di Elena, così come su monumenti figurati accade di riconoscere la figura di Elena in una composizione simmetrica con i divini fratelli. Questi d'altra parte, godevano fama di divinità molto accessibili. E una peculiarità, per quanto non esclusiva, del culto dei Dioscuri in Grecia, erano le festività dette xenie (feste ospitali), che consistevano nel preparare una tavola imbandita e una κλίνη conviviale per i divini figli di Zeus che dovevano gratificare i devoti mortali della loro apparizione (ϑεοξενία). In età ellenistica si determina la completa parificazione dei Dioscuri coi Grandi Dei, i Μεγάλοι ϑεοί di Samotrace, cioè i Cabiri, preposti nel mondo greco anche questi alla protezione dei naviganti. Da varî segni risulta come una tale tendenza a parificare i due ordini di divinità risalisse ad età più antica almeno fin dal tempo di Erodoto, com'è attestato dallo stesso titolo di Anaktes, o Anakes, dato dagli Ateniesi ai Dioscuri, essendo quello un titolo di precisa spettanza dei Cabiri. La medesima identificazione si riscontra in Varrone, che a sua volta parifica i Penati ai Μεγάλοι Θεοί (i Magni Dii) e ai Dioscuri.
Questi sono naturalmente noti e venerati anche nelle colonie greche dell a Sicilia e della Magna Grecia, e in particolar modo nelle colonie di stirpe dorica, come a Taranto.
Quivi il culto dei Dioscuri è attestato così dai tipi monetarî con la leggenda Dioskoroi (sec. III a. C.), come da statuette fittili e da tavolette votive (πίνακες), pure fittili, a rilievi, del sec. IV-III, con i tipi dei cavalieri Dioscuri variamente rappresentati. Da un tempio di Locri Epizefirî provengono due figure equestri di marmo, oggi nel Museo Nazionale di Napoli, saggi di scultura greca del sec. V a. C., che si ritiene rappresentino i Dioscuri.
Forse dai primi rapporti coi Greci dell'Italia meridionale i Romani appresero a conoscere e professare il culto schiettamente greco dei Dioscuri. A questi i Romani attribuirono il merito della loro vittoria nella battaglia del lago Regillo (499 o 496). Non soltanto i Dioscuri avrebbero deciso delle sorti della giornata a favore dei Romani contro la lega latina associata agli espulsi Tarquinî, ma sarebbero anche volati a Roma, sui loro cavalli, ad annunziare la vittoria, abbeverando gli stanchi destrieri alla fonte di Giuturna nel Fòro. Subito dopo, in seguito a tale apparizione, era innalzato colà un tempio ai Dioscuri, che in Roma presero il nome di Castori, così come il nome di Polydeukes fu cambiato in Polluce. È da ritenere che l'apparizione dei Dioscuri al lago Regillo non sia che una duplicazione dell'apparizione dei Dioscuri alla battaglia del fiume Sagra nel Bruzio (Calabria), dove i Locresi (di Locri Epizefiri) sconfissero i Crotoniati (530 a. C.). Un'annua festa fu istituita a Roma in onore dei Castori alle idi di luglio.
Il miracolo dell'apparizione dei Castori alla fonte di Giuturna si trova consacrato in una moneta della famiglia Postumia, dell'anno 89 circa a. C., con le figure dei due cavalieri e dei cavalli beventi alla fontana. Quanto al tempio dei Dioscuri, questo fu innalzato presso il Lacus Iuturnae, nella regione sud del Fòro, ai piedi del Palatino, tra la Nova Via e la Sacra via, avendo alla sinistra il tempio di Vesta, e rimanendo poi separato dalla contigua Basilica Giulia soltanto per mezzo del Vicus Tuscu. Dopo la prima sua costruzione, del sec. V a. C., il tempio fu varie volte restaurato: dal Lucio Cecilio Metello console nel 117 a. C., da Tiberio nel 6 d. C., regnando ancora Augusto, e ancora al tempo di Adriano. Caligola, allo scopo di mettere direttamente in comunicazione la propria casa costruita sul Palatino, con il Fòro, fece servire da vestibolo il temnpio, sfondandone la cella antistante al colle Palatino. Il tempio sorgeva sopra un alto plinto con gradinate. Ai lati della gradinata centrale, su appositi plinti, erano le statue dei Dioscuri, con i cavalli. Del tempio non rimane che una parte delle sostruzioni, con tre colonne corinzie ancora in piedi. Si ha notizia di un altro tempio dedicato ai Dioscuri nel Campo Marzio. In Roma i Dioscuri valevano come protettori delle gare ginnastiche nelle palestre e nel circo; ma principalmente come divinità tutelari dei Cavalieri. Anche fuori di Roma, nel Lazio, si praticava il culto dei Dioscuri, specialmente a Tuscolo, dove anzi questo culto era ritenuto più antico che a Roma. Parecchie opere d'arte ci rimangono, specialmente d'età ellenistica e romana, con le immagini dei Dioscuri. Ci basti di ricordare qui le statue colossali dei Dioscuri sulla piazza del Quirinale, detto, appunto per le statue, Morite Cavallo; e le altre simili, di più modesto valore artistico, a capo della rampa principale del Campidoglio. Ma il culto dei Dioscuri poteva essere anche aniconico: rappresentato cioè da motivi inanimati, corrispondenti agli attributi di quelle divinità. simboli della divinità dei Dioscuri sono spesso, così su monumenti greci, come su monumenti romani, due anfore con serpenti attorcigliati, due stelle, due piloi, copricapi conici, propri delle immagini dei Dioscuri. Su monumenti funerarî romani (sarcofagi) i Dioscuri appaiono frequentemente in aspetto di cavalieri, o in aspetto di rapitori delle Leucippidi. È in tal caso manifesta la loro significazione simbolica, per il simbolismo funerario del ratto violento. La popolarità dei Dioscuri in Roma era finalmente attestata dalle parole Edepol (per Polluce!) e Mecastor (per Castore!), due espiessioni esclamative molto frequenti nel linguaggio comune.
Bibl.: E. Bethe, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., V, coll. 1987-1123; G. Wissowa, Religion u. Kultus der Römer, 2ª ed. Monaco 1912, p. 268 segg.; J. Marquardt, Röm. Staatsaltertümer, III, 2ª ed. Lipsia 1888, pp. 379, 659, 581; M. Albert, Le culte de Castor et Pollux en Italie, Parigi 1883; id., s. v. Dioscuri, in Daremberg e Saglio, Dict. des antiq., II, pp. 249-65; O. Gruppe, Griech. Mythol. u. Religionsgesch., I, Monaco 1904, p. 159 seg., passim; A. Furtwängler e K. Reichhold, Griech. Vasenmalerei, Monaco 1906, tavv. 8-9, 38-39; E. De Ruggiero, Il Foro Romano (per il tempio dei Dioscuri), Roma 1913, p. 164 segg.; v. pure per lo stesso tempio: S.B. Platner, A topographical dict. of ancient Rome, Oxford 1929, p. 102 segg. I due gruppi equestri acroteriali del Museo Naz. di Napoli appaiono riuniti simmetricamente con una figura femminile centrale, in una ricostruzione grafica fondamentalmente arbitraria ed errata, in Bullett. d'Arte del Ministero della P. I. 1927, pag. 167.