NENCIONI, Dionisio
NENCIONI, Dionisio (Dionisio di Bartolomeo). – Scarse risultano le notizie biografiche relative a questo architetto e ingegnere, figlio di Bartolomeo, nato a Firenze nel 1559.
Nel 1584 è documentato a Napoli per il progetto del primo insediamento del convento di S. Andrea delle Dame. Attraverso il padre teatino Marco Parascandolo, ispiratore del progetto, e le sue sorelle fondatrici del complesso monastico, entrò in contatto con gli oratoriani e con Cesare Baronio, figura centrale della Controriforma e successore di s. Filippo Neri alla guida della congregazione (Borrelli, 1967, pp. 34 s.). A partire dal 1587 tutta la sua biografia professionale ruotò praticamente attorno al complesso di S. Filippo Neri o dei Girolamini, primo insediamento oratoriano in città, delle cui varie fasi di costruzione furono committenti e registi padre Francesco Maria Tarugi e padre Antonio Talpa (ibid., p. 43).
L’attività svolta per gli oratoriani, che fu per Nencioni quella di maggior rilievo per continuità e qualità, si inserì nell’ambito di un più generale rapporto imprenditoriale e speculativo. Infatti, fu spesso testimone o esecutore di acquisti di beni per conto della congregazione. Risaltano, però, soprattutto i prestiti concessi per la costruzione della chiesa dei Girolamini: finanziando la sua stessa opera l’architetto speculò nel contempo sugli interessi del prestito, reinvestiti sulla Gabella della Tintura. Un’attività piuttosto dinamica nella quale rientrarono i prestiti alle monache di S. Giuseppe de’ Ruffo, ai teatini di S. Paolo Maggiore e agli stessi mastri fabbricatori, suoi collaboratori nei diversi cantieri (ibid., pp. 76, 95-101, 169, 174).
La prima idea progettuale della chiesa dei Girolamini, di impianto basilicale, con breve risalto del transetto e dei piloni che segnano uno stacco deciso tra ambito presbiteriale e navata (Cantone, 1993, p. 30), spetta a Giovanni Antonio Dosio, documentato dal 1593 al 1597 (Borrelli, 1967, p. 23) anche relativamente al suo coinvolgimento, con padre Talpa, nella vicenda della facciata della chiesa romana della Vallicella (Del Pesco, 1992). Dopo la morte di Dosio (1611) l’opera fu affidata, nella sua lunga vicenda costruttiva, a Nencioni.
In questo contesto assume rilievo l’idea di lavoro collettivo (Cantone, 1993, p. 32), che esalta il ruolo della committenza anche sotto il profilo progettuale, suggestionato dall’evocazione delle basiliche brunelleschiane (per derivazione geografica di committenza, architetti e maestranze) e tardoantiche (in riferimento alla regola oratoriana). Questo, peraltro, trova riscontro nei principali cantieri religiosi napoletani a cavallo tra Cinque e Seicento, dove predomina la figura dell’architetto consiliarius, spesso organico alla committenza, e dove la distinzione tra architetto della casa e progettista rimane spesso sfocata.
La presenza di Nencioni è documentata fin dall’avvio del cantiere. Entro il 1588 disegnò il soffitto ligneo del primo oratorio e gli si può sicuramente attribuire il primo dei due disegni della chiesa. Reperì i materiali, in più occasioni anticipò personalmente il denaro ed ebbe piena autonomia nella scelta e nel disegno dei capitelli, anche di riuso (Borrelli, 1967, p. 50). Curò il disegno della cappella Ruffo (1600-04), coincidente con il cappellone sinistro – dove la ripartizione della parete, con la parasta ad angolo di ispirazione brunelleschiana, è stata vista come premessa dei retabli delle chiese napoletane del Gesù (Cantone, 1993, p. 30) – e vi diresse il lavoro di Clemente Ciottoli, Angelo Landi e Cristoforo Monterossi. Sovrintese poi alla lunga vicenda della piazza e della facciata (1599-1612) e ai lavori della vecchia sagrestia, poi cappella di S. Filippo (1612-16); venne pagato per gli stipi della sagrestia realizzati, sotto la sua supervisione, dal fratello Marco, mastro d’ascia (1616). Con le cappelle gemelle Sebastiano e Spatafora (1618-19), inaugurò la collaborazione operativa con Jacopo (o Giacomo) Lazzari, toscano anch’egli ed esecutore materiale; in queste cappelle già si rileva il repertorio ornamentale consueto della bottega dei Lazzari a Napoli, nella trasformazione del linguaggio tra Controriforma e barocco.
Con la morte di padre Talpa (1624) Nencioni acquisì maggiore autonomia (Ferraro, 2002, p. 246), che si espresse nel disegno del soffitto ligneo della chiesa, in due versioni (1624), e nella progettazione degli organi (1625; D’Addosio, 1915, p. 353); gli è attribuito inoltre il disegno del chiostro grande, con scodelle sulle campate. Realizzò anche la cappella Scaragi, in collaborazione con Lazzari, con ampio utilizzo di elementi di riuso (Borrelli, 1967, pp. 81-83).
Nel 1598 fu a Lanciano, forse per lavori di sistemazione della sede oratoriana locale, poi, sempre per il tramite degli oratoriani fu coinvolto a Napoli nelle vicende della cappella del Tesoro di s. Gennaro, già nella sua prima configurazione.
Per la cappella disegnò gli sportelli delle nicchie per le statue dei santi (1593) e realizzò il modello ligneo del tabernacolo d’altare, su disegno di Michelangelo Naccherino (1606). Presentò, in concorrenza con altri, un progetto per la nuova cappella (1607), cui però fu preferito quello di Francesco Grimaldi, e misurò l’attigua cappella di S. Maria della Stella (Strazzullo, 1969, pp. 229 s.). Nel cantiere spicca la presenza delle maestranze del suo ambito, tra cui i toscani Monterossi, Ceccardo Bernucci e Francesco Vannelli, ma soprattutto Lazzari per la realizzazione dei capitelli (Id., 1978). A Nencioni si può attribuire il disegno della facciata classicista della cappella (1621-23), nonostante un’errata attribuzione a Giovan Giacomo di Conforto, al quale va assegnato invece un progetto per la sola cancellata (Id., 1994, pp. 83-90). Quest’ultimo, architetto «di parte» della Deputazione, stabilì che la costruzione continuasse così come era stata definita e «principiata» (Borrelli, 1967, p. 120; Strazzullo, 1994, pp. 77 s.) nel modello di Nencioni; il disegno complessivo della porta che realizzò nel 1628 rimanda evidentemente al vecchio progetto di Nencioni, già in fase di completamento. In fase iniziale si pensò di trarre le due colonne poste a serrare la campata centrale (a sostegno dei timpani spezzati oltre le cornici di trabeazione) da quella grande di cipollazzo che l’arcivescovo aveva promesso alla città (poi destinata alla guglia fanzaghiana; Strazzullo, 1994, p. 81).
Tra il 1606 e il 1607 Nencioni, a giudicare da un disegno a lui attribuibile, progettò la sistemazione della strada che dalla Concezione dei Cappuccini conduce all’eremo di Camaldoli (Borrelli, 1967, pp. 131-134); nel 1608 disegnò l’ornamentazione in stucco dell’altare della cappella di Ottavio di Giovan Battista Carafa, in collocazione imprecisata (Nappi, 1990, pp. 171 s.); nel 1612 fu ingegnere al complesso di Gesù e Maria (Nicolini, 1950-51, pp. 34, 303), dove compare il già citato Vannelli.
Dal 1614 fu architetto del monastero di S. Giuseppe de’ Ruffo (Strazzullo, 1969, p. 229; Nappi, 1990, pp. 171 s.), parte – con i Girolamini – di un progetto a scala urbana di insula oratoriana di cui fu ispiratore padre Talpa. Sin dal 1605 aveva rafforzato il suo rapporto con l’ambiente oratoriano allorché, con Lazzari, era stato testimone della nascita della piccola comunità di nobili religiose controllata dalla congregazione. A lui spettò inoltre la progettazione degli arredi della chiesa e della sagrestia (Ferraro, 2002, p. 246). Presso le religiose furono accolte le tre figlie del fratello Marco; per una di queste Nencioni pagò la dote monacale, detraendola dal proprio stipendio; negli ultimi anni della sua vita, come ingegnere della fabbrica, fu gratuitamente ospite in una casa dello stesso monastero.
Nei cantieri oratoriani resta inequivocabile la continuità del segno e delle maestranze di derivazione toscana in una fase cruciale di trasformazione del linguaggio: sia ai Girolamini sia in S. Giuseppe de’ Ruffo, a Nencioni successe nella direzione del cantiere Dionisio Lazzari, figlio di Jacopo e battezzato da Nencioni (da cui aveva tratto il nome). In particolare, nel 1654, egli fu incaricato del completamento del complesso dei Girolamini, dopo che aveva disegnato il pavimento delle cappelle Ruffo (ibid.) e Tarugi. Questa continuità toscana, da Dosio a Nencioni ai Lazzari, determina una persistenza di temi e motivi che in certi casi prescinde, in certi altri si contamina con l’avvio al barocco napoletano di Cosimo Fanzago. L’angelo nel timpano, che ritorna nel repertorio tardo barocco dei Lazzari, è in realtà antico tema fiorentino, come testimoniato dai timpani dei lavabi di Andrea Buggiano della sagrestia delle Messe in S. Maria del Fiore. D’altro canto, gli stessi motivi naturalistici che saranno propri delle botteghe fanzaghiana e dei Lazzari, erano stati introdotti a Firenze a metà Cinquecento attraverso maestranze lombarde, che si connettono direttamente alla genesi fanzaghiana.
Nel 1615 Nencioni fu architetto del monastero di S. Sebastiano per l’ampliamento della fabbrica (Nappi, 2010-11, p. 136); suo il disegno della sobria porta maggiore in piperno del complesso, con mezze paraste, capitelli ionici e timpano spezzato che accoglie una tabella. Fu in rapporti economici e professionali anche con i chierici minori di S. Maria Maggiore (1616-1629). Nel 1621 realizzò, con la collaborazione del nipote Francesco (figlio di Marco), fabbriche presso il castello del duca di Monteleone a Belvedere in Calabria (Nappi, 1990). Tra gli interventi come ingegnere ‘soprastante’ dei cantieri si possono ricordare quelli per il complesso della Crocella (1621), per un’abitazione presso il largo di Gesù e Maria (1626; Borrelli, 1967, p. 176), per la cupola della cappella del Tesoro in seguito a danni sismici (1627) e infiltrazioni (1636; Strazzullo, 1978, p. 19). Nel 1631 misurò opere presso la certosa di S. Martino (Borrelli, 1967, pp. 167 s.).
I documenti smentiscono chi gli aveva attribuito un ruolo progettuale all’interno di quel grande cantiere (Filangieri, 1891, p. 163; Faraglia, 1895, p. 439; Serra, 1921, p. 38). La sua presenza, tuttavia, non fu casuale, per via di quella contestuale di Monterossi e Lazzari (con cui compilò parte degli apprezzi), attivi in certosa con Felice de Felice, responsabile della messa in opera anche dei lavori fanzaghiani. D’altra parte lo stesso Angelo Landi, suocero di Fanzago, aveva lavorato ai Girolamini, diretto da Dionisio (1600-01). Dall’incidenza ancora forte dei fiorentini nel cantiere – con rilevanti ricadute formali e nell’organizzazione di bottega – vanno dunque tratte le ragioni della sua presenza in certosa.
Nel 1634 fu inoltre testimone di un atto per la messa in opera del claustro di S. Gaudioso «sopra il largo», corrispondente all’ingresso superiore della chiesa (Faraglia, 1895, p. 439). Sono però i cantieri e l’intera vicenda oratoriana a Napoli a risultare centrali nel suo percorso professionale, per l’incidenza progettuale e per la funzione di tramite che svolsero rispetto alle altre committenze. Fu un processo di progressiva identificazione biografica che culminò nell’assunzione dell’abito talare (certa solo a partire dal 1637).
Morì a Napoli il 10 febbraio 1638 (Borrelli, 1967, p. 29) e fu sepolto all’interno della chiesa dei Girolamini.
Fonti e Bibl.: G. Filangieri, Documenti per la storia, le arti e le industrie delle provincie napoletane, V, Napoli 1891, p. 163; N. Faraglia, Notizie di alcuni artisti che lavorarono nella certosa di S. Martino e nel Tesoro di s. Gennaro, in Arch. storico napoletano, X (1895), pp. 435-461; G.B. D’Addosio, Documenti inediti di artisti napoletani del XVI e XVII secolo, in Arch. storico per le province napoletane, n.s., XL (1915), pp. 352-367; L. Serra, Note sullo svolgimento dell’architettura barocca a Napoli, in Napoli nobilissima, II (1921), p. 35-39; F. Nicolini, Notizie tratte dai giornali copia polizze dello Antico Banco della Pietà, I, Napoli 1950-51, pp. 34, 303; M. Borrelli, Il largo dei Girolamini, Napoli 1962, pp. 9-124 passim; Id., L’architetto N. D. di Bartolomeo (1559-1638), Napoli 1967; F. Strazzullo, Architetti e ingegneri napoletani dal ’500 al ’700, Napoli 1969, pp. 229 s.; Id., La real cappella del Tesoro di s. Gennaro: documenti inediti, Napoli 1978, pp. 19 s.; E. Nappi, Notizie su architetti ed ingegneri contemporanei di Giovan Giacomo Conforto, in Ricerche sul ’600 napoletano. Saggi e documenti per la storia dell’arte, Milano 1990, pp. 171 s.; D. Del Pesco, Alla ricerca di Giovanni Antonio Dosio: gli anni napoletani (1590-1610), in Bollettino d’arte, LXXI (1992), pp. 15-66; G. Cantone, Napoli barocca, Roma-Bari 1993, ad ind.; D. Del Pesco, L’architettura della Controriforma e i cantieri dei grandi ordini religiosi, in Storia e civiltà della Campania, a cura di G. Pugliese Carratelli, III, Il Rinascimento e l’Età barocca, Napoli 1994, ad ind.; F. Strazzullo, La cappella di s. Gennaro nel duomo di Napoli: documenti inediti, Napoli 1994, pp. 77 s., 81, 83-90; I. Ferraro, Napoli. Atlante della città storica, 1, Centro antico, Napoli 2002, pp. 243-249; E. Nappi, Il complesso domenicano dei Ss. Pietro e Sebastiano di Napoli. Nuove notizie, in Ricerche sul ’600 napoletano. Saggi e documenti, Napoli 2010-11, p. 136-146.