CASTELLI (da Castello), Dionigi
Figlio di un Nicolò di Castello non meglio noto, nacque a Bologna tra il 1384 e il 1385. Apparteneva ad una antica famiglia bolognese che è possibile far risalire ad Alberio vissuto intorno al 1217 (si riscontra infatti anche il cognome degli Alberi) e che, insieme ai Gabriozzi e ai Perticoni, formava un’unica famiglia. Il complesso di case che aveva dato il nome alla famiglia si trovava nelle vicinanze della porta di Castello e passò, dopo il 1589 ai della Stella, famiglia imparentata con i Castelli.
Il C. vide la luce con tutta probabilità in una di queste case di antica proprietà della sua famiglia. La notizia riscontrabile nella bibliografia (p. es. Dolfi, p. 258), secondo la quale era figlio di Giovanni Paolo, è probabilmente frutto della confusione del C. con un suo parente omonimo. Dopo aver seguito studi di diritto, con tutta probabilità nell’università della sua città natale, iniziò la carriera di notaio. Come tale infatti nel 1411 rogò un atto relativo alla divisione dell’eredità di Antonio Bentivoglio, detto Toniolo, padre di Giovanni che nel 1401-02 era stato signore di Bologna. D’altronde nel 1410 un “Dionisio di Castello”, del quale però non è sicura l’identità con il C., è ricordato tra i Riformatori dello Stato bolognese (cfr. Guidicini, I, p. 22).
Già l’atto del 1411 rogato a favore degli eredi di Toniolo Bentivoglio attesta gli stretti legami del C. con la più potente famiglia di Bologna, che risultò poi determinante anche per le ulteriori tappe della sua carriera. Nel 1435, in un momento in cui la fazione bentivogliesca prese di nuovo il sopravvento, fu nominato, insieme col fabbro Pietro Capocchia, anziano del popolo per il quartiere di Porta Stierì dal nuovo podestà Baldassarre da Offida, venuto a Bologna al seguito del legato pontificio Daniele da Treviso vescovo di Concordia. Il 14 giugno 1441, pochi giorni dopo che Annibale Bentivoglio era penetrato in città cacciandone le truppe viscontee, il C. fu chiamato a far parte dei Dieci di balia che allora sostituirono i Sedici riformatori. Con questa qualifica lo troviamo anche tra i venti cittadini “a quali è dato il carico di eleggere persone idonee et sifficienti alle uffici et gradi acciocché la città fosse governata con pace et quiete” (Ghirardacci, p. 97). Era di nuovo anziano quando nel 1445 fu eletto gonfaloniere di Giustizia.
Dopo il feroce assassinio di Annibale Bentivoglio da parte dei Canetoli (24 giugno 1445) gli fu affidato il difficile compito di mantenere l’ordine nella città che si trovava sull’orlo della guerra civile. Fiancheggiato da Galeazzo Marescotti, si impadronì del centro della città e costrinse gli avversari alla fuga. In seguito a questi avvenimenti il duca Filippo Maria Visconti di Milano, sostenitore della fazione canesca, dichiarò la guerra a Bologna, e, per ottenere l’aiuto della Repubblica di Venezia, il C. fu mandato al governo della Serenissima e lasciò Bologna il 25 ag. 1445 insieme con l’ambasciatore veneziano. Dimostrò notevole abilità diplomatica nelle trattative cosicché, dopo il suo rientro in patria, fu accolto trionfalmente dai suoi concittadini. A Venezia il doge Francesco Foscari gli aveva conferito, qualificandolo come “huomo tanto caro et grato al senato veneto”, la nobiltà veneziana per sé e i suoi discendenti con tutti i privilegi connessi (5 sett. 1445; il testo del privilegio si trova in Ghirardacci, p. 111). Il 6 genn. 1446 è ricordato di nuovo tra i Sedici riformatori. Poco tempo dopo fu nominato, insieme a Gaspare Malvezzi, ambasciatore a Firenze, anche questa volta con il compito di ottenere aiuto contro il Visconti. Rimase tra i Riformatori anche quando nello stesso anno Sante Bentivoglio, il nuovo capo della fazione bentivogliesca, ridusse il loro numero a sei. Il 12 dic. 1449 si recò, insieme all’influente Galeazzo Marescotti, alla corte di Niccolò V “per intendere la sua volontà circa le cose di Bologna” (ibid., p. 133).
La posizione eminente di cui godette lo espose a vari rischi e gli attirò soprattutto l’inimicizia dei Canetoli che varie volte attentarono alla sua vita e alla sua proprietà. Sfuggì per poco ad uno di questi attentati quando i fuorusciti il 7 giugno 1451 penetrarono in città da porta Galliera con l’intento di rovesciare il governo bentivogliesco. Il C. ebbe una notevole parte anche nella riforma degli statuti della città attuata dal cardinal legato Bessarione nella primavera del 1454, e dette il benvenuto a Pio II, quando si recò a Bologna nel gennaio 1460.
Morì a Bologna il 18 febbr. 1469, “il sabbato a notte”, all’età di 85 anni e fu sepolto il giorno seguente a S. Pietro Maggiore “cum grandissimo honore, come a lui se convenia, però ch’era el più antico de tutti gli altri Regimenti” (Corpus chronic., p. 385). Lo stesso cronista per l’occasione lo dice “homo savio et de bono intellecto et molto amato dalli Regimenti” (ibid.), un giudizio che è condiviso anche dal Ghirardacci (p. 201).
Il suo seggio nel Senato passò al figlio Bartolomeo. Questi nel 1446 era stato uno degli ostaggi che Bologna dovette consegnare al marchese Guglielmo di Monferrato. Nel 1451 presidiò con quaranta fanti porta Galliera, ma fu costretto a ritirarsi dai fuorusciti che tentarono di penetrare in città. Nel 1454 accompagnò da Pesaro a Bologna Ginevra Sforza sposa di Sante Bentivoglio. Ricoprì più volte la carica di anziano e nel 1469 anche quella di gonfaloniere di Giustizia. Morì a Bologna nel 1491 e fu sepolto in S. Pietro Maggiore. Visto che suo figlio Dionigi (II) che sin dal 1445 aveva ricoperto uffici pubblici (nel 1445 era tra i Sedici riformatori, nel 1446 gonfaloniere di Giustizia, nel 1453 tra i Sedici di reggimento e nel 1466 tra i nuovi senatori nominati da Paolo II) gli era premorto, il seggio nel Senato passò a un parente, Alberto, figlio di Giovanni Paolo che nel 1489, al tempo di Annibale Bentivoglio, era stato gonfaloniere e anziano. Alberto aveva sposato una figlia di Lattanzio Bargellini, genero di Giovanni (II) Bentivoglio. Questo stretto legame con la famiglia dominante, che gli procurò uffici e onori, diventò anche la causa della sua rovina. Accusato di alto tradimento a favore del deposto Giovanni Bentivoglio, fu arrestato dal cardinal legato Francesco Alidosi e decapitato pubblicamente a Bologna il 27 giugno 1508.
Fonti e Bibl.: C. Ghirardacci, Della Historia di Bologna parte terza, in Rer. Ital. Script., 2 ed., XXXIII, 1, a cura di A. Sorbelli, ad Ind.; Corpus chronic. Bononiens., ibid., XVIII, 1, vol. IV, a cura di A. Sorbelli, ad Indicem; Cronica gestorum ac factorum memorab. civitatis Bononie edita a fr. Hyeronimo de Bursellis, ibid., XXIII, 2, a cura di A. Sorbelli, pp. 85, 89, 98, 100; F. Amadi d’Agostino, Della nobiltà di Bologna, Cremona 1589, pp. 89-93; G. N. Pasquali Alidosi, Li riformatori dello Stato di libertà, Bologna 1614, p. 25; Id., Li confalonieri di giustizia..., Bologna 1616, passim; A. Masini, Bologna perlustrata, Bologna 1666, III, pp. 178, 184; G. N. Pasquali Alidosi, I signori anziani, consoli e gonfal. di giustizia della città di Bologna, Bologna 1670, passim; P. S. Dolfi, Cronol. delle famiglie nobili di Bologna, Bologna 1670, p. 258; G. Degli Agostini, Istoria degli scrittori viniziani, Venezia 1752, I, p. 52; S. Muzzi, Annali della città di Bologna, Bologna 1842, IV, pp. 308, 324, 333 s., 399, 409 s.; V, p. 18; G. Guidicini, Cose notabili della città di Bologna, Bologna 1868-1872, I-IV (cfr. Supplemento e Indici, a cura di L. Breventani, Bologna 1908, p. 225); Id., I riformatori dello Stato di libertà della città di Bologna dal 1394 al 1797, Bologna 1876, II, ad Indicem; C. M. Ady, The Bentivoglio of Bologna, Oxford 1969, p. 36.