BUSSOLA, Dionigi
Scultore lombardo, nato nel 1615 e trasferitosi, secondo la consuetudine in uso, nell'ambiente artistico lombardo agli inizi del sec. XVII, a Roma, dove risiedette e operò sino al 1645, anno in cui ritornò a Milano e venne ammesso come scultore alla Fabbrica del duomo. Mancano notizie che possano illuminare circa l'attività del B. durante il periodo romano.
È opportuno tuttavia sottolineare come il Wittkover ponga l'accento sulla quasi esatta corrispondenza di date nella vita del B. e del "lombardo romanizzato" Ercole Ferrata, a suggerire una via per chiarire criticamente l'ampia formazione dell'artista, che non si può limitare ad un generico "berninismo", e per comprendere anche il ruolo di importatore e diffusore del barocco romano che egli sostenne nell'ambiente artistico lombardo.
Il B. sembra infatti, almeno fino a un certo punto della sua attività, riproporre in Lombardia il linguaggio del Ferrata, nato dalla sua posizione di equidistanza dal Bernini e dall'Algardi, caratterizzato da quel "compromesso eclettico, con i più vari dosaggi e tinto d'infinite sfumature" (I. Faldi, La scultura barocca in Italia, Milano 1958, p. 70), originato dalla fusione delle due correnti del classicismo e del barocco.
Le prime opere milanesi, dalle statue di S. Massimo e S. Andrea, iniziate dal Vismara, incompiute alla sua morte e terminate dal B. nel 1651, ai pezzi di gloria per la volta della cappella della Madonna dell'Albero del 1655-59, mostrano infatti come l'affermarsi del berninismo trovi una remora nella temperie artistica lombarda, caratterizzata dal tenace persistere di modi cinquecenteschi e in particolare manieristici e dall'indirizzo classicista che si applicava nella scuola dell'Accademia ambrosiana, nella quale il B. stesso fu insegnante.
Il campo nel quale il B. eccelse per la coerenza e la persuasività delle realizzazioni e nel quale seppe compiutamente trasfondere lo spirito barocco è quello delle grandi composizioni scenografiche. In questo senso pensiamo debbano essere interpretati i bassorilievi per la facciata del duomo di Milano, rappresentanti Elia svegliatodagliangeli, del 1658 (anno in cui il B. assunse la carica di protostatuario della Fabbrica del duomo, ed eseguì con C. A. Buono le statue della Vergine e santi per l'attico della facciata del santuario di Saronno), e La seconda apparizione alla madre di Sansone, del 1659 (i bozzetti del primo dei due bassorilievi e di un terzo rappresentante Il sacrificio di Elia, sono attualmente conservati nel Museo del duomo di Milano).
In questi bassorilievi, già sentiti come quadri viventi, i personaggi tendono ad emergere con pienezza plastica nel pur breve spazio tra il primo piano e il fondo paesaggistico, ancora bloccati tuttavia negli atteggiamenti regolati da una rigida simmetria di qualità cinquecentesca. La liberazione dagli schemi compositivi tradizionali e la piena conquista dei mezzi scenografici barocchi avvengono per gradi attraverso le successive esperienze nelle composizioni per i Sacri Monti lombardi e piemontesi, tanto da suggerire la possibilità della sovrapposizione alla cultura romana degli anni della sua formazione di esperienze nuove, oseremmo suggerire venete e particolarmente tintorettesche.
La suggestione delle decorazioni barocche romane è evidente nella grande macchina scenografica dell'Assunzione della Vergine nella cupola della chiesa dell'Assunta al Sacro Monte di Varallo, del 1661. Tuttavia la trascrizione lombarda di queste suggestioni, evidente nel realismo degli atteggiamenti delle figure, dei volti, della colorazione delle ben 140 statue eseguite in collaborazione con il Prestinari e con il figlio Cesare, raffrena la spinta immaginativa e spezza il ritmo ascensionale dei gruppi, riconducendo la rappresentazione nella realtà e negando alla fine il più vero spirito barocco.
Il B., insieme con la sua verosimilmente affollata bottega, si dedicò dal 1660 al 1670 all'esecuzione di sacre rappresentazioni al Sacro Monte di Varese, dove gli viene attribuita la X cappella dedicata alla Passione di Cristo, efficacissima per la totale e perfetta fusione tra scultura e pittura delle pareti e del soffitto. È accertata la presenza sua e della sua bottega anche al Sacro Monte di Orta, dove gli vengono attribuite la statua di S. Francesco sull'arco di entrata e le cappelle II, VI, VII, IX, X, XVI, XVII, XVIII, XIX e XX (vedi per quest'ultima Testori). È un capitolo, questo della scenografia sacra, veramente affascinante della scultura barocca lombarda: il B. vi ha profuso la sua profonda e varia cultura, animando i quadri viventi di empito drammatico e realistico e di schietta vitalità che mai scade nel popolaresco, grazie alla aristocratica nobiltà dei gesti e dei volti.
La collaborazione del B. alla Fabbrica del duomo di Milano proseguì con l'esecuzione di due statue, un Angelo annunziante (1661) e una Madonna annunciata (1663), poste sopra i piloni frontali della cappella della Madonna dell'Albero, di una statua in stucco raffigurante la Madonna con il Bambino incoronata da due angeli (1662), sostituita nel 1768 da una statua in marmo del medesimo soggetto e forse copia di E. V. Buzzi di quella del B., e di alcuni Angeli (1666 e 1674) da porre nelle nicchie dei pilastroni del coro.
Nell'anno 1674 il B. venne nominato protostatuario alla certosa di Pavia. Le opere che i documenti gli attribuiscono sono di livello discontinuo e lasciano quindi supporre la partecipazione del figlio Cesare, in particolare le due statue di S.Ambrogio e S.Giovanni e il paliotto con L'adorazione dei Magi nella cappella dell'Annunciata, "opera graziosa, ma dispersiva, veristica e aneddotica" (Bossaglia, p. 71), datato 1675. Con maggior sicurezza sono a lui attribuibili la Carità nel presbiterio, che "accoppia il sostenuto classicismo dei tratti fisionomici e la corposa sostanza anatomica a un andamento avanzante di schietto sapore barocco" (Bossaglia, p. 70), il S.Gregorio nella serie dei "colossi" nelle navate laterali, il paliotto con La strage degli innocenti nella cappella di s. Giuseppe, datato nei documenti (Bossaglia) 1667 0 1677. Al B. si attribuisce anche l'ideazione e la realizzazione quasi totale della balaustra con putti dell'altare maggiore, ove si riconosce un intervento assai ridotto di G. B. Maestri detto il Volpino.
Assai vicini alla Carità della certosa di Pavia sono i due Angeli posti lateralmente alla pala dell'altare di sinistra nella chiesa di S. Maria della Vittoria di Milano, nobilissimi nei volti classici e atteggiati nei corpi a un movimento senz'altro barocco. Più difficile riesce accettare l'attribuzione dei Quattro evangelisti nei pennacchi della cupola della medesima chiesa, di mediocre fattura e probabilmente opera della bottega. All'anno 1670 è datata la statua di S.Carlo Borromeo, ora posta in piazza Borromeo a Milano, "con testa e mani di bronzo ed il rimanente di rame", per la quale diede il disegno (Bartoli, p. 152). Sempre datate al 1670 sono le otto statue in terracotta oggi nel salone di Pio XI nella Biblioteca ambrosiana di Milano, rappresentanti la Grammatica, la Retorica, la Teologia, la Filosofia, la Giurisprudenza, la Matematica, l'Astronomia e la Medicina. Di esse alcune hanno atteggiamenti accademici, convenzionali e statici; altre, di livello artistico assai dignitoso, un andamento sicuro, elegante. Un ritorno alla rigidezza compositiva cmquecentesca si nota nel gruppo conchiuso e simmetrico rappresentante Caino e Abele nel duomo (n. 287 dei grafici del Nebbia), terminato nel 1671. Altrettanto rigida e conchiusa, di modesto livello artistico a causa dell'ottusità della materia e della rozzezza delle forme, è la Madonna del Rosario nel santuario di S. Pietro Martire di Seveso, datata 1673.
Da questi anni fino alla morte, avvenuta a Milano il 15 settembre 1687, i documenti informano di una più stretta collaborazione del B. con il figlio Cesare. Tra i prodotti di questa attività in comune, la S.Dorotea, terminata nel 1667, ci pare appartenga più genuinamente alla mano del B. e ci pare inoltre conchiuda coerentemente la sua carriera: il trapasso morbidissimo dei piani lungo lo svolgersi sinuoso del corpo, la morbidezza dei contorni ottenuta dallo scorrere della luce ne fanno un'opera compiutamente barocca.
Con un'azione analoga a quella del Ferrata, contemperando classicismo e spirito barocco, il B. copre un ruolo importantissimo nella scultura lombarda del sec. XVII: superando gli schemi cinquecenteschi, passa il patrimonio della poetica barocca alla generazione successiva, patrimonio che verrà raccolto con esatta intuizione dal Mellone, dal Beretta e dal Buzzi.
Fonti e Bibl.: Milano, Archivio storico della Fabbrica del duomo, cart. 140; D. Bigiogero, Le glorie della gran Vergine al Sagro Monte sopra Varese..., Milano 1699, p. 62; F. Bartoli, Notizia delle pitture... d'Italia, Venezia 1776, pp. 152, 155, 225; Annali della Fabbrica del duomo di Milano, V, Milano 1883, pp. 222-323 (passim); VI, ibid. 1885, pp. 1, 16, 18, 23, 25 s.; U. Nebbia, La scultura nel duomo di Milano, Milano 1908, pp. 212, 215, 262, 277, 280, 283, 297; G. Nicodemi, L'Accademia di pittura... all'Ambrosiana, in Studi in onore di C. Castiglioni..., Milano 1957, pp. 677 s., 687 ss., 695; Id., La scultura lombarda dal 1630 al 1706, in Storia di Milano, XI, Milano 1958, pp. 524-528; L. Testori, Elogio dell'arte novarese, Novara 1962, pp. 29 s., tavv. 103-108; R. Bossaglia, in La certosa di Pavia, Milano 1968, ad Indicem; R.Wittkower, Art and architecture in Italy, Harmondsworth 1958, ad Indicem;U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, V, p. 295.