PANTALEONI, Diomede
– Nacque a Macerata il 21 marzo 1810, quartogenito di Pantaleone, avvocato, e di Marianna Petrucci, in una famiglia borghese fra le più facoltose della città.
Il giovane Pantaleoni studiò dal 1819 al 1826 presso il collegio municipale di Ravenna. Frequentò poi per un triennio il collegio medico-chirurgico dell’Università pontificia di Macerata e, dopo aver conseguito il baccellierato e la licenza, nel gennaio 1830 sostenne a Roma le prove finali per il conseguimento della laurea, ottenuta con ottimi risultati. Rimase a Roma fino al marzo 1831 per frequentare la scuola clinica e per ottenere la «matricola di libero esercizio», ovvero l’abilitazione alla professione medica.
Negli anni universitari maceratesi furono centrali la frequentazione e l’insegnamento di Francesco Puccinotti, docente di patologia generale. Del ruolo svolto nella sua formazione culturale dal maestro, che Pantaleoni difese dalla persecuzione della polizia pontificia per il coinvolgimento nei moti del 1831, rimase testimonianza nel saggio Del metodo in patologia e dei fondamenti filosofici della patologia induttiva del professor Francesco Puccinotti, pubblicato sul milanese Giornale analitico di medicina nel luglio 1829.
La rivoluzione del 1831, che pure non lo vide direttamente partecipe, convinse Pantaleoni che era oramai necessario dedicarsi alla soluzione della questione dell’indipendenza italiana. Dal 1833 al 1835 intraprese il classico tour di formazione in Europa, visitando la Svizzera, alcuni Stati dell’area germanica e, soprattutto, la Francia.
Il viaggio europeo costituì un momento di crescita umana, professionale e principalmente politica. Infatti, oltre a visitare e a studiare nelle più prestigiose università e cliniche del tempo, Pantaleoni sfruttò l’occasione per entrare in contatto con la cultura politica liberale europea. Le lettere scritte al padre da Parigi fra il 1833 e il 1834 furono l’occasione per una discussione a distanza sulla natura e gli scopi del liberalismo, che Pantaleoni difese dalle accuse rivoltegli dal preoccupatissimo genitore.
Nel 1836, si trasferì nuovamente a Roma per praticare la professione, accreditandosi ben presto come medico della ricca colonia di stranieri e mettendosi inoltre in luce per lo zelo con il quale si prodigò nell’epidemia di colera dell’anno successivo. In attesa di concrete possibilità di azione politica, Pantaleoni fu attivo sul fronte dell’organizzazione culturale, e fu fra i fondatori, nel 1841, insieme a George W. Greene, console degli Stati Uniti, Ottavio Gigli, Achille Gennarelli e Francesco Cerroti, della Società storica romana; in quell’ambito, fra il 1841 e il 1843, Pantaleoni tenne un corso di venticinque lezioni sulla storia di Roma antica.
L’elezione al soglio pontificio di Pio IX nel 1846 mutò il quadro politico della penisola. Da quel momento si intensificarono i rapporti fra i moderati della penisola, e Pantaleoni fu fra i protagonisti della breve stagione riformistica avviata dal nuovo papa. Fu consigliere, dal 1846 al 1847, della presidenza centrale romana della Società nazionale per le strade ferrate nello Stato pontificio, sorta per costituire un azionariato popolare e ottenere dal governo l’appalto per la costruzione della rete ferroviaria che si stava progettando, e collaborò al settimanale La locomotiva, fondato per propagandare e sostenere l’azione di quella stessa Società.
Collaborò nel 1847 con Massimo d’Azeglio, con il quale proprio allora nacque una forte e duratura amicizia, nel tentativo sia di sostenere l’azione riformatrice di Pio IX con notizie e articoli inviati alla stampa europea, sia di unire le sparse e isolate membra del ‘partito moderato’ dotandolo di un programma. Nacque così la Proposta d’un programma per l’opinione nazionale italiana, scritta nel 1847 da d’Azeglio, ma alla cui stesura Pantaleoni diede un fattivo contributo. Concesso nel marzo 1848 lo statuto costituzionale nello Stato pontificio, nel maggio successivo Pantaleoni fu eletto deputato dal collegio maceratese di Cingoli. Partecipò assiduamente ai dibattiti e ai lavori in aula, intervenendo più volte sulle questioni sociali, fino allo scioglimento del Consiglio dei deputati avvenuto nel dicembre del 1848. Sulle colonne di Epoca combatté l’instabilità politica e il radicalismo dei circoli democratici, opponendosi alla dinamica rivoluzionaria avviatasi a metà novembre con l’assassinio di Pellegrino Rossi, di cui sostenne in gran parte l’azione di governo. Dopo la fuga del papa a Gaeta, tentò inutilmente in Parlamento di tenere in vita il sistema costituzionale, rischiando più volte la vita, ma il rifiuto di Pio IX e la radicalizzazione dello scontro politico resero vano ogni tentativo.
Manifestò le sue posizioni politiche moderate in due opuscoli – Sulla proposizione della costituente degli stati romani e Agli elettori del distretto di Cingoli – entrambi pubblicati all’inizio del gennaio 1849. Rifiutò di candidarsi alle elezioni della Costituente e, proclamata la Repubblica Romana, iniziò un’opposizione liberale a quello che riteneva un esperimento politico prematuro e foriero di sventure. Insieme a Terenzio Mamiani, Luigi Carlo Farini, Achille Gennarelli e pochi altri, diede battaglia ai governanti repubblicani dalle colonne de La speranza italiana, che poi, fondendosi con Epoca, diede vita nel marzo 1849 alla Speranza dell’Epoca; opposizione volontariamente cessata in seguito all’attacco delle truppe francesi alla fine dell’aprile 1849.
Combatté successivamente la restaurazione pontificia, rischiando l’esilio, con alcuni articoli apparsi sul fiorentino Statuto e sul torinese Risorgimento, e sollecitò d’Azeglio, tramite una serie di lettere politiche, a mantenere con ogni mezzo, e se necessario con la forza, lo statuto e le istituzioni rappresentative. Nel 1851 compì un viaggio in Inghilterra, dove ebbe modo di discutere della situazione politica italiana con lord Palmerston, con lord Minto e soprattutto con William Ewart Gladstone, al quale fornì informazioni e materiali per la stesura della seconda delle due lettere indirizzate a lord Aberdeen contro il malgoverno borbonico. Nel corso degli anni Cinquanta sostenne la politica cavouriana di ammodernamento dello Stato sabaudo, facendosi referente principale a Roma dei liberali filopiemontesi; in una lettera del 16 ottobre 1856 al cugino Auguste de la Rive, Cavour lo definì «l’expression la plus fidèle et la plus distinguée du parti libéral modéré» (C. Cavour, Epistolario, XIII, 2, a cura di C. Pischedda - M.L. Sarcinelli, Firenze 1992, p. 788).
Nel 1856 sposò a Napoli l’inglese Jane Isabella Massy Dawson, di molti anni più giovane. Dal matrimonio nacquero tre figli: Maffeo nel 1857, Guido nel 1858, Raoul nel 1860.
Allo scoppio della guerra nel 1859, Pantaleoni fu dapprima a Perugia, dove poté documentare in una memoria la brutalità della strage compiuta dai soldati pontifici, e poi a Bologna insieme a d’Azeglio per coordinare i moti insurrezionali dell’Italia centrale. In seguito, in una serie di lettere accorate scritte dopo lo sbarco dei garibaldini in Calabria, sollecitò Cavour a intraprendere l’invasione delle Marche e dell’Umbria per impedire a Garibaldi di puntare su Roma e per riconsegnare il merito finale dell’impresa al re sabaudo e all’iniziativa dei liberali moderati.
Alla fine del 1860, Cavour coinvolse direttamente Pantaleoni nel tentativo di un accordo con il papa. Incaricato di una missione ufficiosa presso la curia romana insieme all’ex padre gesuita secolarizzato Carlo Passaglia, Pantaleoni elaborò un memorandum, che consegnò al cardinale Vincenzo Santucci, e un progetto d’accordo che poi Cavour, opportunamente corretto, fece di nuovo pervenire ai due negoziatori a Roma. Nel frattempo, però, il cardinale Giacomo Antonelli aveva fatto naufragare ogni tentativo di negoziazione. La formula «Libera Chiesa in libero Stato», posta alla base della proposta cavouriana, fu suggerita al conte proprio da Pantaleoni, che la inserì nel secondo capitolato del progetto di accordo da lui steso e inviato a Torino.
L’elezione a deputato del costituendo Regno d’Italia presso il collegio di Macerata fu il pretesto per decretare l’espulsione di Pantaleoni dallo Stato pontificio nel marzo 1861. Recatosi a Torino, a maggio fu inviato in missione da Cavour a Parigi. Lo scopo era quello di far accogliere presso la corte imperiale francese il progetto d’accordo che prevedeva il disimpegno delle truppe transalpine dallo Stato pontificio, l’impegno italiano a garantirne i confini e il riconoscimento da parte francese del nuovo Regno d’Italia. Pantaleoni fu ricevuto dal ministro degli Affari esteri Édouard Antoine de Thouvenel, per il quale scrisse alcune memorie sulla curia romana. La morte di Cavour interruppe il negoziato oramai avviato al successo.
Ritornato a Torino, Pantaleoni fu incaricato dal ministro dell’Interno Marco Minghetti di una missione conoscitiva nel Mezzogiorno; il viaggio fu intrapreso fra agosto e settembre 1861, con l’esclusione della Puglia e dell’Abruzzo. Dopo le prime lettere scritte a caldo sul posto e inviate a Minghetti prima e a Bettino Ricasoli poi, nelle quali sembrava prevalere la sola richiesta di una politica forte da attuarsi con l’invio di contingenti di truppe, Pantaleoni, rientrato in sede, rielaborò i dati e le informazioni raccolte in due memorie nelle quali prevalevano considerazioni e analisi approfondite sulle condizioni di vita, sulla natura dei rapporti sociali vigenti e sulle cause del brigantaggio.
Dopo un breve soggiorno a Torino, Pantaleoni si trasferì con la famiglia a Nizza, dove poté continuare a esercitare la professione medica all’interno della facoltosa colonia straniera. La nuova sistemazione gli impedì un’assidua presenza in Parlamento, e per tale motivo si dimise da deputato nel novembre del 1862, amareggiato per lo scarso impegno con cui, a suo dire, gli amici si erano prodigati per procurargli un’adeguata posizione lavorativa in Italia.
Negli anni Sessanta riprese gli studi medici e nel 1869 cauterizzò all’interno dell’utero un polipo con nitrato d’argento nel tentativo, riuscito, di arrestare un’emorragia, realizzando così la prima isteroscopia nella storia della medicina. Pantaleoni stesso descrisse l’operazione da lui compiuta nell’articolo On endoscopic examination of the cavity of the womb, pubblicato dalla rivista The London medical press & circular (1869, vol. 8, pp. 26-27).
Dall’osservatorio nizzardo apprezzò la politica della Destra storica, criticandone però il rigido accentramento amministrativo. Dovette attendere un decennio prima di poter ritornare a Roma, alla fine del 1870. Scoppiata la guerra tra Francia e Prussia, il governo italiano ricorse di nuovo ai suoi servigi, inviandolo ai primi di settembre in missione ufficiosa a Parigi: suo compito era quello di convincere i politici francesi che stavano assumendo il potere, e in particolar modo l’amico Adolphe Thiers, a non ostacolare la presa di Roma. Tornato a Roma il 22 settembre, fu subito nominato commissario degli ospedali romani; si dimise da tale incarico agli inizi del 1872 a causa dei continui ostacoli frapposti ai suoi progetti di riforma.
Fu nominato senatore nel novembre del 1873. Nell’aula del Senato intervenne a più riprese sui temi che più gli stavano a cuore: il rapporto Stato-Chiesa (questione che egli approfondì in una serie di articoli pubblicati sulla Nuova Antologia nel corso degli anni Settanta), il ruolo del Senato nel quadro delle istituzioni rappresentative, la libertà dell’istruzione. Manifestò inoltre la sua opposizione ai governi presieduti da Agostino Depretis e Benedetto Cairoli e al trasformismo, la sua contrarietà all’allargamento del suffragio e alle «sette repubblicane», il suo appoggio a un’espansione coloniale che doveva attuarsi attraverso l’espansione dei commerci, delle industrie, della lingua, delle arti, in breve tramite l’affermazione di quella che il linguaggio del tempo chiamava «civiltà».
Negli ultimi anni di vita riprese i suoi amati studi storici, pubblicando la Storia civile e costituzionale di Roma dai suoi primordi fino agli Antonini (Torino 1881) e una serie di saggi storici minori. Nei volumi L’idea italiana nella soppressione del potere temporale dei papi (Torino 1884) e L’ultimo tentativo del Cavour per la liberazione di Roma nel 1861 (Firenze 1885), Pantaleoni ricordò la collaborazione offerta a Cavour e l’apporto dato al tentativo di risolvere pacificamente la questione romana e il dissidio fra Stato e Chiesa.
Morì a Roma il 3 maggio 1885.
Fonti e Bibl.: In seguito all’espulsione di Pantaleoni da Roma nel 1861, i bauli contenenti le sue carte furono requisiti dalla polizia pontificia. Il rimanente fu in parte donato dai familiari alla Biblioteca comunale di Macerata (Carte Diomede Pantaleoni, custodite in quattro buste) e in parte, soprattutto carteggi familiari e scritti storici, è ancora oggi in possesso dei discendenti. Lettere e documenti autografi di Pantaleoni sono presenti nei più importanti fondi archivistici risorgimentali, fra i quali si segnalano: il Museo centrale del Risorgimento di Roma; la Deputa-zione toscana di storia patria di Firenze; l’Archivio di Stato di Orvieto, Fondo Gualterio; la Biblioteca comunale dell’Archiginnasio di Bologna, Fondo speciale Minghetti; la Biblioteca comunale Classense di Ravenna, Carte Farini; la Biblioteca comunale Labronica di Livorno, Autografoteca Bastogi; la Biblioteca nazionale di Firenze, Carteggi vari; la Biblioteca comunale Oliveriana di Pesaro, Carte Mamiani; la Fondazione Cavour di Santena; la Fondazione Sella di Biella; il Museo del Risorgimento di Torino. Lettere di Pantaleoni sono pubblicate nei più importanti carteggi di personalità dell’Ottocento (Cavour, d’Azeglio, Minghetti, Farini, Mamiani, Ricasoli), fra i quali si segnalano: Massimo d’Azeglio e D. P. Carteggio inedito, Torino 1888; La questione romana negli anni 1860-1861. Carteggio del conte di Cavour con D. P., C. Passaglia, O. Vimercati, I-II, Bologna 1929; Marco Minghetti e D. P. Carteggio (1848-1885), Bologna 1978. Lettere e rapporti di Pantaleoni sono pubblicati in alcuni dei volumi della serie I documenti diplomatici italiani (soprattutto quelli relativi agli anni Sessanta e Settanta dell’Ottocento). Inoltre: F. Della Peruta, Cinque lettere inedite di D. P. sulla questione meridionale, in Società, VI (1950), 1, pp. 69-94; G. Scichilone, Documenti sulle condizioni della Sicilia dal 1860 al 1870, Roma 1952, pp. 92-103; P. Alatri, Le condizioni dell’Italia meridionale in un rapporto di D. P. a Marco Minghetti (1861), in Movimento operaio, V (1953), 5-6, pp. 750-792; Id., Il Mezzogiorno all’indomani dell’unificazione in una relazione inedita di D. P., in Rassegna storica del Risorgimento, XLII (1955), 2-3, pp. 165-179; E. Passerin d’Entrèves, Appunti sull’impostazione delle ultime trattative del governo cavouriano colla Santa Sede per una soluzione della questione romana (novembre 1860-marzo 1861), in Id., La formazione dello Stato unitario, a cura di N. Raponi, Roma 1993, pp. 292-320; Id., Ancora sulla formula cavouriana: ‘Libera Chiesa in libero Stato’, in Id., Religione e politica nell’Ottocento europeo, a cura di F. Traniello, Roma 1993, pp. 242-252; L. Capogrossi Colognesi, Una pagina dimenticata della storiografia italiana dell’800 su Roma arcaica: D. P., in Studia et documenta historiae et iuris pontificium institutum utriusque iuris pontificia universitas lateranensis, 1995, vol. 61, pp. 731-737; R. Piccioni, D. P., Roma 2003; Repertorio biografico dei senatori dell’Italia liberale 1861-1922, a cura di F. Grassi Orsini - E. Campochiaro, VII, Napoli 2009, sub voce; Camera dei Deputati, Portale storico, sub voce (http://storia.camera.it/deputato/diomede-pantaleoni-18100321?reloaded#nav).