DIOGENE Laerzio (Διογένης Λαέρτιος; Diogĕnes Laërtius)
Persino il nome è incerto, essendo dalle varie fonti indicato come Diogene Laerzio o Laerzio Diogene quasi appartenente alla famiglia romana Larcia o Larzia; oppure Diogene Laerzio quasi proveniente dalla città di Laerte in Cilicia e anche Diogene di Laerzio. Recentemente si credette di ravvisare in tale denominazione un epiteto letterario, quale solevano assumere già nell'età ellenistica gli scrittori con riferimento al διογενὴς Λαερτιάδης omerico. Quanto al tempo, principali fondamenti per una determinazione sono da un canto il ricordo di Saturnino (IX, 116) discepolo di Sesto Empirico e di Favorino (morto oltre la metà del sec. II d. C.), dall'altro le citazioni che dell'opera di D. fanno Stefano Bizantino e Sopatro. Si aggiunga inoltre il fatto che nella tradizione romanzesca della vita di Pitagora manca presso D. quel misticismo intorno ai numeri che caratterizzò il pitagorismo della fine del sec. III, e quella corrente allegorica che pervase il neoplatonismo. Per queste ragioni non si andrà gran fatto errati collocando l'attività letteraria di D. verso il mezzo del sec. III. La sua opera ci è pervenuta in dieci libri contenente le vite dei più illustri filosofi, opera di cui è incerto anche il vero titolo, e nella quale spesso D. si richiama a una sua raccolta di epigrammi per la morte dei grandi personaggi del passato.
Di questi suoi componimenti poeticì pare che D. abbia fatto grande conto, ché non manca di citarli accanto a quelli di altri poeti sul medesimo argomento o riportati dalla tradizione. Si può dire che non vi fu quasi filosofo importante per il quale D. non scrivesse almeno un carme, ché talora si diverte, secondo il vezzo degli ultimi ellenistici, di ricamare sul medesimo motivo più epigrammi, come per Empedocle (VIII, 74-5), per Senofonte (II, 58), per Platone (III, 45), per Pitagora (VIII, 44 segg.: 4 carmi!) Si sarebbe quasi tentati di credere che D. sia stato indotto a scrivere l'opera in prosa a illustrazione quasi del suo quadro storicofilosofico composto dapprima in versi. Infatti per questi componimenti, fra i quali segue l'indirizzo cominciato già nei primi tempi ellenistici con Callimaco, continuato con Dioscoride e divenuto poi quasi di moda, D. non manca di raccogliere materiali d'ogni parte perché sia rispettata la verità storica o la tradizione possa essere documentata. Il valore artistico di questi epigrammi è insignificante.
Più nota fu l'opera in prosa giunta fino a noi, ma la condizione stessa in cui ci è pervenuta fa dubitare della natura vera dell'opera e della sua originaria composizione. Il libro VII non è compiuto e lo attesta il catalogo delle vite contenuto nel manoscritto Paris, 1759 (e quindi anche nei suoi derivati) in cui dopo la vita di Crisippo, con la quale ora si chiude il libro, sono indicate oltre venti vite mancanti nell'opera di D. Il titolo stesso è incerto: Sopatro lo ricorda come Laerzio Diogene, Vite dei filosofi, Stefano Bizantino come Storie filosofiche, mentre taluni manoscritti (ad es. il Paris, cit.) lo intitolano Laerzio Diogene, Vite e sentenze dei più illustri filosofi e compendio breve delle opinioni prevalenti in ciascuna setta, e i migliori mss. nella soscrizione dell'ultimo libro lo considerano come "raccolta delle vite e dei dogmi dei filosofi" cercando di determinare lo scopo del libro. Ma il libro, che comincia con un proemio in cui si fa la storia dell'origine della filosofia presso i più antichi popoli, manca di una vera prefazione, che una volta forse esisteva, o almeno era nelle intenzioni dell'autore insieme con la dedica.
Infatti, parlando dell'opera di Platone (III, 47), D. a un tratto interrompe la narrazione, indirizzandosi a una donna, studiosa di Platone, dichiarando lo scopo dell'opera sua, almeno relativamente a Platone. "Poiché sei studiosa di Platone e a ragione ricerchi i dogmi del sommo filosofo con particolare amore fra gli altri, stimai necessario delineare la natura dei discorsi, l'ordine dei dialoghi, la forza del suo argomentare per quanto stava in me, secondo gli elementi e per sommi capi, perché la sua biografia non mancasse di un cenno sulle sue dottrine, dacché sarebbe stato un portare nottole ad Atene, come si suol dire, se per te avessi trattato di tale argomento in particolare". L'opera dunque conteneva una dedica che doveva avere un particolare carattere secondo la persona cui era dedicata. Chi sia questa donna amante del platonismo non si sa. Per taluni è Arria, l'amica di Galeno; per altri l'imperatrice Giulia Domna, la protettrice di Filostrato. Né si può credere, come si è supposto, che tale passo derivi senz'altro dalla fonte cui ha attinto D., senza riferimento al nostro autore. Infatti ancora in X, 28-29 ci imbattiamo in un altro passo consono con quello già citato, quanto a indirizzo e scopo dello scrittore, ma che non può derivare dalla medesima dedica. A proposito di Epicuro, D. dichiara: "tenterò di esporre in compendio quelle opere che contengono il suo sistema, apportando tre sue lettere nelle quali egli ha abbracciato tutta la sua filosofia. Esporrò anche le sue sentenze e quello che di degno da essere ricordato egli ha detto, sì che si manifesti sotto ogni riguardo che uomo egli fu".
Questi luoghi lasciano intendere che l'opera o nelle intenzioni dell'autore o nella sua prima composizione era diversa da quella che noi abbiamo, ed è probabile l'opinione accreditata presso gli studiosi che l'opera di D. a noi pervenuta non fosse destinata, così come era, a essere pubblicata, ma sia rimasta allo stato di compilazione o di abbozzo. Si ricava a ogni modo l'intendimento dell'autore di voler dare notizie biografiche e dossografiche d'ogni filosofo secondo il materiale che egli aveva a sua disposizione, e di determinare e seguire le varie scuole nel loro svolgimento dopo avere tratteggiato la vita e l'opera del maestro. Ma alle intenzioni non erano forse adeguate la preparazione e le forze. D. non pare fosse uno spirito filosofico: infatti dalla trattazione non si manifesta neppure quale tendenza egli abbia seguita, se pure non si vuole scorgere una certa propensione per gl'insegnamenti epicurei. Ma è da notare che se ad Epicuro dedica un libro intero (X), altrettanto fa per Platone (III) ed è appunto da ambedue queste vite che si palesano l'interesse particolare dell'autore e i suoi criterî. Più che filosofo, egli è un raccoglitore di aneddoti e di materiale biografico, che segue la corrente già in uso dal periodo ellenistico e continuata ancora nei primi secoli dell'era volgare. L'autore raccoglie notizie da ogni parte e spesso senza critica. Infatti più d'una volta non si accorge di riportare le stesse notizie o quasi, ma con forme diverse, secondo le fonti dalle quali le trae. E nel grande ammasso, mentre talora trascrive direttamente le sue fonti o le abbrevia, tal'altra le allarga e le modifica inserendo notizie sue proprie, di cui non sempre è facile stabilire la provenienza. Un certo ordinamento egli tentò di dare a tutto questo materiale.
Dopo il proemio, già ricordato, comincia senz'altro la serie delle biografie. Dai filosofi (ϕιλόσοϕοι) si distinguono i saggi (σοϕοί), che occupano tutto il primo libro (Talete, Solone, Chilone, Pittaco, Biante, Cleobulo, Periandro, Anacarsi, Misone, Epimenide, Ferecide); quindi comincia la scuola ionica (libro II: Anassimandro, Anassimene), cui seguono Anassagora, Archelao e Socrate. L'autore continua con le scuole socratiche, comprendendo ancora nel secondo libro Senofonte, Eschine, Aristippo, Euclide, Diodoro, Stilpone, Critone, Simone, Glaucone, Simmia, Cebete, Menedemo. E siamo a Platone che domina nel III libro. Nel IV sono passati in rassegna i platonici (Speusippo, Senocrate, Polemone, Cratete, Crantore, Arcesilao, Bione, Lacida, Carneade, Clitomaco), nel V gli aristotelici (Aristotele, Teofrasto, Stratone, Licone, Demetrio, Eraclide), cui seguono i cinici nel VI (Antistene, Diogene, Monimo, Onesicrito, Cratete, Metrocle, Ipparchia, Menippo, Menedemo) e gli stoici nel VII (Zenone, Erillo, Cleante, Sfero, Crisippo...). Col libro vIII si apre la serie dei filosofi italici (Pitagora, Empedocle, Epicarmo, Archita, Eudosso); nel IX libro sono ricordati altri filosofi senza riguardo alla scuola cui appartengono (Eraclito, Senofane, Parmenide, Melisso, Zenone di Elea, Leucippo, Democrito, Protagora, Diogene di Apollonia, Anassarco, Pirrone, Timone); il X e ultimo libro è riservato a Epicuro.
Chi per poco osservi anche l'ordine in cui si susseguono le biografie trova non poche incongruenze, e disordine anche maggiore nella compilazione delle notizie in alcune biografie, quali quelle di Platone e d'Epicuro. Nonostante questo, l'opera di Diogene è di molta utilità per la grande quantità di notizie che riferisce da fonti che ci sarebbero altronde ignote o quasi. Ma non si deve credere che D. abbia attinto direttamente a tutte le fonti che ricorda, specialmente alle più antiche. Molte volte egli cita le antiche desumendole alla sua volta da più recenti fonti ch'egli sfrutta a suo talento o compendiando o largamente riportandone notizie con inserzioni di altre. Riesce quindi difficile stabilire quali siano state le vere e sole fonti da lui direttamente usate. Non ebbe certamente la vastità di cultura che potrebbe apparire dal cumulo di citazioni, ma non si possono d'altro canto restringere le sue conoscenze a pochi autori o talora anche a una sola fonte principale, come taluno ha tentato di provare, fermandosi ad Apollodoro o a Sosicrate o a Solone o a Favorino o a Diocle o a Panfila. D. si serve di più autori e tutti li considera alla stessa stregua senza tener conto della loro maggiore o minore autorità e attendibilità. Egli offre il materiale, e la critica moderna ha il compito di scegliere, di vagliare fra le numerose notizie stabilendone il valore e l'importanza. Né mancarono lavori speciali a questo riguardo, specialmente per la vita di Epicuro da parte dell'Usener e recentemente del Bignone e del Tescari, per le parti dossografiche per opera del Diels, per le fonti in generale per opera del Maass, del Wilamowitz e del Gercke, per l'ordinamento della materia per opera dello Schwartz. Ma una conclusione generale non si può ancora stabilire. Resta però ormai accertato che tra le fonti dirette di D. sono da ricordare il Compendio di Diocle, il Manuale di Sosicrate e quello di Ippoboto, ma soprattutto Panfila, Atenodoro, Mironiano di Amastri e Favorino, tutti scrittori di compendî e raccoglitori di aneddoti, ma che non avevano tempra di filosofi e tanto meno attitudini alle sintesi filosofiche e storiche. Erano biografi, storici, letterati di varia natura, e tale fu anche D. Questi però non esitò a servirsi anche di fonti più attinenti alla filosofia come gli estratti dossografici, derivanti dalle varie scuole, completando le notizie biografiche con la conoscenza delle opere teofrastee di altri manuali o trattazioni dell'età ellenistica di cui si può ricercare in parte materia e spirito col confronto cui si prestano le notizie di D. con quelle ad esempio di Clemente Alessandrino (confronti tentati dallo Schwartz), e per l'introduzione alla vita di Platone col prologo di Albino, che non deriva certo da D., o con le dossografie delle varie scuole. Pregio principale di D. è che in generale rifugge da quell'ingenuità e puerilità cui indulgono di frequente altri biografi e per la quale a torto fu talora rimproverato. Più prudente e saggio, egli di rado si lascia sedurre dai romanzi che già si formavano nelle tradizioni biografiche, accettando quelle notizie che sono attendibili e lasciando alle singole fonti la responsabilità di quanto può parere non facilmente credibile. Vuole essere storico severo e razionale. Però l'opera sua non ebbe larga fortuna. Primi a ricordarla sono Stefano Bizantino e Sopatro; quindi bisogna venire ai tempi del tardo bizantinismo con Suida e gli scrittori posteriori perché si trovino tracce dell'uso di queste biografie, che nel Medioevo assommarono tutta la conoscenza della storia della filosofia antica.
Edizioni: Ancor oggi manca dell'opera di D. un'edizione critica sicura, ché le edizioni più usate, quali quelle dello Hübner (Lipsia 1828) e del Cobet (Parigi 1850), non sono state condotte su una revisione severamente critica di tutto il materiale manoscritto, che lascia ancora molti dubbî quanto alla sua attendibilità e autorità. Per alcune elaborazioni critiche più recenti di singole parti dell'opera, F. Ueberweg, Grundriss d. Gesch. d. Phil., I, 12ª ed., Berlino 1926, pp. 11-12. I manoscritti più importanti, sono il Borbon. Gr. III B. 29, n. 253, sec. XII (B); Laurenz. LXIX, 13, sec. XII (F); Parisin. 1759, sec. XIII-XIV (P) da cui deriva Laur. LXIX, 35, sec. XV (H). Altri manoscritti pure notevoli sono il Laurenz. LIX, z8, sec. XIV (G) e Parisin. 1758, sec. XV (Q), cui segue tutta la categoria degli "Interpolati" fra i quali merita ricordo il Vatic. 1302, e che dànno talvolta buone lezioni.
Bibl.: F. Nietzsche, De L. Diogen. fontibus, in Rh. Mus., XXIII (1868), p. 632 segg.; XXIV (1869), p. 181 segg.; XXV (1870); F. Bahnsch, Quaest. de D. L. fontibus initia, Königsberg 1868; W. Volkmann, Quaest. de D.L., I, Breslavia 1890; II, ivi 1895; id., Unters zu. D. L., Fauer 1891; E. Maass, De biographis graecis quaest. seelectae, in Philol. Unters., III (1880), ed ivi p. 142 segg. Epist. critic. del Wilamowitz; H. Usener, Epicurea e anche Die Unterlage des L. D., in Sitzb. der Berl. Akad., 1892, p. 1023; H. Diels, Daxogr. graec., Berlino 1879; A. Gercke, De quibusdam L. D. auctoribus, Greifswald 1899; E. Martini, Analecta Laertiana, in Leipz. Stud., XIX (1899), p. 69 segg., e Rh. Mus., LV (1900), p. 612 segg.; H. Schmidt, Stud. Laert., Bonn 1906; E. Schwartz, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., V, col. 738 segg.; F. Schaefer, Quid Graeci de orig. philos. a barb. ducenda existim. sec. L. D. proemium exponitur, Lipsia 1877; G. Kern, Bemerkungen zum 10. Buche d. L. D., Prenzlau 1878.