PALLIERI, Diodato
PALLIERI, Diodato (Adeodato). – Nacque a Moretta, presso Saluzzo, il 20 agosto 1813 da Francesco e da Maria Maddalena Bertini.
I Pallieri erano per tradizione familiare funzionari dell’amministrazione sabauda. Nel 1825, Francesco, già comandante della piazza di Savona, ricevette il titolo di conte.
Laureatosi in giurisprudenza, Pallieri intraprese la carriera giudiziaria, entrando nel 1838 come volontario nell’ufficio del regio procuratore di Saluzzo. Nel 1843 fu nominato assessore aggiunto al tribunale di Pinerolo, ma già l’anno successivo divenne sottointendente a Savona e nel 1846 sostituto procuratore. Sposò Maddalena Olimpia Restagno, da cui ebbe Rosalia (1853-1920), che si unì in matrimonio con il conte Cesare Balladore, in seguito prefetto di Siena e Arezzo.
Il 9 dicembre 1849, fu eletto deputato per il collegio di Cavour nella quarta legislatura subalpina. Fu confermato deputato anche nella successiva legislatura, fino al dicembre 1853, quando diede le dimissioni a seguito della nomina a sostituto procuratore generale. Politicamente, si collocò nella maggioranza liberale moderata, vicina a Massimo d’Azeglio e poi al conte di Cavour, che lo definì «homme de bons sens et d’instruction, qui partage nos opinions et nos sentiments» (Epistolario, VIII, p. 176).
La sua attività parlamentare fu intensa. Membro della commissione del Bilancio nel 1854-55, intervenne con frequenza nella discussione dei provvedimenti finanziari, ma anche su questioni regolamentari, quali il diritto di petizione. Più che per posizioni politicamente marcate, Pallieri si segnalò per una puntuale attività emendativa, nella quale emergeva la sua qualificazione spiccatamente tecnica, su numerosi provvedimenti finanziari.
Consigliere di Corte d’appello dal luglio 1854, fu intendente a Genova dal settembre 1854 al giugno 1856. Nel periodo in cui ricoprì la carica, dovette affrontare l’epidemia di colera che colpì la città provocando quasi 3000 morti. Al contempo, assunse diversi incarichi amministrativi, fra cui quello di presidente del Consiglio provinciale di Cuneo (1855), città della quale fu anche intendente. Dal 1856 al 1859 fu consigliere della Camera dei conti, ma non cessò l’attività politica, in qualità di consigliere comunale di Torino (1857-59). In quel periodo ebbe un duro scontro con Urbano Rattazzi, oggetto di una campagna di stampa da parte del giornale L’Espero, a lui fortemente legato. Alla fine del 1857 Cavour valutò la nomina di Pallieri a ministro dell’Interno, ma, pur ritenendolo capace, preferì assumere direttamente l’interim del ministero, proprio per evitare conflitti con Rattazzi.
Le buone prove offerte da Pallieri nei suoi diversi incarichi indussero il governo sabaudo a impiegarlo come rappresentante nel delicato frangente della seconda guerra di indipendenza. Dopo la conquista di Milano da parte delle truppe franco-piemontesi e la fuga dei duchi di Parma e Modena, fu inviato come commissario nel Ducato di Parma e Piacenza, abbandonato dalla reggente Luisa Maria di Borbone, con il compito di assumere i pieni poteri e di preparare l’annessione al Regno di Sardegna.
Giunto nel Ducato il 16 giugno 1859, Pallieri rafforzò le spinte all’unione, superando le contese muncipali tra Parma e Piacenza e mediando fra i gruppi moderati e quelli democratici. Contenne altresì l’azione del nuovo podestà di Parma, Filippo Linati, impegnato a forzare le tappe di un’annessione che si presentava irta di difficoltà. Diede inoltre una prima forma organizzativa all’amministrazione, di cui in seguito diede conto in una lunga relazione al governo provvisorio (parzialmente edita in Fasti legislativi, 1865, pp. 275-285). Nominato Girolamo Cantelli a segretario generale del governo provvisorio, Pallieri affidò le quattro direzioni in cui ripartì l’amministrazione a Pietro Bruni, Giuseppe Manfredi (futuro presidente del Senato), Pietro Ghinelli ed Evaristo Armani.
A seguito dell’armistizio di Villafranca, si determinò una forte incertezza sulle sorti del Ducato, che non era stato esplicitamente contemplato nell’accordo, e Pallieri fu richiamato. L’8 agosto 1859 lasciò Parma, dopo aver nominato come suo successore il fidato Manfredi e dopo aver emanato un proclama con il quale dava assicurazioni sulla futura unione del Ducato al Regno di Sardegna, che fu poi stabilita con un plebiscito a suffragio universale maschile tramite sottoscrizioni su pubblici registri aperti da 14 al 21 agosto 1859 e ratificata nel settembre successivo da un’assemblea elettiva.
Mentre si trovava ancora a Parma, alla metà di luglio 1859, Pallieri ricevette l’offerta del ministero dell’Interno nel governo che il conte Francesco Arese aveva avuto l’incarico di costituire dopo la pace di Villafranca e le dimissioni di Cavour, ma, con la rinuncia di Arese, e l’incarico a Rattazzi, la prospettiva svanì. Il 18 dicembre 1859 fu nominato consigliere di Stato del Regno di Sardegna e alla fine del 1860 fu inserito nella commissione temporanea di legislazione costituita presso quell’organo al fine di elaborare proposte per l’unificazione amministrativa.
Rimase consigliere di Stato anche dopo la riforma del Consiglio che seguì le leggi di unificazione del Regno d’Italia (1865). Nella sua attività, alquanto discontinua a causa delle altre cariche ricoperte, si concentrò soprattutto su questioni e vertenze di ambito finanziario, dimostrando una sicura padronanza della normativa.
Ormai divenuto uno degli esponenti di spicco di quell’élite burocratica che gestì molti aspetti dell’unificazione giuridica e amministrativa del nuovo Regno, il 24 maggio 1863 fu nominato senatore. Anche in quel consesso svolse un’attività intensa, sia in assemblea sia come membro della commissione speciale per l’esame del codice civile (1864), della commissione di Finanze (1865-78) e della commissione di Vigilanza al debito pubblico (1865-78).
Nel corso dell’ottava legislatura (1861-65), si fece apprezzare in particolare per i suoi interventi sulle leggi di unificazione giuridica e amministrativa e su alcune grandi leggi finanziarie, come quella sullo statuto della Banca nazionale e sull’imposta sui fabbricati. In seguito, fu relatore del disegno di legge sull’unificazione delle imposte indirette alle provincie venete e del disegno di legge di riforma dell’imposta di ricchezza mobile, e più volte relatore nella discussione dei bilanci dello Stato.
Nel febbraio 1867 il ministro delle Finanze Antonio Scialoja lo nominò presidente della Commissione tributaria centrale, organo di giustizia tributaria creato nel 1865 nell’ambito della costruzione del nuovo sistema fiscale dell’Italia unita. La nomina di Pallieri, che succedeva all’economista Francesco Ferrara, fu il segno di una trasformazione di quell’organo, nel senso di un’accentuazione della sua qualificazione giurisdizionale. Egli mantenne la presidenza fino al 1869, promuovendo un complessivo irrobustimento della Commissione, con l’immissione di alcuni giovani promettenti come Giovanni Giolitti, che gli rimase assai legato.
Presidente della commissione di Vigilanza al debito pubblico dal settembre 1870, Pallieri fu anche membro della Commissione speciale nominata per il coordinamento delle disposizioni del codice civile e, in diverse fasi, presidente della Commissione centrale di sindacato sull’amministrazione dell’asse ecclesiastico, di cui era membro dal 1867.
Il suo ruolo politico fu più sfumato, anche se mantenne forti contatti con Quintino Sella, Marco Minghetti e con altri esponenti della Destra storica e partecipò alla discussione di importanti provvedimenti, come la legge delle guarentigie. Il 16 gennaio 1873 fu nominato presidente di sezione del Consiglio di Stato, carica nella quale rimase fino al 1877, quando fu collocato a riposo. Dopo il 1876, la sua attività politica si diradò ed egli si pose ripetutamente in congedo dai lavori parlamentari.
Morì a Roma il 2 giugno 1892.
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