ROSSONI (Rosoni), Dino
ROSSONI (Rosoni), Dino (Dino del Mugello). – Nacque forse a Firenze attorno al 1253, figlio del notaio Iacopo di Bencivenni. Le fonti non ci restituiscono l’identità della madre.
L’oscillazione della forma cognominale è principalmente imputabile alla doppia attestazione consolidatasi nell’uso storiografico; con riferimento alle fonti, sembra doversi preferire Rosoni, quale genitivo patronimico dell’ipotetico Rotzo, capostitipe della famiglia. Questa proveniva dal Mugello, verosimilmente dal piviere di Santa Maria a Fagna, presso Scarperia (provincia di Firenze), e si era con ogni probabilità inurbata in tempi prossimi alla nascita di Dino.
Come il fratello Geri, futuro gonfaloniere di Giustizia a Firenze tra il 1301 e il 1302, il mugellano venne avviato agli studi giuridici, che compì presso lo Studium di Bologna. Nonostante il percorso civilistico, la più antica attestazione della carriera di Dino – ancora studente – è data da un documento del 30 gennaio 1278 relativo all’acquisto di alcuni codici di diritto canonico. Dino si laureò in legibus entro il 21 marzo dell’anno successivo, quando accettò un incarico quinquennale di generico ‘esercizio’ della professione giuridica a Pistoia: la considerevole retribuzione prevista, in misura di 200 lire pisane annue, rende non inverosimile l’ipotesi dell’attribuzione a Dino di incarichi pubblici (Murano, 2016b, p. 8 nota 16). Il 2 maggio 1279, tuttavia, il civilista si trovava ancora a Bologna, città in cui tornò stabilmente a partire dal 1284 (un documento del 1292 chiarisce come il giurista risiedesse nella cappella di S. Damiano).
Nel 1289, su richiesta degli studenti, il Comune attribuì a Dino la lettura straordinaria dell’Inforziato con uno stipendio pari a 100 lire di bolognini, incarico poi rinnovato per i due anni successivi, e nuovamente riconfermato nel 1294; a partire dal 1296 è invece attestata, con identica retribuzione, la lettura del Digesto Nuovo. Quando nel 1296 Dino fu invitato da Carlo II d’Angiò a trasferire il suo magistero a Napoli su promessa di un compenso di 100 once d’oro, gli studenti bolognesi cercarono di correre ai ripari proponendo il raddoppio degli emolumenti precedentemente percepiti. È opinione comune della storiografia che Dino non abbia mai insegnato a Napoli, nonostante il successivo abbandono di Bologna prima del settembre 1297. Dall’estate di quell’anno il mugellano si era invece trasferito a Roma su invito di Bonifacio VIII: l’attività professionale che vi svolse non fu limitata all’insegnamento presso lo Studium Curiae, ma riguardò la stesura del De regulis iuris del Liber Sextus, la sua opera più celebre. Evidentemente in relazione a questa chiamata, Dino nel gennaio del 1297 era stato beneficiato da papa Caetani della prepositura di Montfaucon, nella diocesi di Reims, ottenendo la contestuale dispensa dal vincolo di residenza. Questa collazione evidenzia come il giurista, nonostante si fosse coniugato, avesse nel frattempo abbracciato la vita ecclesiastica: fu forse questa opzione a spingere la moglie di Dino, Bice, a entrare in monastero a Bologna nel 1298.
Mauro Sarti (Sarti - Fattorini, 1888, p. 256), poi seguito da diversi studiosi, sostenne erroneamente che il mugellano sarebbe tornato a insegnare a Bologna nel 1298, adducendone a prova un documento del 16 settembre, la cui datazione va invece ricondotta al 1296: l’atto citato corrisponde infatti per data e contenuti ad analogo pubblicato da Roberto Bargioni (1920, p. 49 nota 19).
La ricchissima attività scientifica del civilista è testimoniata da un ampio ventaglio di opere, il cui complesso guadagnò a Dino una notevole fama presso i contemporanei, presto corroborata dal rilievo assunto dai principali allievi, tra cui Cino da Pistoia, Iacopo Belvisi e Oldrado da Ponte. Tale fama fu in larga parte dovuta ai frequenti interventi di consulenza giuridica, di cui si avvalsero diverse città dell’Italia centrale e settentrionale (Firenze, Lucca, Parma, Perugia, Pistoia, Prato, Siena, Verona, Treviso); analogo ricorso è riscontrabile anche a opera di alcuni enti ecclesiastici bolognesi, tra cui, a più riprese, l’Inquisizione. Nel 1287, inoltre, fu tra i giuristi che pronunciarono l’arbitrato di una contesa che vedeva contrapposti il conte di Savoia, Amedeo V, e il delfino, Umberto I, in tema di un omaggio feudale da questi dovuto al primo.
I consilia di Dino del Mugello sono i più antichi di cui sia stata approntata una raccolta a stampa, probabilmente a partire da un’analoga e primigenia silloge manoscritta: essi furono oggetto di ben quattro edizioni tra il 1492 e il 1505. La prima di queste, stampata a Pescia, comprendeva anche altre opere del civilista, quali i tractatus De regulis iuris e De actionibus, oltre a una Quaestio de interesse. Tra il Quattro e il Cinquecento furono poi pubblicati numerosi altri scritti, quali il Tractatus de praescriptionibus (Strasburgo 1488), le Apostille super Infortiato et Digesto Novo, i tractatus De glossis e De successionibus ab intestato, i Singularia (Lione, rispettivamente 1513, 1519, 1560), il Tractatus de praesumptionibus (Colonia 1576), mentre soltanto in tempi più recenti sono state edite altre opere del giurista, quali l’Ordo iudiciorum metricus (L. Wahrmund, Der «Ordo Judiciorum» des Dinus Mugellanus, Aalen 1913, pp. 1-9), il Tractatus sostitutionum (A. Padovani, Studi storici sulla dottrina delle sostituzioni, Milano 1983, pp. 569-574) e il Modus arguendi (edito criticamente da S. Caprioli in Studi senesi, s. 3, XII (1963), pp. 30-56, poi anche in Id. Modi arguendi. Testi per lo studio della retorica nel sistema del diritto comune, Spoleto 2006, pp. 39-55).
Rimangono tuttora inediti o dispersi diversi scritti di Dino, tra cui – tacendo di lavori spuri o di incerta paternità – svariate repetitiones, quaestiones seu disputationes, consilia, nonché i brevi tractatus De primo et secundo decreto, De quaestionibus, Quartarum. Anche alla luce della monodirezionalità della produzione superstite, appare dubbia, se non proprio fantasiosa, l’attribuzione a Dino della qualifica di dottore in utroque proposta da alcuni biografi.
L’importanza dell’opera del mugellano risiede principalmente nella sua funzione di raccordo tra la tarda età dei glossatori e quella dei commentatori, frangente in cui il civilista portò a matura applicazione il metodo dialettico da tempo introdotto con lo sviluppo della quaestio ex facto.
Fu probabilmente in ragione delle oscillazioni di questa transizione storica che, secondo una nota testimonianza di Cino da Pistoia, si riversarono in seguito contro Dino aperte critiche a opera di alcuni doctores moderni attivi a Bologna. Ciò non ne intaccò la rapida e consistente fama, come certifica plasticamente quasi un secolo più tardi la Fimerodia di Iacopo del Pecora, dove il mugellano, «ch’aprir Giustinïan fu tanto fido» (II, III, vv. 20-21), viene inserito tra le glorie di Firenze, al pari, tra gli altri, di Dante, Guido Cavalcanti, Francesco Petrarca, Giovanni Boccaccio e Giotto (Jacopo da Montepulciano, La Fimerodia, a cura di M. Cursietti, Roma 1992, p. 124).
Il tempo e il luogo della morte di Dino permangono incerti, in quanto le fonti offrono dati contrastanti. La tradizione più accreditata vuole che sia morto nel 1298, anno in cui si perdono le sue notizie, nonostante la testimonianza di Giovanni Villani, secondo cui il decesso del mugellano si sarebbe verificato a Bologna nel 1303. Similmente, anche la tarda Historia di Bologna di Cherubino Ghirardacci fisserebbe in quell’anno il termine post quem (dopo la morte di Bonifacio VIII), individuando quale luogo di sepoltura, concordemente alla Descrittione del domenicano Leandro Alberti, il convento di S. Domenico, abituale cimitero dei più insigni legisti bolognesi.
Stando invece alla Descrizione del Mugello di Giuseppe Maria Brocchi, fino ai tempi di Pio V il sepolcro di Dino si trovava sulla parete sinistra della pieve di S. Maria a Fagna, chiesa in cui qualche anno dopo risultavano ancora conservate le sue ceneri.
Fonti e Bibl.: L. Alberti, Descrittione di tutta Italia, I, Venezia 1568 (rist. anast. Bergamo 2003), pp. 41, 49; C. Ghirardacci, Historia di Bologna, I, Bologna 1605, pp. 316, 422, 454; G.M. Brocchi, Descrizione della provincia del Mugello, Firenze 1748 (rist. anast. Sala Bolognese 1967), pp. 112-115; Les registres de Boniface VIII, a cura di G. Digard et al., I, Paris 1907, n. 2241; Acta franciscana e tabulariis Bononiensibus deprompta, a cura di B. Giordani, Ad Claras Aquas 1927, pp. 683-685, n. 1450; Th. Diplovatatius, Liber de claris iuris consultis, a cura di F. Schulz - H. Kantorowicz - G. Rabotti, in Studia Gratiana, 1968, n. 10, pp. 195-200; G. Villani, Nuova cronica, a cura di G. Porta, II, Parma 1991, pp. 119, 122; Ph. Villani, Liber de origine civitatis Florentiae et de eiusdem famosis civibus, a cura di G. Tanturli, Padova 1997, pp. 120 s., 205 s., 387 s., 444 s.
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