FRESCOBALDI, Dino
Terzogenito del banchiere e poeta Lambertuccio e di Adimaringa Ruffoli, nacque a Firenze dopo il 1271, anno del matrimonio dei suoi genitori. Il nome della madre è noto grazie alle ricerche del Debenedetti che smentiscono la testimonianza di Donato Velluti, il quale afferma che la donna apparteneva alla famiglia Cavicciuli; il nome del F., Dino, è forse ipocorismo per Orlandino, nome del nonno materno. Il F. sposò, in data non precisata, una "monna Giovanna", dalla quale nacquero intorno al 1297 Matteo e, intorno al 1298, Lambertuccio; ebbe anche un figlio illegittimo, Francesco, mentre la figlia Lisa, ricordata dall'Angeloni, è in realtà Lisa Angiolieri, moglie di Lambertuccio.
La numerosa presenza, nella Firenze del tempo, di esponenti della famiglia Frescobaldi, nonché di molti Matteo figlio di Dino (che poteva indicare nomi diversi: Orlandino, Lanfredino, ecc.), come testimoniato da documenti coevi, ha indotto il Li Gotti, studioso di Matteo Frescobaldi, figlio del F., a dubitare che quest'ultimo ne fosse realmente il padre, in quanto nella testimonianza del Velluti il F., al pari di Matteo, non è ricordato come rimatore a differenza di Giovanni di Lambertuccio Frescobaldi. È da considerare però che lo stesso Velluti afferma di non aver conosciuto personalmente il F. e che questi viene ricordato come "uno grande vagheggiatore".
Pochissime e incerte sono le testimonianze e le notizie sulla sua vita e, soprattutto, nulla ci viene detto su una sua eventuale partecipazione alla vita pubblica fiorentina in anni nei quali la sua famiglia, di parte guelfa e proprietaria di una delle maggiori compagnie mercantili (ai tempi del F., però, già in fase di decadenza), era tra le principali della città. Forse da far risalire al 1302 è l'episodio narrato da Donato Velluti: "Ed essendo stato bene battuto una volta da' figliuoli di messer Berto Frescobaldi, disse a' fratelli con molta piacevolezza: "Andate per la parte del pagamento vostro, ché io ò avuto la mia"", da ricondurre alla rivalità fra i diversi rami della famiglia. Il ramo di Berto Frescobaldi apparteneva infatti ai guelfi bianchi, il ramo di Lambertuccio, padre del F., ai guelfi neri. Da documenti editi dal Debenedetti si ricava che nel 1304 il F. era mundualdo di una donna non altrimenti nota e nel 1305 era mundualdo di "domina Lapa, vidua, uxor olim Ghini Malduri Populi S. Felicitatis et filia olim Ranerii de Belfradellis Populi S. Iacobi Ultrarni".
Oltre che per l'attività di poeta, il F. è noto soprattutto per un episodio avvenuto nel 1306 riguardante la storia della composizione della Commedia. Secondo la testimonianza di Giovanni Boccaccio, trasmessa dalle diverse redazioni del Trattatello in laude di Dante e dalle Esposizioni sopra la Comedia di Dante, il F. sarebbe stato uno dei protagonisti del ritrovamento dei primi sette canti della Commedia, conservati all'interno di una cassa nascosta dai familiari di Dante al momento della condanna del 1302. Letto il testo, rinvenuto in un "quadernetto", che gli aveva mostrato Dino Perini o Andrea Leoni (secondo le diverse testimonianze di Boccaccio), il F. lo riconobbe come opera incompiuta di Dante e, consideratane l'importanza, decise di inviarlo al marchese Moroello Malaspina, in Lunigiana, presso il quale Dante si trovava ospite, affinché il poeta lo completasse: "Delle quali [scritture] mentre il procurator cercava… dice fu un quadernetto, nel quale di mano di Dante erano scritti i precedenti sette canti… E però diliberò di dovergli portare, per saper quello che fossero, a un valente uomo della nostra città, il quale in que' tempi era famosissimo dicitore in rima, il cui nome fu Dino di messer Lambertuccio Frescobaldi; il qual Dino, essendogli maravigliosamente piaciuti e avendone a più suoi amici fatta copia, conoscendo l'opera essere più tosto iniziata che compiuta, pensò che fossero da dover rimandare a Dante, e di pregarlo che, seguitando il suo proponimento, vi desse fine. E avendo investigato e trovato che Dante era a quei tempi in Lunigiana con un nobile uomo de' Malespini, chiamato il marchese Morruello, il quale era uomo intendente e in singularità suo amico, pensò di non mandargli a Dante, ma al marchese, che gliele mostrasse; e così fece, pregandolo che, in quanto potesse, desse opera che Dante continuasse la 'mpresa, e, se potesse, la finisse".
La testimonianza di Boccaccio, qui citata dalle Esposizioni sopra la Comedia di Dante (pp. 448 s.), è stata spesso messa in dubbio dagli studiosi, scettici soprattutto sulla possibilità che Dante potesse aver iniziato la stesura della Commedia negli anni precedenti l'esilio, ma venne confermata e ripresa, con l'aggiunta o la lieve modifica di alcuni elementi del racconto, nei commenti alla Commedia dell'Anonimo fiorentino e di Benvenuto da Imola (nelle due redazioni), e, soprattutto, da Filippo Villani, che, sia nel De origine civitatis Florentiae et eiusdem famosis civibus sia nell'Expositio seu comentum super "Comedia" Dantis Allegherii, ricorda l'episodio, mettendo in particolare rilievo proprio l'intervento del F., alla famiglia del quale il Villani era legato da antichi vincoli di conoscenza, e che avrebbe potuto smentire il racconto dell'episodio, o non considerarlo affatto, se fosse stato falso (De vita et moribus Dantis poetae comici insigni, in De origine civitatis Florentiae et de eiusdem famosis civibus, pp. 85 s.).
Riguardo al F. queste testimonianze ci dicono che egli doveva essere letterato piuttosto noto nella Firenze del tempo, che conosceva il marchese Moroello Malaspina e che fu attento lettore dell'opera poetica di Dante. Riscontri significativi di una prima diffusione della Commedia (forse dei soli primi due canti), che confermerebbero il racconto del Boccaccio e del Villani, si troverebbero, infatti, proprio all'interno della poesia del F.: in particolare la canzone "Voi che piangete nello stato amaro" è intessuta di immagini, come quella del leone che appare nella foresta, che sembrano desunte dalla Commedia.
Il F. morì, presumibilmente a Firenze, poco prima dell'aprile del 1316, data alla quale in un documento i figli Matteo e Lambertuccio sono indicati come "quondam Dini". Questo documento precisa la testimonianza del Velluti, che risale agli anni 1367-70, nella quale si afferma che il F. morì "già è cinquant'anni". Dopo la sua morte, ancora secondo il Velluti, la moglie si fece suora e si chiuse nel monastero di S. Donato in Rifredi.
La produzione poetica del F., oltre alla canzone "Voi che piangete nello stato amaro", comprende altre quattro canzoni, una canzone dubbia ("Amore, i' veggio ben che tua virtute", da attribuire probabilmente a Cino da Pistoia) e 16 sonetti, di cui due doppi e uno in tenzone con il poeta, peraltro sconosciuto, Verzellino. Tutti i testi poetici del F. - a eccezione della canzone "Morte avversara, poich'io son contento" (trasmessa nel Magliabechiano VII, 1040 della Biblioteca nazionale di Firenze) e i due sonetti doppi ("Quant'e' nel meo lamentar sento doglia"; "L'alma mia trist'è seguitando 'l core", trasmessi solo dal codice Vaticano lat. 3214, che comprende altre rime del Frescobaldi) - sono stati tramandati dal canzoniere trecentesco Vaticano Chigiano L, VIII, 305, e da altri manoscritti appartenenti alla famiglia della Raccolta Aragonese. Altro testimone significativo della lirica del F. è il canzoniere conservato a Milano, presso la Biblioteca Trivulziana, ms. 1058 (sec. XV), affine al Chigiano.
I temi caratteristici della poesia del F. (che affronta esclusivamente la tematica amorosa), in gran parte mutuati dalla poesia del Cavalcanti e di Dante (in particolare il Dante delle "rime petrose"), con accostamenti significativi (rilevati soprattutto dal De Robertis) anche alla esperienza poetica di Cino da Pistoia, sono il tormento d'amore e il disdegno dell'amata per il poeta amante, che vengono espressi da immagini e da concetti crudi e arditi (la donna che si fa "loba", ossia lupa o, persino, il suicidio dell'amante) e da un linguaggio coscientemente ripreso dai maggiori poeti dello stil nuovo. La produzione poetica del F. è stata variamente considerata dalla critica: deriva probabilmente dal Boccaccio il modo di ricordare il F. da parte del Bembo: "Vennero appresso a Dante, anzi pure con esso lui, ma allui sopravissero, messer Cino… e Dino Frescobaldi, poeta a quel tempo assai famoso ancora egli" (P. Bembo, Prose della volgar lingua, in Id., Prose e rime, a cura di C. Dionisotti, Torino 1966, pp. 129 s.). Il F. è stato poi tradizionalmente inserito all'interno del canone dei poeti dello stil nuovo, così come si è venuto a formare tra il XIX e il XX secolo. Recentemente, però, proprio in seguito alla rivisitazione critica del concetto storiografico dello stil nuovo compiuta da Marti, Favati, Bertelli, Gorni e Pasquini, anche la posizione del F. è stata riconsiderata, e per la sua poesia si sono usati i concetti di crisi del linguaggio stilnovistico e, addirittura, di "manierismo". Echi della poesia del F. sono stati riscontrati, fra gli altri, nelle rime del figlio Matteo e in Petrarca. A tutt'oggi non esiste una edizione critica delle rime del F.: il volume di I.M. Angeloni, che comprende l'edizione dei testi accompagnata da uno studio sulla figura del poeta (D. F. e le sue rime, Torino 1907), è pieno di imprecisioni: si vedano le recensioni di G. Zaccagnini, in Rassegna critica della letter. ital., XII (1907), 9-10, pp. 214-221; S. Debenedetti, in Giorn. stor. della letter. italiana, LI (1908), pp. 344-348; M. Casella, in Boll. della Società dantesca italiana, n.s., XVII (1910), pp. 214-222; l'edizione curata da F. Brugnolo (D. Frescobaldi, Canzoni e sonetti, Torino 1984) per ammissione dello stesso curatore: "non costituisce una nuova edizione critica, ma semmai un'edizione criticamente rivista" (p. XVI). Per questo risulta importante segnalare le raccolte di rime che, nel nostro secolo, hanno pubblicato quelle del F., operando, di volta in volta, aggiustamenti sulla lezione del testo: contemporanea all'edizione dell'Angeloni è la raccolta curata da E. Rivalta (Liriche del "dolce stil nuovo", Venezia 1906, pp. 63-91, 165-170, 205-223), in cui il testo delle rime risulta più attendibile di quello ricostruito dallo stesso Angeloni; S. Debenedetti ha pubblicato nel 1907 il testo della canzone "Morte avversara, poi ch'io son contento", traendolo dal ms. conservato presso la Biblioteca nazionale di Firenze, Magl. VII, 1040 (S. Debenedetti, Matteo Frescobaldi e la sua famiglia…); a questi seguono gli studi e le raccolte curate da L. Di Benedetto: Studi sulle rime di Cino da Pistoia (con appendici su G. Cavalcanti e su D. F)., Chieti 1923, all'interno dei quali vengono pubblicati alcuni testi del F. (pp. 71-77). In quella sede Di Benedetto ha attribuito al F. la canzone "Amor, i' veggio ben che tua virtute", il cui testo è stato in seguito pubblicato dallo stesso in: Coi rimatori dello stil novo, Chieti 1923 (pp. 29-32), in Rimatori del dolce stil novo, Torino 1925 (i testi del F. alle pp. 239-271), e in Rimatori del dolce stil novo, Bari 1939 (maggiore attenzione alla ricostruzione dei testi che nella raccolta precedente; i testi del F. alle pp. 89-109; nota al testo, pp. 245 s.).
Più recenti la scelta di rime del F. contenuta nei Poeti del Duecento curata da G. Contini, dove vengono pubblicati, in una lezione criticamente rivista, i testi di tre canzoni e di due sonetti (II, Milano-Napoli 1960, pp. 615-627, 910), e la raccolta completa contenuta nei Poeti del dolce stil nuovo, curata da M. Marti (Firenze 1969, pp. 351-419). Riprendono invece il testo delle rime del F. nella lezione già stabilita dal Di Benedetto la scelta di V. Branca (Rimatori del dolce stil novo, Genova-Roma-Napoli 1941, pp. 103-116) e la raccolta curata da C. Cordié (Dolce stil novo, Milano 1942, pp. 77-80, 371-394).
Fonti e Bibl.: Commento alla Divina Commedia d'Anonimo fiorentino del sec. XIV, a cura di P. Fanfani, I, Bologna 1866, pp. 203 s.; Benvenuto da Imola, Comentum super Dantis Aldigherij Comoediam, a cura di I.F. Lacaita, I, Firenze 1887, pp. 273 s.; La Commedia di Dante Alighieri col commento inedito di Stefano Talice da Ricaldone, a cura di V. Promis - C. Negroni, I, Milano 1888, pp. 115 s.; F. Villani, De vita et moribus Dantis poetae comici insigni, in Le vite di Dante, Petrarca e Boccaccio scritte fino al secolo decimosesto, a cura di A. Solerti, Milano [1904], pp. 85 s.; I.M. Angeloni, D. F. e le sue rime, Torino 1907; S. Debenedetti, Lambertuccio Frescobaldi poeta e banchiere fiorentino del secolo XIII, in Misc. di studi critici pubbl. in onore di G. Mazzoni, a cura di A. Della Torre - P.L. Rambaldi, I, Firenze 1907, pp. 19-57; Id., Matteo Frescobaldi e la sua famiglia, in Giorn. stor.della letter. italiana, XLIX (1907), pp. 314-342; D. Velluti, La cronica domestica, a cura di I. Del Lungo - G. Volpi, Firenze 1914, p. 93; G. Boccaccio, Esposizioni sopra la Comedia di Dante, a cura di G. Padoan, Milano 1965, pp. 448-450, 907; Id., Trattatello in laude di Dante, a cura di P.G. Ricci, Milano 1974, pp. 483, 525 s.; F. Villani, Expositio seu comentum super "Comedia" Dantis Allegherii, a cura di S. Bellomo, Firenze 1989, pp. 38 s.; L.F. Benedetto, Il "Roman de la Rose" e la letteratura italiana, Halle 1910, pp. 151-156; M. Barbi, Studi sul Canzoniere di Dante, Firenze 1915, passim; F. Figurelli, La poesia di D. F., in Id., Il dolce stil novo, Napoli 1933, pp. 383-399; G. Ferretti, I due tempi della composizione della Divina Commedia, Bari 1935, pp. 1-23; D. De Robertis, Il "caso" F. (Per una storia della poesia di Cino da Pistoia), in Studi urbinati di storia, filosofia e letter., XXVI (1952), 1, pp. 31-63; M. Marti, Storia dello stil nuovo, Lecce 1973, pp. 554-572 e passim; E. Savona, Repertorio tematico del dolce stil nuovo, Bari 1973, passim; G. Favati, Inchiesta sul dolce stil nuovo, Firenze 1975, passim; F. Suitner, Petrarca e la tradizione stilnovistica, Firenze 1977, pp. 83-97; I. Bertelli, Un manierista del "Dolce stil nuovo". La personalità poetica e letteraria di D. F., in Id., Esperienze poetiche del Duecento e del primo Trecento, Milano 1980, pp. 41-86; A. Solimena, Repertorio metrico dello stil novo, Roma 1980, passim; G. Gorni, Il nodo della lingua e il verbo d'amore. Studi su Dante e altri duecentisti, Firenze 1981, pp. 103, 105; N. Sapegno, Il Trecento, Padova-Milano 1981, pp. 42-45; G. Petrocchi, Il dolce stil novo, in Storia della letteratura italiana (Garzanti), Le origini e il Duecento, Milano 1987, pp. 794-796; G. Padoan, Il lungo cammino del "poema sacro". Studi danteschi, Firenze 1993, pp. 25-37; E. Pasquini, Il "dolce stil novo", in Storia della letteratura italiana, a cura di E. Malato, I, Roma 1995, pp. 686 s.; M. Frescobaldi, Rime, a cura di G.R. Ambrogio, Firenze 1996, pp. 21-23; Enc. dantesca, ad vocem.