DINO da Radicofani
Nacque alla fine del sec. XIII a Radicofani (prov. Siena), dove risiedeva la famiglia. Era nipote di Simone Albo, conte di Radicofani e di Acquapendente, e zio di Guasto da Radicofani, visconte di Montevaso.
La sua famiglia apparteneva alla piccola nobiltà feudale toscana e con il titolo comitale deteneva diritti signorili e giurisdizionali sul castello di Radicofani e sul suo circondario fino a comprendere la rocca di Acquapendente. Essa traeva il cognome dal luogo stesso su cui aveva la signoria. Il diritto signorile della famiglia di D. sul castello di Radicofani è testimoniato da una bolla di papa Innocenzo III dell'8 maggio 1200, ma fu sempre contrastato dai monaci del convento di S. Salvatore del Monte Amiata, i quali avevano detenuto l'assoluto potere signorile e giurisdizionale sul castello fino alla metà del sec. XIII quando ne avevano ceduto la metà alla S. Sede nella persona di papa Eugenio III. La prima notizia a noi nota relativa alla residenza della famiglia di D. a Radicofani è contenuta in un atto relativamente tardo, del 2 genn. 1282, in cui si menziona il palazzo dei conti di Radicofani posto nel castello. Sono probabilmente da rifiutare, come prive di fondamento, le affermazioni fatte dall'Ughelli e dall'Ugurgieri Azzolini secondo le quali D. sarebbe stato imparentato con Ghino di Tacco; sono altresì da rifiutare quelle del Tronci, secondo il quale il D. sarebbe stato un suo antenato in quanto un ramo dei Tronci, prima di stabilirsi a Pisa, avrebbero abitato nel contado senese.
D. venne destinato dalla famiglia alla carriera ecclesiastica che percorse con soddisfacenti risultati lontano dalla sua patria di origine. Ricevuta l'ordinazione sacerdotale, D., dopo avere conseguito il titolo di doctor decretorum, divenne preposito della Chiesa genovese. Sotto il pontificato di Giovanni XXII divenne cappellano del sommo pontefice. Si distinse in tale carica tanto che il 6 nov. 1332 il pontefice lo nominò patriarca di Grado in sostituzione del patriarca Domenico morto in quell'anno (D. fu consacrato tra il 12 febbraio e il 2 ott. 1333). Anche sotto il pontificato di Benedetto XII D. godette di grande considerazione. Già il 26 giugno 1336 fu incaricato da quel pontefice di condurre una missione di pace da eseguire per conto della Sede apostolica in Francia: doveva comporre la controversia sorta fra Oddone IV duca di Borgogna, da una parte, e Henri de Montfaucon e Giovanni da Cabillono (l'odierna Chálons-sur-Saône) dall'altra. La sua condotta in questo incarico fu prudente e improntata a molta saggezza: dopo tale missione la fiducia nei suoi confronti da parte degli ambienti curiali contribuì ad indurre il papa Benedetto XII a trasferirlo all'arciepiscopato di Genova come successore di Bartolomeo da Reggio, morto il 13 dic. 1335, nomina che venne ratificata con una bolla del 24 genn. 1337 dopo il rifiuto opposto da Gottifredo di Spinola, diacono genovese, a ricoprire tale carica.
Le spiccate attitudini diplomatiche di D. non mancarono di manifestarsi anche nel suo governo episcopale. Il nuovo presule, infatti, ebbe un posto di rilievo nel processo svoltosi il 17 genn. 1340 contro il decano Teodorico ed i canonici della Chiesa di Worms, accusati di avere eletto a loro vescovo - dopo la morte di Conone - Gerlasco detto Pincerna, e, dopo la morte di quest'ultimo, Salamanno, preposito della chiesa di S. Stefano di Magonza, senza aver chiesto ed ottenuto la ratifica papale. D., nominato dal pontefice giudice di questo processo, condannò Teodorico ed i canonici di Worms a dieci anni di scomunica. Pochi anni dopo, morto l'arcivescovo di Pisa Simone Saltarelli (24 sett. 1342), il governo di quella città fece pressioni sul pontefice perché designasse come successore del presule scomparso il frate domenicano Marco Roncioni, priore del convento di S. Caterina di Pisa, appartenente ad una delle più influenti e nobili famiglie cittadine: tali preghiere non ottennero l'effetto desiderato, perché il pontefice aveva già deciso di conferire a D. l'importante sede toscana. D. venne eletto infatti arcivescovo di Pisa con una bolla del 7 ott. 1342.
Lasciata Genova, tuttavia, il presule non raggiunse subito la sua nuova sede e preferì recarsi ad Avignone dove si trattenne parecchi mesi. La sua permanenza ad Avignone dovette forse prolungarsi più del previsto, perché D. dapprima chiese una sovvenzione in denaro agli abati dei monasteri pisani di S. Vito, di S. Paolo a Ripa d'Arno e di S. Savino per il suo soggiorno avignonese e poi, in novembre, decise di eleggere un suo vicario che governasse la diocesi pisana nella persona di Guidone Sette, arcidiacono della Chiesa genovese. A Pisa D. giunse soltanto all'inizio del mese di febbraio del 1343 proveniente da Livorno dove era sbarcato da una nave che veniva dalla Francia.
D. amministrò la Chiesa pisana con molta oculatezza e prudenza. Il suo primo atto in veste di arcivescovo fu quello di chiedere per lo Studio pisano l'autorizzazione papale a conferire il dottorato in sacra pagina, in iure canonico et civile e in medicina: la grazia fu concessa, e dette nuovo impulso alla nascente università pisana. L'anno successivo D. rese di pubblico dominio una lettera del 27 maggio 1344, indirizzata dal pontefice al vescovo di Genova: essa aveva come tema principale la ricerca di una soluzione di compromesso fra il governo pisano e il duca di Milano in lite ormai da diverso tempo.
Notevole fu l'attività di D. nella amministrazione dei beni fondiari spettanti alla mensa arcivescovile pisana. Nel 1344 D. elesse il nuovo camerario della mensa arcivescovile pisana nella persona di Peretto di Cognanuti da Val di Tana e, con la sua assistenza, procedette alla vendita, alla permuta o all'acquisto di molti beni fondiari posti nei dintorni di Pisa, fino a comprendere le località di Chianni e San Luce. Il 30 sett. 1344 ricevette il giuramento di fedeltà dagli abitanti di San Michele di Meli di Riparbella, già ribelli al potere di Guasto da Radicofani visconte di Montevaso e nipote di D.: nell'accettarlo, concesse il suo perdono per la sommossa organizzata contro il nipote e nello stesso tempo confermò i suoi diritti feudali e giurisdizionali sull'abitato e il contado di Meli di Riparbella.
Anche in questo periodo D. alternò l'attività pastorale con quelle mansioni diplomatiche che il nuovo pontefice, Clemente VI, come già i suoi predecessori, gli affidò periodicamente. Il 28 ag. 1344, ad esempio, si recò insieme al legato della Sede apostolica, Aimerico, a Napoli; e nel giugno dell'anno seguente si dovette occupare, sempre per incarico del papa, della situazione che si era venuta a creare in Corsica con la morte del vescovo Pagano. Nella sua funzione di primate di Corsica, D. affidò la sede vescovile vacante a fra' Bernardo dell'Ordine dei minori, assicurandogli la sua assistenza morale e pastorale. Il 23 sett. 1347, poi, ricevette l'incarico dal pontefice di recarsi insieme con i vescovi di Perugia, di Siena e di Firenze in Sicilia, dove con l'assistenza dei rappresentanti dei governi di Genova, di Siena e di Firenze ebbe il compito di prestare tutto l'appoggio possibile al governo locale.
D. morì a Pisa nel 1348.
L'Ughelli e gli autori che muovono da esso affermano invece che D. morì a Pisa l'anno successivo. L'esame della documentazione dimostra, al di là di ogni dubbio, che D. era sicuramente morto nel mese di ottobre del 1348, anche se il suo successore - Giovanni Scarlatti - fu eletto arcivescovo di Pisa solo con una bolla del 27 giugno 1349: esiste infatti un documento del 14 ott. 1348 con il quale il pontefice ordinò ad Andrea da Tuderto di recarsi a Pisa per redigere l'inventario dei beni mobili del defunto arcivescovo: Andrea doveva tra l'altro farsi consegnare gli oggetti personali da questo posseduti.
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