DINI (Della Dina)
Famiglia di maiolicari operosa in Castel Durante (od. Urbania) nei sec. XV-XVI. Capostipite ne fu Piero di Simone Marini, fratello di quel Giulio che nel 1511 sciolse la società che con i fratelli Bernacchia reggeva la fabbrica di vaseria della famiglia Marini (Urbania, Arch. not., Rog. Pierantonio Perusini, n.59, c. 4r, 1511 nov. 13). Da quel momento i Marini vengono chiamati Dini, dal nome dell'ava; infatti Piero fu soprannominato Pier della Dina e successe a capo della bottega mentre altri della famiglia nel 1548 facevano esperienze in Veneto (Leonardi, 1988). Con Simone, figlio di Piero, le testimonianze d'archivio riguardanti la fabbrica Dini cominciano ad essere più numerose.
Dopo un atto del 1553 riguardante l'acquisto di una casetta, vicino alla propria abitazione sita nel quartiere di S. Cristoforo, probabilmente ad uso magazzini (Urbania, Arch. not., Rog. Benedetto Perusini, n. 103, 1553 luglio 27), Simone si pose in società con mastro Evangelista "de valle Faventiae", genero di Lorenzo Gatti, ma la società terminò con una lite giudiziaria (Urbania, Arch. com., Arch. ant., b. 32 n. 3, 1570 apr. 12), cosa più che consueta fra i maiolicari dell'epoca. Nel 1570 Simone citava Bartolomeo Mini e Francesco Filareti, nobili durantini, che gli avevano ordinato una "credenza" di vasi destinati a Città di Castello, invitandoli a ritirare la merce, se non volevano perdere la caparra (Ibid., b. 32, n. 2, 1570 ott. 20).
Il lavoro doveva essere intenso nella bottega di Simone, aiutato ormai dai figli e buone erano anche le retribuzioni se nel 1573 egli dotò la figlia Battista (Ibid., b.23, n-4, 1573 giugno 3), andata sposa ad Andrea di Girolamo Superchina, ricercati maiolicari di Casteldurante (Leonardi, 1982, pp. 165 s.). Nel 1578, a riprova dei buoni traffici, un atto notarile testimonia da parte di Simone un notevole acquisto per 66 fiorini, di 222 libbre di stagno e di 223 libbre di piombo nella bottega di Fabio Piccolpasso, il fratello di Cipriano, noto autore dei Tre libri dell'arte del vasaio (Urbania, Arch. not., Rog. Francesco Venanzi, n. 92, c. 102r, 1578 nov. 3). Avanti negli anni, Simone dettò un primo testamento nel 1577 (Ibid., Rog. Pietro Rainaldi, n. 130, c.121v, 1577 luglio 23), mentre il secondo e definitivo è del 25 aprile 1580 (Ibid., Rog. Francesco Venanzi, n. 93, c. 83). Simone morì a Casteldurante il 21 ag. 1580 (Urbania, Arch. capit., Necrologio Confraternita d. Morte, c. 21v).
Dei figli di Simone furono maiolicari Francesco, Fabrizio, Cesare, Tutiano (non Tulliano come in Raffaelli, 1846) e Alessandro (morto assassinato nel 1587: Urbania, Arch. not., Rog. Lorenzo Centi, n. 168, c. 1r). Tutiano andò a Roma come vasaio (presumibilmente vi restò dato che non è più ricordato negli atti di Casteldurante). Secondo un codicillo del secondo testamento del padre, casa, bottega (situata "ante monasterium S. Clare": Ibid., Rog. Benedetto Perusini, n. 117, c. 185), fornace e orto erano dei figli a patto che continuassero insieme l'esercizio almeno sino alla morte della loro madre. Ma nel 1581 Fabrizio aprì una sua fabbrica in società con Giovanni di Bernardino Oradei (Ibid., Rog. Francesco Venanzi, n. 93, 1581 dic. 3) e nel 1583 acquistò una casa nel quartiere di S. Cristoforo e vi si sistemò con la moglie Elisabetta ed i figli (Ibid., Rog. Pietro Rainaldi, n. 133, c. 2r, 1583 genn. 4). Morì nel 1591 (Urbania, Arch. capit., Necrologio Confraternita d. Morte, c.41v) e gli subentrò nella vaseria Pietro Giovanni (Piergiovanni), figlio di Cesare.
Cesare sposò Lena, figlia del pittore Giustin Episcopi, che gli portò la dote di 400florini (Urbania, Arch. not., Rog. L. Centi, n. 168, c. 32r, 1588 maggio 23). Infine nel 1590 i fratelli rimasti in società, Francesco e Cesare, vennero alle divisioni (Ibid., Rog. Flaminio Luzi, n. 195, 1590 giugno 30). Dall'atto di divisione appare l'importanza della loro fabbrica, perché, nonostante la crisi delle vaserie iniziata sul finire del sec. XVI, i Dini possedevano un magazzino di merce a Pesaro e un altro a Fano.
Di questa famiglia d'arte, quindi, agli inizi del sec. XVII rimangono attivi maiolicari Cesare e il figlio Pietro Giovanni, soggetti alla crisi generale del momento. Nel 1593 il podestà di Casteldurante pose il sequestro sul prodotto di Pietro Giovanni fino a quando non avesse saldato un debito di 51 scudi, per sanare il quale la moglie Cinzia dovette far ricorso a parte della sua dote (Ibid., Rog. Francesco Venanzi, n. 102, c. 108r); nel 1603 anche Lena, moglie di Cesare, chiese al duca Francesco Maria II Della Rovere di poter vendere parte dei suoi beni dotali, "et a ciò mio marito si possa mantener nell'esercitio suo del far vasi" (Ibid., Arch. com., Arch. ant., b.73 fogli sciolti, 1603). La vita delle due botteghe comunque prosegui ancora. Dall'inchiesta giudiziaria eseguita dal commissario di Massa Trabaria nel 1606 (Ibid., Atti criminali, b. 90) risulta che nella vaseria di mastro Cesare operavano i pittori Paolo Pagni, Arcangelo Petrucci di Doralice e Cesare di Guidubaldo detto Braccino, oltre ai foggiatori Giovanni di Silvestro e Giovanni di Bio Albergotti; nella vaseria di Pietro Giovanni erano i pittori Giuseppe Basoia e Curzio Ugolanti (Liburdi, 1979, pp. 81, 83). Di lì a poco, però, nel 1608 morì Cesare (Urbania, Arch. capit., Necrologio Compagnia d. Morte, c.69) e neppure la fine di Pietro Giovanni sarà stata molto più tarda, se la moglie Cinzia è già detta vedova nel 1615 (Urbania, Arch. not., Rog. Muzio Venanzi, n. 302, 1615 luglio 30): al dire del Raffaelli (Memorie, p. 93) essa tenne aperta la vaseria del marito fino al 1639; vi lavorava il figlio TommAso (Liburdi, 1979), che è l'ultimo dei Dini maiolicari.
Fonti e Bibl.: oltre ai docc. cit. all'interno della voce si veda: G. Raffaelli, Mem. delle maioliche durantine, Fermo 1846, p. 93; E. Liburdi, Vaserie durantine del Seicento, in Faenza, LXV (1979), 3, pp. 81-83; C. Leonardi, Il convento di Montefiorentino, Rimini 1982, pp. 16-55 (s.v. Superchina), 168 (s.v. Marini-Dini); Id., Francesco Xanto Avelli nell'ambiente urbinate, in Francesco Xanto Avelli di Rovigo, Stanghella 1988, pp. 37s.