DINASTIA (dal gr. δυναστεία)
È espressione destinata a indicare la serie di re o principi che hanno regnato in un paese, e specialmente "di tutti i re di una stessa famiglia" (Fanfani): in senso più specifico, la famiglia alla quale hanno appartenuto e appartengono coloro che sono posti a capo dell'ufficio regio in un determinato stato; epperò, nell'uso comune, il concetto d'essa è quello stesso di famiglia regnante.
La qualità di re si può acquistare solo da coloro che appartengono alla detta famiglia regnante. Una delle tante dottrine escogitate intorno all'appartenenza della sovranità, detta appunto legittimista, ha voluto identificare il fondamento con il titolo di essa sovranità nel lungo esercizio di fatto della medesima da parte di una data dinastia, confondendo così l'organismo famigliare con l'organismo statale. E soprattutto da titoli dinastici si volle far dipendere la legittimità stessa dello stato e la sua personalità internazionale, nei trattati del 1815 e nei principî che ispirarono la Santa Alleanza.
Nel periodo immediatamente precedente all'avvento del costituzionalismo, si congiunge con l'esistenza della dinastia la dottrina e la pratica di un vero e proprio diritto dinastico (della famiglia del principe), nel quale si pretende che riposi la norma oggettiva onde sorge per il sovrano il diritto soggettivo al trono: diritto, codesto, precedente alla costituzione, che avrebbe trovato la dinastia già investita del diritto di regnare in base alle norme regolanti la successione nei membri a essa appartenenti, per cui, cioè, le norme della successione al trono s'inquadrerebbero in un diritto di famiglia proprio e indipendente da ogni disposizione costituzionale, apparterrebbero cioè a un diritto meramente dinastico.
Questo diritto dinastico, prevalente verso la fine del sec. XVIII e il principio del XIX, precedentemente all'emanazione delle carte costituzionali moderne, fu con calore sostenuto da una larga corrente di giuristi tedeschi, nel senso che esso non sarebbe stato punto toccato dalla nuova costituzione largita dal sovrano, il quale con questa avrebbe solo inteso di limitare volontariamente l'esercizio del potere in determinate direzioni; la conseguente trasformazione dello stato non avrebbe indotto nessuna innovazione nel titolo del sovrano, che era e rimaneva di carattere famigliare.
In Italia l'ordine di successione al trono nella dinastia sabauda seguì le stesse vicende di altre dinastie, specie della monarchia francese, ricongiungendosi al concetto dello stato come patrimonio della famiglia sovrana, trasmissibile, alla stregua di ogni altro patrimonio, con atti tra vivi e di ultima volontà; la legge di successione dinastica era data dalla volontà del principe, come fece appunto Amedeo V e riconfermarono i suoi successori. Si ebbe anche in Italia un diritto dinastico di Casa Savoia, fino alla proclamazione dello statuto di Carlo Alberto del 4 marzo 1848: col quale però, inspirato in questa parte alla casa belga, le regole relative alla successione al trono vengono a integrarsi nella Costituzione.
Riflessi della fase anteriore del diritto dinastico e della concezione storica della monarchia si trovano nella forma e nella successione dei titoli sempre adoperati dal sovrano che concede lo statuto sardo, nonché in molteplici espressioni del medesimo. Ma, se la costituzione non ebbe efficacia novativa sul titolo del sovrano (ancora tale "per grazia di Dio") nei rispetti dello stato subalpino, e tale efficacia si vuole soltanto ripetere alla legge 18 marzo 1861; dal lato sostanziale però, e nei riguardi della monarchia, essa sostituì al fondamento tradizionale del diritto dinastico quello del diritto dello stato come fonte del nuovo diritto pubblico italiano, che attraverso le formule dei plebisciti e le leggi di annessione, in perfetta conformità con lo spirito dei nuovi ordinamenti costituzionali, fonde, innesta e inquadra la tradizione ereditaria della dinastia nella costituzione giuridica fondamentale dello stato.