DIKTAION (Δικταϊον αντρον)
Il famoso Antro Dicteo delle tradizioni greche è la grotta sul Monte Dikte nella Creta orientale, dove Rhea dette alla luce Zeus, o dove questi venne occultato quando vi fu portato da Gaia (la «Terra») dal Monte Lykaion in Arcadia. Qui la ninfa-capra Amaltea, figlia di Oceano o del re cretese Melissaios, e sua sorella Melissa (l'«ape»), nutrirono l'infante rispettivamente con latte e miele. I nove Cureti, figli di Gaia, divinità minori particolarmente venerate dalle popolazioni cretesi, ebbero cura di proteggerlo. Per sovrastarne i vagiti e così salvaguardarlo da Kronos, suo padre, che se lo avesse sentito lo avrebbe inghiottito, come aveva fatto con gli altri suoi figli per difendere il proprio trono, inventarono la danza in armi. Attorno al bambino i Cureti danzavano in concitati balzi e facevano cozzare le lance e le spade contro gli scudi, percuotendo al contempo i tamburi e levando alte grida. L'atto di far risuonare le armature è stato considerato come un'usanza di natura orgiastica, con la funzione di tener lontani gli spiriti maligni durante le cerimonie rituali che contemplavano frenetiche danze in armi. Vanno anche ricordate le leggende, di veneranda antichità, circa bambini - destinati a divenire eroi o fondatori di città e imperi - esposti ma poi allattati da animali; animali che, in special modo a Creta, rappresentano certamente sopravvivenze totemiche: è il caso della figlia di Minosse, Akakallis, i cui figli furono in questa maniera allevati da varí animali, quali capre, cagne o lupe, allo stesso modo di Romolo e Remo. Degna di nota è la leggenda della nascita di Zeus, che si ripeteva annualmente, in sintonia con la rinascita annuale della vegetazione: in tale occasione si poteva vedere un fulgore di fiamme uscire dalla grotta, simbolo dell'abbondante flusso di sangue che accompagna la nascita.
Il D. fu anche collegato con altre leggende: in una delle narrazioni delle Metamorfosi di Antonino Liberale (XIX) si racconta come quattro ladri, Laios, Aigolios, Keleos e Kerberos, penetrassero nella grotta per sottrarre il miele alle api sacre e come Zeus, intenzionato ad annientarli con il fulmine, ma sconsigliato da Themis e dalle Moire, poiché a nessuno era lecito morire nel luogo della sacra nascita, li tramutasse, secondo il loro nome, in uccelli. Qui si recò Minosse e discese nella grotta per ricevere le leggi di Zeus. Epimenide, il famoso mistico, veggente e poeta di Festo, probabilmente personaggio storico connesso con i culti orfici, «dormì» qui per non meno di 57 anni e in questo luogo ebbe delle visioni; quando fece ritorno nel mondo il giovane fratello era ormai divenuto vecchio.
Esiodo (Theog., 477-484) fa menzione del D. come di una profonda grotta del Monte Aigaion (la «Montagna delle capre») nei pressi di Lyktos, la città della Creta centrale potente rivale di Cnosso. Il santuario è nominato anche nelle tavolette in lineare Β di Cnosso nella formula di-ka-ta-jo di-ve («a Zeus Diktaios»). Apollodoro, inoltre, ricorda una grotta sul Monte Dikte, mentre alcune fonti ellenistiche ci informano che il D. era situato a oriente dell'Istmo di Ierapetra, precisamente presso il Capo Samonion, alla estremità orientale dell'isola. Nel I sec. d.C., nell'intento di offrire una personale interpretazione dei testi mitologici di cui disponeva e di conciliare le due leggende parallele, Apollodoro, nella Bibliotheca (I, I, 6-7), fa nascere Zeus nel D. e lo fa allevare nell'Antro Ideo. Gli studiosi moderni sono pressoché concordi (contra Faure, 1964) nell'identificare il D. con la grotta di Psychrò sull'altopiano di Lasithi, il ben noto santuario in grotta risalente all'epoca minoica, e fiorente anche in periodi successivi. Sembra che quando, alla fine del VII sec., gli Eteo-cretesi migrarono nella Creta orientale abbandonando l'altopiano di Lasithi, portassero con sé il culto dello Zeus Diktàios (v. palekastro).
La grotta di Psychrò è senz'altro uno dei più importanti santuari della Grecia dell'Età del Bronzo e forse la più bella grotta di Creta. Situata a un'altezza di 1025 m sul livello del mare, domina dall'alto il pittoresco altopiano. Già diversi secoli prima che divenisse nota come sito archeologico, F. Basilicata la definì «una spellonca, che è belissima e di non puoca consideratione». Nel 1653 Marco Boschini scriveva che era uso degli abitanti del luogo dare un nome alle svariate formazioni stalagmitiche e stalattitiche, come se fossero uomini, donne e animali, o la Vergine col Bambino, ecc. I primi ritrovamenti si ebbero casualmente alla fine del secolo scorso. Dopo essere stata utilizzata come dimora, forse solo da pastori, e come luogo di sepoltura nel Subneolitico e nell'Antico Minoico, la grotta, a partire dal Medio Minoico II e in maniera più intensa dal Medio Minoico III al Tardo Minoico II, divenne uno dei punti focali della religione minoica. Continuò ad avere importanza più tardi, fino in epoca greca e in età orientalizzante-arcaica, momento, quest'ultimo, che vede un secondo periodo di fioritura di questo così longevo santuario. Negli anni successivi venne quasi completamente abbandonata, ma in epoca ellenistica era ancora visitata, fino al I sec. a.C., quando il culto incontrò una nuova fioritura.
Sulla destra dell'imboccatura dell'antro è visibile una piccola terrazza, la «grotta ì superiore», in parte coperta dal soffitto della cavità rocciosa, dove si osservano tracce di un piccolo muro di témenos e, all'esterno di questo, i resti di un altare quadrangolare - in origine probabilmente stuccato - per sacrifici di animali. Più a S si apre l'enorme «grotta inferiore», lunga 84 m, con una larghezza massima di 34 m, che discende, per 60 m di ripido pendio, in direzione di un piccolo bacino d'acqua e di parecchie sale, con formazioni di stalagmiti e stalattiti, davvero impressionanti.
Le ricche offerte votive che si sono rinvenute sono oggi distribuite tra il museo di Iraklion e l'Ashmolean Museum di Oxford; esse comprendono svariate statuette bronzee di adoranti maschili e femminili e di animali, pugnali, coltelli, uno dei quali presenta una testa umana all'estremità dell'impugnatura, punte di freccia e, nello stesso materiale, varí oggetti di abbigliamento e da toletta, doppie asce, sia votive che funzionali, in bronzo o in foglia d'oro, e ancora sigilli, scarabei, lucerne, gioielli, figurine in terracotta, pìthoi a rilievo frammentari adorni di motivi cultuali. Va ricordato anche un interessante modellino bronzeo di carro a due ruote trainato da un ariete e da un bue, una maschera miniaturistica in terracotta colorata con ocra e infine una lastrina votiva del Tardo Minoico I, che mostra una scena di culto senza confronti, interpretata come raffigurazione degli elementi essenziali della cosmogonia: il disco solare e il crescente lunare, l'albero sacro, diverse paia di corna di consacrazione con un arco sacro nel mezzo, un uccello, probabilmente una colomba, un pesce e una figura di devoto danzante.
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