DIGIUNO (dal lat. ieiunium; fr. jeûne; sp. ayuno; ted. Fasten; ingl. fasting)
Fisiologia. - L'astensione, volontaria o imposta da varie cause (malattie, naufragio, ecc.), dell'assunzione d'alimenti, totale o parziale, costituisce il digiuno o inanizione, assoluto o relativo. Poiché permane il consumo degli organi e dei tessuti, prodotto dalla loro attività fisiologica, l'organismo durante il digiuno consuma i materiali nutritivi accumulati precedentemente; ciò si manifesta con la continua perdita di peso del corpo, proporzionale alla durata del digiuno. La resistenza, ossia la durata massima compatibile con la vita, allo stato di digiuno, varia secondo gli organismi, pur essendo quasi uguale per tutti il limite estremo della perdita globale di peso (circa del 40%) che produce la morte per inanizione. La differenza sta solo nel tempo con cui si raggiunge tale limite: gli animali eterotermi (Anfibî, Rettili), che hanno un metabolismo lento, v'impiegano mesi e anni, gli omotermi (uomo compreso), che hanno un più intenso metabolismo, un periodo di tempo più breve. Tra quest'ultimi, i carnivori resistono più degli erbivori. Comunque, la resistenza al digiuno (consentendo beninteso l'uso dell'acqua come bevanda, alla cui sottrazione l'organismo non è capace di resistere così a lungo) è molto maggiore di quanto si creda comunemente. Specialmente alcuni digiunatori di professione (per es. Succi) sono stati in grado di mantenersi in condizioni di benessere pur digiunando per trenta e più giorni.
Nel decorso del digiuno protratto sino all'estremo limite si distinguono tre periodi: un breve periodo iniziale (della fame), che dura i primi tre o quattro giorni, caratterizzato dalla sensazione molesta della fame, ma che poi si dilegua; segue il lungo periodo (nell'uomo, di circa 20-25 giorni) d'inanizione fisiologica, caratterizzata da una graduale diminuzione del consumo e della termogenesi, in cui però tutte le funzioni si svolgono normalmente (negli individui allenati); segue infine il periodo dell'inanizione morbosa o crisi, che precede la morte, con sintomi d'ipertermia, vomito, diarrea, collasso. La morte sembra dovuta a un'autointossicazione prodotta da alterazione, anche qualitativa, del metabolismo.
Il consumo (e quindi la perdita materiale subita dall'organismo) non colpisce ugualmente i varî tessuti: massimo per il tessuto adiposo (93%), grande per la milza, pancreas, fegato, sangue (71-62%), minore per i muscoli (43-34%), minore ancora per gli organi emuntorî, cute, reni, polmoni (32-22%), piccolo per le ossa (17%), quasi nullo per il sistema nervoso (2%). Si spiega ammettendo che alcuni tessuti (i più nobili, ossia i più importanti per la loro funzione) durante il digiuno attingano i materiali necessarî per mantenere il proprio peso e consistenza da altri tessuti, che hanno la funzione di depositi di riserva (come il tessuto adiposo, e in parte il fegato), o che hanno minore importanza; s'ingaggia cioè una lotta per l'esistenza tra i diversi tessuti e organi (L. Luciani).
Tra i diversi materiali termogeni o dinamogeni, accumulati nell'organismo, il grasso dà il massimo contributo; pur tuttavia nei primi giorni del digiuno è rapido il consumo dei carboidrati (glicosio e glicogeno). Il consumo delle sostanze proteiche (azotate) s'abbassa fortemente nei primi giorni del digiuno (spesso però dopo due o tre giorni), tendendo l'organismo, per un processo protettivo di regolazione interna, a limitare sempre più tale consumo, durante il periodo dell'inanizione fisiologica.
Il digiuno nella storia delle religioni. - Nel digiuno per scopi religiosi è da distinguere il digiuno privato, rimesso alla volonta dei singoli, dal digiuno pubblico, voluto dall'intera comunità. Esso può essere naturale, consistente nell'astinenza assoluta dal mangiare e dal bere, o convenzionale, col permesso di usare in certa misura certi cibi e bevande. Anche quanto allo scopo, e quindi al suo senso e valore, il digiuno varia grandemente. Innanzi tutto può essere l'espressione naturale del dolore, e quindi essere adoperato come cerimonia di lutto. Sotto altro aspetto, il digiuno è talora adoperato come atto di purificazione preparatoria per ogni operazione che metta in comunicazione l'uomo con Dio, e specialmente per la manducazione del cibo sacramentale: così nella festa delle Tesmoforie ad Atene, nei misteri di Eleusi, di Attis e di Iside, nella pratica della magia, nell'Upavasatha dei Brahmani, ecc. Senso analogo ha il digiuno che precede presso i cristiani il battesimo, l'eucaristia e l'ordine sacro. Di più il digiuno ha acquistato il senso di un atto di penitenza, ordinariamente accompagnato dalla preghiera, per ottenere il perdono dei peccati: così presso gli Ebrei la grande festa dell'espiazione, il giorno 10 del mese settimo, consisteva principalmente nel digiuno (Levitico, XVI, 29) e quindi era anche detta ἡ νηστεία "il digiuno" (Atti, XXVII, 9). Più tardi il digiuno è stato principalmente considerato mezzo di mortificazione delle passioni, specie della gola; ma anche così ha conservato il suo valore religioso come grato a Dio e meritorio, onde al tempo di Cristo il digiuno era ritenuto una delle tre opere meritorie della pietà giudaica, e dai musulmaui è posto fra i cinque doveri religiosi essenziali.
Gesù si è servito del digiuno di 40 giorni (Matteo, IV, 2; Luca, IV, 2), come preparazione alla sua predicazione; ha riconosciuto espressamente il digiuno qual mezzo per ottenere la forza dello Spirito necessaria per cacciare i demonî più potenti (Matteo XVII, 21), e quanto all'uso del digiuno come opera meritoria, lungi dal riprovarlo, intese portare una correzione alle perversioni farisaiche. Sta il fatto però che durante la predicazione né Gesù né i suoi discepoli digiunarono di proposito; per il momento le necessità e il frutto della sua predicazione consigliavano altro (Marco II, 13-27 e paralleli III, 20; VI, 31).
La Chiesa invece segui, di buon'ora, l'uso dei Giudei che solevano digiunare due volte la settimana (lunedì e giovedì), ma in giorni diversi da loro, cioè mercoledì e venerdi (Didaché, VIII, 1), escluso dunque sempre il sabato. I giorni di digiuno si dicevano dies stationis o vigiliae, per l'analogia con la guardia che facevano i militari, necessariamente digiunando, nei posti avanzati. La stretta astinenza si rompeva la sera con la celebrazione dell'eucaristia, ma nel sec. III cominciò in Occidente l'uso di rompere il digiuno a nona (più tardi perfino a sesta, cioè a mezzogiorno, con una piccola cena alla sera), estendendolo in compenso al sabato seguente.
Fino all'età subapostolica risale l'istituzione pubblica del digiuno pasquale, per una più stretta interpretazione della parola di Gesù relativa al digiuno durante l'assenza dello sposo (Marco, II, 20). Alcune Chiese l'intesero nel senso che si dovesse digiunare nel sabato santo, il giorno tra la morte e la resurrezione, altre vi aggiunsero anche il venerdi, giorno della morte, e altre, nella metà del sec. III, vi compresero tutta la settimana santa. In seguito all'idea della passione si aggiunse quella del digiuno praticato da Gesù nel deserto per 40 giorni, e cosi ne venne la quaresima, o digiuno di 40 giorni, compresa la settimana santa. Oltre la quaresima, i Greci hanno altri tre tempi di digiuno: uno, quasi altrettanto lungo, prima di Natale, detto di S. Filippo, perché comincia dal giorno della festa di questo apostolo, presso di loro il 14 novembre; un altro detto degli Apostoli, dal lunedi dopo Pentecoste fino alla festa dei santi Pietro e Paolo, il 29 giugno; e l'ultimo, detto di Maria, dal 1 al 15 agosto, festa dell'Assunzione (κοίμησις) della Vergine, ma in origine di una sola settimana. In Occidente, S. Agostino conosce un breve digiuno dopo Pentecoste e un altro prima di Natale; ma nel sec. V a Roma S. Leone Magno (440-61) non ne fa alcuna mensione. Invece a Roma, secondo il Liber pontificalis, fin dal tempo di S. Callisto (217-222), fu introdotto l'uso - apparentemente dietro i testi sacri di Zaccaria, VIII, 19, e Salmo IV, 8, ma in realtà probabilmente dietro l'esempio dei gentili - di un digiuno, il mercoledi, venerdi e sabato, nei mesi delle raccolte del grano, del vino e dell'olio, cioè giugno, settembre e dicembre. Da qui poi venne per tutto l'Occidente l'uso del digiuno dei quattro tempi o tempora (in tedesco Quatember).
Bibl.: E. Westermarck, The principles of fasting, in Folklore, 1907; Bittner, De Greacorum et Romanorum deque Judaeorum et Christianorum sacris jejuniis, Posen 1846; F. X. Funk, Die Entwicklung des Osterfastens, in Theol. Quartalschrift, LXXV (1893), e in Kirchliche Abhandlunge, 1897; A. Lisenmayer, Entwicklung der vier kirchlichen Fastendisziplinen, 1877; K. Holl, Die Entstehung der 4 Fastenzeiten in der griech. Kirche, in Kirch. Abhandlungen, Berlino 1923; F. Cabrol, Jeûnes, in Dictionnaire d'arch. chrét., 1927; H. Achelis, Fasten in der Kirche, in Realencycl. für prot. Theologie; L. Duchesne, Les origines du culte chrétien, Parigi 1898.