DIFFAMAZIONE e INGIURIA (XII, p. 789)
INGIURIA Con il decr. legge luog. 14 settembre 1944, n. 288, il legislatore ha ripristinato l'istituto dell'exceptio veritatis, come causa di esclusione della punibilità nei reati di ingiuria, di diffamazione e di oltraggio.
L'art. 5 di detto decreto stabilisce però che la prova della verità del fatto ingiurioso o diffamatorio è ammessa, quando l'offesa consiste nella attribuzione di un fatto determinato, soltanto nei seguenti casi:
a) Se la persona offesa è un pubblico ufficiale e il fatto ad esso attribuito si riferisce all'esercizio delle sue funzioni, quindi non soltanto quando il fatto sia stato commesso in officio o propter officium, ma anche quando si tratta di fatti della vita privata che costituiscano violazione di doveri disciplinari.
b) Se per il fatto attribuito alla persona offesa è tuttora aperto o si inizia contro di essa procedimento penale davanti a giudici italiani;
c) Se il querelante, prima che sia iniziata la discussione nel giudizio di primo grado, o anche nel giudizio di appello, chiedendo in tal caso la rinnovazione del dibattimento, domanda formalmente che il giudizio si estenda ad accertare la verità o la falsità del fatto; nel caso di più querelanti discordi in proposito, prevale la volontà di chi nega l'exceptio veritatis perché conforme alla regola della legge.
Se la verità del fatto è provata, l'autore dell'imputazione non è punibile, salvo che i modi particolarmente vituperosi usati dal reo costituiscano di per sé ingiuria o diffamazione, quando cioè all'esposizione del fatto offensivo si aggiunga la contumelia non logicamente connessa con il fatto medesimo. L'onere della prova incombe sull'imputato, e l'offeso ha il diritto di fomire la prova negativa. Presupposto dell'ammissibilità della prova è il contraddittorio, e pertanto l'exceptio veritatis non è ammissibile se l'offeso sia morto. La prova deve essere piena e completa.
Bibl.: V. Manzini, La prova della verità dell'addebito nei delitti di ingiuria e di diffamazione, in Riv. Pen., 1946, p. 453; G. Maggiore, L'exceptio veritatis, in Critica penale, 1946, pp. 183 e 251.