RICHECOURT, Dieudonne Emmanuel Nav conte di
RICHECOURT, Dieudonné Emmanuel Nay conte di. – Nacque a Saint-Mihiel (Lorena) il 2 gennaio 1697 da Charles-Ignace Nay, signore di Pont sur Meuse, barone di Richecourt, consigliere di Stato del duca Leopoldo di Lorena, e da sua moglie Barbe-Catherine de Tailfumyer. Studiò nel collegio gesuitico di Pont à Mousson e poi all’accademia di Jully.
Dopo un grand tour in Francia, Olanda, Italia e Inghilterra, entrò al servizio del duca Leopoldo, non avendo – come egli stesso scrisse, alla metà degli anni Quaranta, in una sorta di autobiografia destinata al figlio Charles – «altro fine che la giustizia e la verità e il buon servizio del Padrone» (Archivio di Stato di Firenze, Consiglio di Reggenza, 306). Fu nominato consigliere di Stato, svolgendo incarichi di una certa responsabilità. Alla morte del duca (1729) non ebbe la fiducia della duchessa vedova, ma si legò al giovane duca Francesco Stefano, nel quale ebbe «il bene di ritrovare quello che avev[a] perduto nel padre». Insieme a pochi altri ministri collaborò fin dal 1736 con il duca nella difficile partita della cessione dei ducati lorenesi a Stanislao Leszczyński, candidato sconfitto al trono polacco, in cambio della successione lorenese agli Stati dei Medici, di cui si prospettava la prossima estinzione. Artefice di questa proposta era l’imperatore Carlo VI, la cui figlia, Maria Teresa, unica erede ai domini asburgici, sposava, il 12 febbraio 1736, Francesco Stefano. Benché non gli riuscisse di ottenere per Francesco Stefano il titolo di vicario imperiale in Italia, Richecourt si inserì nella nuova geografia dinastica lorenese. In questo contesto la famiglia Richecourt trovò una duratura collocazione, come dimostrano per il XVIII secolo le carriere del fratello, Henry, e del figlio Charles.
La morte, nel luglio del 1737, dell’ultimo granduca Medici segnò l’avvio della presa di possesso degli Stati appartenuti ai Medici, che un diploma imperiale del gennaio del 1737 indicava ora non più quali ‘Stato vecchio’ (fiorentino) e ‘Stato nuovo’ (Siena), ma come Granducato di Toscana.
A Firenze Richecourt arrivò il 29 agosto 1737, per affiancare Marc-Antoine de Beauvau, principe di Craon, il quale da luglio rappresentava il nuovo granduca, che decise di governare il suo recente possesso territoriale da Vienna, con l’assistenza di un Consiglio per gli affari di Toscana, insediato in un palazzo non lontano dalla residenza imperiale. Craon, già a due giorni dalla presa ufficiale di possesso del Granducato, denunciava al granduca che i fiorentini «erano molto attaccati alla forma del loro antico governo, che è per molti aspetti male impiantato» (Consiglio di Reggenza, 12). Arrivato in città, Richecourt dette un quadro decisamente negativo dei ministri toscani.
Drastico fu il giudizio che con Craon formulò il 10 settembre 1737: «Il governo di questo paese è un caos quasi impossibile da sciogliere: è un miscuglio di aristocrazia, di democrazia e di monarchia […]. Il solo modo di sciogliere questo nodo, che possiamo chiamare davvero gordiano, sarà quello di tagliarlo e di creare un nuovo sistema» (12).
Pesava sulle spalle dei ministri lorenesi, e di Richecourt in particolare, l’urgenza di trovare nel Granducato i fondi per mantenere la Casa ducale, la corte e tutti quei lorenesi che avevano lasciato il loro Paese al seguito di Francesco Stefano. Inoltre, forte era il senso di insicurezza di un possesso che poteva sempre essere messo in discussione dal riaccendersi delle guerre europee. A Firenze, infine, l’ultima erede dei Medici, l’elettrice palatina Anna Maria Luisa de’ Medici, giocava la parte della vestale dell’antico regime.
Richechourt, educato ai valori del ‘servizio’ e della ‘fedeltà’ al principe, aveva maturato una concezione forte dell’autorità del sovrano e della necessità di un’organizzazione accentrata dello Stato, contro ogni particolarismo e molteplicità di giurisdizioni e di poteri. È in questo orizzonte politico e ideologico – ma a Richecourt appartenne un esemplare di The State anatomy of Great Britain di John Toland (1717) ora nella collezione Garin della Scuola Normale Superiore di Pisa – che va ricondotta la sua volontà di operare per la piena affermazione di una forma di Stato che avesse non nell’arbitrio del sovrano, ma nella sua legittima autorità i presupposti della ‘pubblica felicità’. Alla fine di ottobre del 1737 Richecourt inviava a Vienna un Plan des changements à faire en Toscane: ufficialmente redatto insieme al principe di Craon, ma in realtà opera del conte. Il Plan dedicava grande attenzione alla riorganizzazione delle finanze, ma vi erano indicati anche due obbiettivi di grande valore politico-istituzionale: «cambiare tutto l’assetto delle magistrature»; «rifare tutte le leggi». La volontà del sovrano di cercare un terreno di intesa con gli esponenti del ceto di governo fiorentino frenò l’opera di Richecourt, come si vide nel caso dell’avvio della ferma generale per l’amministrazione delle entrate fiscali e dell’istituzione della Camera granducale, che avrebbe dovuto assumere le competenze di molti tribunali delle finanze.
Il riaccendersi della guerra, dopo la morte di Carlo VI, dette a Richecourt modo e forza per riaffermare, anche per l’impegno dedicato al ‘militare’, il proprio ruolo di garante della dinastia lorenese in Toscana. Nel maggio del 1741, mentre sembrava avvicinarsi il pericolo di un’invasione del Granducato da parte delle truppe borboniche, denunciò a Francesco Stefano i suoi oppositori, lorenesi e toscani, e nel luglio partì per Vienna per cercare nuovo appoggio da parte del granduca. Il ritorno, alla fine del 1741, di Richecourt a Firenze dimostrava la piena fiducia del granduca nell’operato del suo ministro, che da allora in poi tenne uno speciale e personale filo diretto con il suo ‘padrone’. Forte di ciò, fece approvare nel 1743 una legge che sottraeva in gran parte alle autorità ecclesiastiche il controllo della stampa.
Questa iniziativa, che rispondeva a molteplici interessi, politici, culturali e anche economici, trovò consensi tra gli stessi ministri, funzionari e ‘letterati’ toscani: in un clima segnato dalle riforme avviate nell’Università di Pisa e negli studi di medicina, dal sostegno alle stamperie dello Stato, dall’appoggio del governo a quelle accademie che in nome di un proclamato valore di ‘utilità’ delle scienze – dalla Società Botanica alla fondazione nel 1753 dell’Accademia dei Georgofili, sotto la protezione dello stesso Richecourt – concorse a un più aperto clima culturale.
Per changer, réformer, le istituzioni del vecchio Principato mediceo era indispensabile la presenza a Firenze di Richecourt: questa era la conclusione cui giunsero Francesco Stefano e i suoi ministri viennesi agli inizi del 1746. Il granduca, in un dispaccio riservato, incaricò il conte di Richecourt di inviare un proprio progetto di riforma della giustizia: riconoscendogli così un’assoluta libertà di analisi e di proposte di cui il ministro seppe ben avvalersi per avanzare il progetto di una riforma della legislazione vigente sui fedecommessi e sui feudi.
Il 31 marzo 1747 un dispaccio granducale lo nominò presidente delle Finanze e in quello stesso giorno una Instruction secrette gli consentì di rivolgere segretamente e direttamente al granduca ogni suggerimento utile al governo della Toscana. Si determinavano così, tra il 1746 e il 1747, le condizioni per l’affermazione di quel progetto di riforma in senso assolutistico delle istituzioni del Granducato che Richecourt aveva auspicato fin dal suo arrivo a Firenze. La legge di riforma dei fedecommessi, approvata nel giugno del 1747; la legge sui feudi dell’aprile del 1749; e soprattutto la legge sulla nobiltà e sulla cittadinanza dell’ottobre del 1750, ne furono l’esito più significativo. Comune l’obiettivo di queste tre diverse leggi: l’affermazione dell’autorità sovrana come unica fonte del privilegio. Senza avversari, circondato da ministri e funzionari a lui fedeli, il conte lorenese dedicò tutte le sue energie al compimento di un grande progetto di riforma del Granducato, al quale, per tutti i primi anni Cinquanta, lavorò con l’aiuto di Gaetano Canini (Consiglio di Reggenza, 196). Si proponeva di demolire tutte le antiche magistrature e giurisdizioni del Granducato; di promuovere la costituzione di due Senati, uno a Firenze e l’altro a Siena. Sotto i due Senati, i tribunali di prima e di seconda istanza, tutti di nomina regia, e non più affidati a ‘cittadini’ fiorentini come era uso nel principato mediceo, avrebbero assicurato la retta amministrazione della giustizia.
Il piano non era comunque completato, quando alla fine del 1756 Richecourt fu vittima di un colpo apoplettico. Il conte dovette ritirarsi nella sua natia Lorena, dove morì l’11 gennaio 1759.
Di certo, fu oggetto di feroci critiche da parte degli esponenti del patriziato fiorentino: molti i motti e le caricature che fiorirono a Firenze contro il conte; ma nel 1740 fu coniata a Firenze una medaglia in suo onore: fortuna, valore, abbondanza, un’aquila, ma anche un giglio accompagnavano il busto di tre quarti di Richecourt.
Fonti e Bibl.: Molte le carte di Richecourt che si conservano negli archivi di Firenze (Archivio di Stato, Archivio della Reggenza Lorenese), Vienna (Haus-, Hof- und Staatsarchiv, Lothringisches Hausarchiv) e Nancy (Archives Départementales de Meurthe-et-Moselle). Le fonti sono ampiamente citate nei saggi sotto indicati, che danno un quadro generale dell’azione di Richecourt a Firenze.
F. Diaz, I Lorena in Toscana. La Reggenza, Torino 1988 (poi ripreso in Id. - L. Mascilli Migliorini - C. Mangio, Il Granducato di Toscana. I Lorena dalla Reggenza agli anni rivoluzionari, Torino 1997); M. Verga, Da “cittadini” a “nobili”. Lotta politica e riforma delle istituzioni nella Toscana di Francesco Stefano, Milano 1990; Il Granducato di Toscana e i Lorena nel secolo XVIII, a cura di A. Contini - M.G. Parri, Firenze 1999 (in partic. i saggi di H. Collin, A. Contini, R. Zedinger, M.D. Flon, J. Boutier); Lotharingia, 1999, n. 9, monografico: La Lorraine et les lorrains dans l’Europe du Sainte Empire, 1697-1790 (in partic. i saggi di H. Collin, A. Contini, R. Zendiger); S. Landi, Il governo delle opinioni. Censura e formazione del consenso nella Toscana del Settecento, Bologna 2000; A. Contini, La Reggenza lorenese tra Firenze e Vienna, Logiche dinastiche, uomini e governo (1737-1765), Firenze 2002; L. Mannori, Lo stato del Granduca (1530-1859), Pisa 2015.