DIETETICOTERAPIA (dal gr. διαιτητικός "dietetico" e ϑεραπεία "cura")
È uno dei più antichi metodi di cura (v. medicina: Storia) basato su speciali norme dell'alimentazione (v.) nelle diverse malattie. Superando le vecchie conoscenze empiriche, oggi costituisce un vasto campo di studio e d'applicazione pratica della fisiopatologia, specialmente nelle affezioni seguenti:
a) Malattie da deficienza alimentare. - Comprendono condizioni morbose assai diverse: dagli stati estremi d'inanizione per digiuno (v.), agli altri intermedî dovuti a insufficiente introduzione o utilizzazione d'uno o più dei costituenti elementari dei cibi (proteine, carboidrati, grassi, sali minerali, acqua) e delle vitamine (v.). E ciò in rapporto a fattori complessi: scarsezza della dieta, lesioni organiche delle vie digestive (stenosi dell'esofago, del piloro, ecc.), condizioni morbose che diminuiscono l'assorbimento (vomito, diarrea, ecc.), ipofunsione delle ghiandole endocrine (ipofisi, surrenale, paratiroide, tiroide, gonadi, pancreas). Alcune sindromi apparentemente oscure (diarrea, disturbi gastrointestinali, nevriti periferiche, edema, lesioni cutanee, ecc.), talora sono riferibili all'ipoalimentazione, specialmente quando si riesca a precisare, come non è sempre facile, il genere e il valore dell'alimentazione abituale che insospettatamente era deficiente. Una condizione morbosa può essere complicata e aggravata dall'assunzione durata troppo a lungo d'una dieta ristretta, come può verificarsi per l'ulcera gastrica, la nefrite cronica, il diabete, ecc. Con la deficienza della quota proteica è stato messo in rapporto il cosiddetto edema di guerra. Alla prolungata insufficienza della dieta abituale alcuni autori attribuiscono certe caratteristiche d'alcuni popoli orientali (Bengali, Cinesi), specialmente l'apatia del carattere e la più facile recettività alle malattie infettive. È nota la grandissima importanza delle avitaminosi nell'etiologia dello scorbuto, della pellagra, del beri-beri, della xeroftalmia, del rachitismo.
b) Stati allergici d'origine alimentare. - Sono spesso assai impropriamente confusi con le "intossicazioni alimentari"; si producono quando un alimento proteico oltrepassa la barriera enteroepatica prima che la proteina abbia subito tutte le complesse modificazioni chimiche che la rendono omogenea alle altre proteine dell'organismo. S'hanno così quei disturbi noti anche come "idiosincrasie alimentari" a sintomatologia varia: gastrointestinale (gastralgia, nausea, vomito, meteorismo, costipazione, diarrea); cutanea e mucosa (urticaria, eritemi e altre eruzioni esantematiche, eczema, edema angioneurotico, ecc.); articolari (artralgie), ecc., e che scompaiono quando si tolga dalla dieta l'alimento verso il quale l'organismo dimostra questa particolare ipersensibilità o si desensibilizzi l'organismo verso questo alimento (v. anafilassi). L'identificazione dell'alimento incriminato non è sempre facile né sempre possibile con i saggi delle reazioni cutanee; recentemente A. H. Rowe ha suggerito il metodo pratico delle diete d'eliminazione, composte di cibi che raramente sono causa d'allergia e ai quali s'aggiungono gradualmente gli altri da sperimentare. Gli alimenti capaci di produrre fen0meni allergici sono assai varî: il frumento, il latte, le uova, i pomodori, i cavoli, la cioccolata, le patate, i pesci, i cosiddetti frutti di mare, i gamberi, i granchi, le mele, le pesche, le fragole, la carne di maiale, ecc.
c) Stati febbrili. - S'ha in genere ritenzione d'acqua, spesso distruzione tossica delle proteine dell'organismo, anoressia e quindi avversione per i cibi, diminuzione o soppressione dell'acido cloridrico nel succo gastrico, talora disturbi mentali per cui l'infermo non è più in grado di provvedere da sé alla propria alimentazione. Ha molta importanza l'introduzione dei liquidi che previene o attenua i delirî e in generale i disturbi mentali, attiva la diuresi per quanto non sia dimostrato il concetto molto comune che l'ingestione d'acqua aiuti a diluire o a eliminare le tossine. Non bisogna però dimenticare che l'eccesso di liquidi può essere causa di cefalea e per quantità soverchiamente abbondanti (oltre l'8-10% del peso del corpo) d'una vera sindrome tossica (water intoxication di L.G. Rowntree) con brividi, nausea, vomito, vertigini, sudorazione, algidismo, convulsioni epilettiformi, nella quale può avere importanza l'eccessiva perdita dei sali minerali con l'urina. Si dia l'acqua in piccole quantità e a intervalli frequenti; l'aggiunta di succo d'arancio, di limone, d'uva la rende più gradevole al palato e fornisce una quota di carboidrati che, specialmente nei bambini, può essere utile anche nel prevenire l'acidosi. In casi d'intolleranza gastrica sono utili le acque carbonate (p. es. l'acqua di Vichy). Specialmente nella polmonite si somministrano gli alcoolici a chi già ne faceva uso; la soppressione degli alcoolici potrebbe essere causa dell'insorgenza del delirium tremens. La forma più utile di somministrazione delle proteine è il latte reso più digeribile con aggiunta d'acqua di calce; l'igiene della bocca, l'accurata pulizia dei denti impediscono che residui del latte fermentino nella bocca, causa non rara del disgusto e dell'intolleranza per questo alimento. Insieme con il latte sono utilizzabili la crema di latte, i formaggi freschi. Dopo il latte, un alimento proteico utilissimo è fornito dalle uova, che possono essere preparate in modo assai vario. Della carne s'usano specialmente le sostanze estrattive contenute nel brodo. Degl'idrati di carbonio s'ottengono ricche quote con lo zucchero, il lattosio, le marmellate, le conserve di frutta; possono essere adoperati i cereali, il riso, la pasta; in generale i vegetali sufficientemente ricchi d'amido e nei quali sia possibile eliminare l'eccesso di cellulosa. Forniscono grassi il burro, la crema, i tuorli d'uovo. Specialmente nelle malattie febbrili a lungo decorso (per es. nel tifo) nelle quali anche con diete ricche di sostanze azotate e carboidrate, dato l'aumento del metabolismo e la distruzione tossica delle proteine dei tessuti, non è possibile mantenere l'equilibrio azotato, bisogna dare una dieta d'alto valore alimentare (fino a 4000-5000 calorie, secondo Coleman) senza timore ch'essa aumenti la produzione del calore ed elevi quindi la temperatura. Per la tubercolosi i recenti studî sul metabolismo hanno modificato gli antichi indirizzi dietetici che opponevano l'ipernutrizione alla consunzione. Secondo il Maccann nel periodo afebbrile il metabolismo basale non differisce da quello normale e nel periodo febbrile la distruzione tossica delle proteine non è così marcata come in altre malattie. Gerson e Hermannsdorfer hanno proposto una dieta per la tubercolosi (ricca di grassi di proteine, ristretta di carboidrati e priva di cloruro di sodio) la quale avrebbe dato buoni risultati nel lupus e nella tubercolosi delle ghiandole linfatiche e delle ossa.
d) Anemia. - Essenzialmente nell'anemia perniciosa la dieteticoterapia ha rivoluzionato la vecchia terapia con gli ottimi risultati ottenuti con la somministrazione della poltiglia di fegato semicrudo (300-400 grammi al giorno). Questo metodo già preconizzato da P. Castellino, ha avuto enorme diffusione dopo gli studî di G. R. Minot, W. P. Murphy, H. G. Whipple; s'ottiene un rapido aumento dei globuli rossi del sangue (spesso una marcata eosinofilia indica la reazione terapeutica); per dosi eccessive si può avere policitemia, ma in pratica non sono state rilevate le lesioni renali che si hanno negli animali per dosi sperimentali assai elevate. Recentemente R. Isacs e C. Sturgis hanno dimostrato nelle pareti dello stomaco la stessa sostanza alla quale il fegato deve le sue proprietà antianemiche, fornendo la possibilità d'una nuova sorgente di materiale terapeutico. Non è provato che gli estratti diversi ricavati a questo scopo dal fegato e che possono essere anche iniettati per via ipodermica ed endovenosa presentino reale vantaggio sulla somministrazione del fegato fresco per bocca. Questo metodo avrebbe dato qualche risultato nell'anemia secondaria a malaria, ma s'è dimostrato del tutto inefficace nelle anemie da nefrite, da carcinomatosi, da sepsi.
e) Nefrite. - Da quando R. Bright mise in evidenza l'importanza dell'albuminuria nella nefrite, se ne dedusse come norma essenziale che bisognava ridurre al massimo le albumine nella dieta, come se l'organismo non fosse più in grado d'utilizzare le sostanze proteiche e il rene, danneggiato nei suoi poteri d'escrezione, fosse particolarmente leso dai residui azotati di dette sostanze. E dopo le classiche ricerche di F. Widal e della sua scuola sul rapporto fra l'edema e il cloruro di sodio, si generalizzò la dietetica ipoazotata e ipoclorurata. In questo capitolo, uno dei più complessi della fisiopatologia e nel quale l'esame clinico più accurato spesso non permette di precisare le condizioni anatomopatologiche reali del rene malato, che possono essere assai diverse, è ben lungi dall'essere esaurita la copiosissima serie di ricerche sperimentali e d'ipotesi patogenetiche, ma sono notevolmente modificati i concetti dietetoterapici che debbono essere giudiziosamente applicati, caso per caso. S'è a lungo discusso se la dieta con alto contenuto proteico possa causare o aggravare una nefrite, ma anche le ricerche (1925) di F. Allen sui conigli parzialmente nefrectomizzati sono contraddette da quelle di H. Anderson (1926) e la maggior parte degli autori risponde negativamente alla questione suddetta. Non v'ha dubbio che supponendo di poter escludere le proteine dalla dieta non si sopprime il metabolismo di dette sostanze, che l'organismo sottrarrebbe ai suoi stessi tessuti, e non è possibile mantenere indefinitamente negativo il bilancio dell'azoto. Benché il liquido dell'edema possa spesso mascherare la perdita di peso dell'organismo, la glomerulonefrite, specialmente nelle forme a decorso cronico, s'accompagna a un notevole stato di deperimento organico e la profusa perdita delle sostanze proteiche indica piuttosto un aumento del fabbisogno per ristabilirne l'equilibrio. Tanto più che si pensa anche che l'escrezione dell'albumina nelle urine nefritiche rappresenti probabilmente un materiale derivato dalla filtrazione delle proteine del plasma e quindi inutilizzato, assai differente perciò dall'azoto delle urine nomiali in quanto, non avendo subito i processi metabolici abituali, non ha servito ad alcuna funzione utile nell'organismo. È un criterio fallace misurare le proteine della dieta in rapporto alla quantità dell'albuminuria; se l'urea nel sangue (azotemia) è normale o quasi normale, le proteine possono essere date in quantità normali. Non è affatto dimostrato che le proteine della dieta aumentino sempre l'albulvinuria e l'azotemia; è certo, invece, che nefritici edematosi, copiosamente albuminurici, ma non iperazotemici, si liberano dagli edemi con una dieta riccamente proteica più rapidamente che con qualunque altro mezzo. Il problema della quota proteica nell'alimentazione del nefritico assume importanza massima nelle forme a decorso protratto (subacute e croniche); le abbondanti perdite d'albumina debbono essere compensate con un adeguato apporto alimentare, la prolungata restrizione proteica nella dieta non giova al rene, peggiora le condizioni generali di salute e di vigoria, e ha conseguenze particolarmente gravi in rapporto allo stato anemico e alla possibilità d'infezioni secondarie. Inoltre, è assai importante il fatto che quasi mai si ha edema finché la concentrazione delle proteine del siero non sia inferiore al 5%, e quasi sempre invece quando discenda al 4% il che ha fatto supporre che la riduzione delle proteine diminuisca la pressione osmotica del sangue, tanto più che nella nefrite non solo vi può essere riduzione totale delle proteine del siero, ma una più grande riduzione dell'albumina rispetto alla globulina (con inversione del rapporto normale fra albumina e globulina) la quale ha una pressione osmotica inferiore a quella dell'albumina. A. Epstein ha messo in rilievo i buoni risultati ottenuti con la dieta ad alto contenuto proteico (120-140 gr.) in casi di nefrite parenchimatosa con basso contenuto di proteine nel siero. Nella scelta delle proteine alimentari non vi sono differenze sostanziali tra quelle della carne e del pesce, delle cosiddette carni bianche e rosse; perché la dieta abbia alto valore energetico sono da preferirsi le proteine che hanno più alto valore biologico (v. alimentazione) e quindi le proteine della carne, del pesce, del latte e suoi derivati, delle uova. Escluse le fasi acute della nefrite, o intervalli transitorî di dieta ridotta, non si deve somministrare meno di un grammo di proteina per chilogrammo di peso del corpo (calcolato nelle condizioni normali di salute); cioè solo transitoriamente 20-25 grammi al giorno, ma nella nefrite cronica almeno 60-75. A complemento della dieta s'aumentano i carboidrati che meno facilmente dei grassi producono disturbi digestivi e sono quindi più adatti a fornire calorie con risparmio delle proteine. Secondo A. Epstein nelle nefrosi in cui si ha albuminuria ma non iperazotemia (invece notevole riduzione delle proteine del siero del sangue) si devono somministrare 120-240 gr. di proteine al giorno. Come si fa per i diabetici, per adottare convenientemente le regole dietetiche generali ai casi individuali è bene regolarsi nelle indicazioni della dieta proteica nei nefritici in base al controllo dello stato patologico dell'urina e soprattutto dell'azotemia e adottare quella razione proteica che è tollerata senza aumento sia del residuo azotato nel sangue sia dell'albumina e degli elementi morfologici patologici nell'urina. La sensibilità per piccoli cambiamenti nella composizione della dieta è talvolta grandissima nei nefritici cronici e bisogna in ogni caso agire con grande prudenza e coi dovuti controlli. Ma si deve altresì tenere presente che una razione proteica quanto più possibile prossima al normale, è utile ai nefritici e più ancora ai nefrosici, quando la si può attuare senza peggioramento delle condizioni del sangue e dell'urina.
Si sa che in condizioni normali il rene controlla l'escrezione dei sali minerali mantenendone invariata la concentrazione nel sangue il quale ha perciò una pressione osmotica costante. Ma la ritenzione dei sali, ed essenzialmente del cloruro di sodio (sale da cucina), non è comune a tutte le nefriti. Se è necessario ridurre nella dieta il sale nelle forme con ritenzione clorurata e che in genere s'accompagnano a edemi, può essere, non solo inutile, ma assai dannoso ridurlo senza criterio in tutte le altre. E non bisogna dimenticare che gli edemi possono avere origine essenzialmente cardiaca e trarre più vantaggio dalla digitale che non dalla semplice dieta ipoclorurata. La quantità giornaliera del cloruro di sodio ingerito con gli alimenti varia ampiamente (tra 5 e 20 grammi); escludendo il sale come condimento resta il cloruro di sodio contenuto nella molecola delle sostanze che compongono i cibi (circa gr. 0,5); secondo McLester non è opportuna la restrizione del sale al di sotto di 2 grammi al giorno. S'è pensato di sostituire il cloruro di sodio con altri sali: il bromuro, il formiato, il malato di sodio, senza raggiungere lo scopo, tanto più che le ricerche più recenti tendono ad ammettere che nella molecola del cloruro di sodio l'azione idropigena sia dovuta non allo ione cloro ma allo ione sodio e infatti altri cloruri (ammonio, calcio, potassio) non solo non aumentano l'edema ma attivano la diuresi, all'inverso di quanto avviene per altri sali sodici, specialmente il bicarbonato. Sopprimere senza ragione il sale nella dieta significa rendere i cibi assai meno appetibili, pregiudicando l'apporto delle calorie se la nutrizione avviene in misura più scarsa. Non solo, ma in determinate condizioni, negli stati ipocloruremici e nell'acidosi nefritica nella quale s'annette grande importanza alla riduzione dei radicali basici del siero e all'aumento degli acidi organici, secondo J. P. Peters bisogna aggiungere almeno 5-7 grammi alla dieta ipoclorurata.
In alcune lesioni renali, particolarmente nella nefrite cronica con edema, aumentano i lipoidi nel sangue, e anche perciò non sembra opportuna un'eccessiva quantità di grassi nella dieta.
L'utilizzazione dei carboidrati è normale; se talvolta si possono avere curve della glicemia simili a quelle del diabete, si pensa che ciò dipenda più che dalla lesione renale per sé stessa, da altre cause concomitanti (p. es. sclerosi delle arterie pancreatiche).
La quantità dell'acqua, e in generale dei fluidi, dev'essere ridotta durante le fasi d'anuria o d'oliguria, nelle nefriti con edemi diffusi; ma in altre condizioni, come quando s'inizia la diuresi nei nefritici con acidosi, nelle forme poliuriche senza edemi, sarebbe dannoso ridurre i fluidi data la diminuita capacità del rene di concentrare le sostanze disciolte nelle urine. Recentemente s'è data importanza alla reazione delle ceneri ottenute dai varî alimenti: acida (carne, uova, pesce, ostriche, riso, ecc.), o alcalina (mele, asparagi, banane, fave, cavoli, carote, limoni, lattuga, latte, patate, ecc.); N. D. Sansum, N. R. Blatherwich, F. H. Smith hanno sostenuto l'utilità della dieta basica nella nefrite interstiziale cronica, specie riguardo all'albuminuria, alla cilindruria, all'acidosi.
f) Calcolosi. - Il fattore alimentare ha importanza, ma non esclusiva e intervengono molti altri fattori patogenetici (v. calcolosi).
g) Malattie gastrointestinali. - Costituiscono un gruppo assai ampio di condizioni morbose differenti e non di rado secondarie ad affezioni d'altri sistemi organici (p. es. vomito meningitico), che richiedono perciò una diagnosi precisa e norme particolari di terapia medica e chirurgica. Nell'iperacidità gastrica bisogna escludere le sostanze che stimolano o irritano la mucosa gastrica (spezie, condimenti, cibi con fibre vegetali voluminose, vivande troppo calde o troppo fredde, confetture, canditi, alcoolici, tè, caffè, carni poco cotte e quindi ricche di sostanze estrattive); s'utilizzano specialmente le proteine che si pensa si leghino all'acido cloridrico (latte, uova, carne); giovano anche i legumi, specialmente in purées, i formaggi non fermentati, la crema, le frutta cotte. Nell'ipoacidità, venendo meno l'azione battericida del succo gastrico, i cibi devono essere ben cotti (cioè il più possibilmente privi di germi) e facilmente digeribili; è necessario ridurre la quantità dei liquidi se all'ipoacidità s'accompagna atonia gastrica. Nella gastrite s'ha con frequenza nausea e vomito; in genere s'esclude qualunque cibo per 24-48 ore lasciando in riposo assoluto lo stomaco, riprendendo poi gradatamente l'alimentazione. H.G. Whipple consiglia di somministrare un cucchiaio da tè di acqua cloroformica e dopo cinque minuti, d'ora in ora, uno, due più cucchiai (secondo la tolleranza) di latte bollito intero o scremato, diluito o no a metà con acqua. Giova contro il vomito qualche pezzetto di ghiaccio, qualche cucchiaio di champagne ghiacciato (vecchio rimedio del male di mare). Negli stati di nausea è utile la miscela di latte e acqua di Vichy, come nella formula di Delafield (130 gr. di latte, 130 di crema, 130 d'acqua di Vichy, gr. 1,3 di bicarbonato di soda e gr. 0,6 d'ossalato di cerio). Nella flatulenza escludere i legumi, i cavoli, gli spinaci e in generale gli amilacei e le sostanze zuccherine in forma concentrata. Nell'ulcera gastrica e duodenale i cibi debbono quanto meno è possibile stimolare la secrezione gastrica ed eccitare i movimenti peristaltici; debbono essere somministrati in piccolo volume teneri, o disfatti o masticati a lungo, non eccessivamente caldi o freddi, a intervalli piuttosto frequenti. Servono specialmente il latte, le uova, le purées di vegetali, i grassi (burro) i quali ultimi hanno un'azione stimolante minima e sono perciò più a lungo trattenuti nello stomaco. Specialmente per queste lesioni da tempo sono indicate diete tipo" (Leube, Lenhartz); molto nota è quella di B. W. Sippy (Gastric and duodenal ulcer, in Journ. Am. Med. Ass., 1915,64) che propose di somministrare negl'intervalli fra i pasti una polvere alcalina per neutralizzare costantemente l'acidità del succo gastrico, e modificata recentemente da W. C. Alverez (Practical treatment of duodenal ulcer, in J. A. M. A., 1926, 87) che aggiunse la somministrazione della belladonna, alla dose di massima tolleranza, per ridurre i movimenti peristaltici. L'uso eccessivo di alcalini in alcuni pazienti (nefritici, cirrotici) può essere dannoso (alcalosi). Nell'emorragia da ulcera si sospende per 24-48 ore l'assunzione di cibi liquidi e solidi, anche per via rettale, perché ciò costituisce uno stimolo assai efficace alla peristalsi gastrointestinale; si ricorre alla fleboclisi o all'ipodermoclisi. Nella constipazione a forma spastica si dànno cibi facilmente digeriali, non irritanti, con scarso residuo nelle feci (purées, olî, grassi, ecc.); al contrario, nella forma atonica, alimenti ricchi di cellulosa (lattuga, spinaci, cavoli, asparagi, cipolle, sedani, carote, cereali, ecc.), i grassi (olio d'ulivo, di fegato di merluzzo), latte fermentato, sostanze zuccherine allo stato naturale (pere, mele, prugne, ananassi, ciliegie, arance, ecc., meglio se crude), frutta secche (prugne, fichi, datteri). La diarrea può dipendere da cause diversissime suscettibili di diversa terapia medica e chirurgica. Nelle forme acute, digiuno e quindi riposo assoluto dell'intestino per 24-48 ore, riducendo i liquidi (solo qualche pezzetto di ghiaccio riprendendo poi gradatamente l'alimentazione con latte bollito, uova, farina di cereali. Nelle forme croniche somministrare cibi non irritanti, che diano uno scarso residuo nelle feci, escludere le sostanze eccessivamente zuccherine, dare latte bollito, uova, farine vegetali, carne raschiata.
h) Malattie del sistema circolatorio. - Bisogna somministrare la quantità sufficiente d'alimenti, ma che richieda un minimo sforzo per il cuore. Nel periodo di scompenso, se vi sono edemi, ridurre la quantità dei fluidi e dei sali. S'utilizzano specialmente il latte e i carboidrati. Il caffè può essere causa d'aritmia come il tabacco. La dieta di Karell è composta di 200 cmc. di latte scremato ogni quattro ore; la dieta di Smith di latte, crema, burro, uova, purées vegetali, succo di frutta, destrosio, lattosio; la dieta di Keith è scarsa di fluidi e di sali (100 gr. di patate, 60 di pane, 20 di cereali, 800 di frutta e altri vegetali).
i) Obesità. - Spesso dipende da fattori più complessi di quanto non sia solo quello alimentare e che bisogna definire caso per caso. In generale bisogna ridurre al minimo le sostanze amilacee e zuccherine (pane, pasta, dolciumi); si possono usare liberamente quei vegetali che in media non contengono più del 5% d'idrati di carbonio (lattuga, spinaci, indivia, cavoli, asparagi: broccoli, pomodori, cipolle, ecc.); i grassi in forma di condimento (olio di oliva, olî minerali, burro, crema); somministrare proteine in ragione d'un grammo per chilogrammo di peso.
l) Gotta. - Sopprimere i cibi ricchi di purine (carne, pesce e specialmente rene, fegato, timo, animelle, ostriche, crostacei), dare uova, latte, pane, burro, biscotti, crema, cavoli, patate, lattuga, formaggi, succo di frutta. Hindhede ha prescritto una dieta di pane, patate, frutta e latte; Graham 100 grammi di patate, 150 di margarina vegetale, 600 di mele.
m) Diabete (v.).
n) Epilessia. - R. M. Wilder (Effects of the ketonuria on the course of epilepsy, in Mayo Clin. Bull., 1921, 2) ha sostenuto il vantaggio di somministrare una dieta nella quale per il digiuno e la diminuzione graduale dei carboidrati si produce uno stato di acidosi; i risultati sono tuttora discussi.
In condizioni particolari i cibi possono essere somministrati con la sonda attrȧverso l'esofago o una fistola gastrica, o con la sonda duodenale (v. duodeno); in questi casi debbono avere un alto valore alimentare, essere fluidi, bene digeribili, non eccessivamente caldi o freddi. S'adoperano specialmente le uova, il latte, la crema. L'uso dei clisteri nutritivi s'è ridotto perché s'è dimostrato che l'assorbimento rettale delle proteine e del grasso è minimo; s'utilizzano invece soluzioni saline (8%), o glucosate (5%) tiepide, instillate nel retto a goccia con speciali dispositivi (rettoclisi).
Bibl.: I. S. McLester, Nutrition and Diet in Health and Disease, Philadelphia 1927; G. A. Harrop, Diet in disease, Philadelphia 1930.