DIES IRAE
. Sequenza liturgica, che comincia appunto con le parole Dies irae. Si canta durante la messa di rito romano per i defunti: essa è tratta da un testo già attribuito a Tommaso da Celano (morto circa nel 1255), giudizio che va modificato dopo la segnalazione, fatta dall'Amelli, di un codice benedettino - cassinese di Caramanico, negli Abruzzi, che contiene il testo in una redazione della fine del sec. XII. Forse in principio fu di uso privato, non liturgico (come mostra il fatto che la preghiera è in prima persona), quale seguito del canto della sibilla nell'antica liturgia monastica alla fine dell'anno liturgico. Poi il Dies irae venne cantato come sequenza della prima domenica d'Avvento, prima del Vangelo in cui S. Luca (XXI, 6 segg.) annuncia la fine del mondo. Tanto il testo quanto la musica utilizzano motivi del responsorio Libera me Domine dell'assoluzione dei morti. Composto a strofe di 3 versi rimati, finiva alle parole curam gere mei finis, come il cod. di Caramanico; i 2 ultimi versetti sono un'aggiunta. Benché la melodia liturgica mostri la maggiore indifferenza pel senso delle parole cantate (18 strofe si cantano 2 a 2 sulla melodia di 3 sole), l'impressionante descrizione del giudizio universale fatta in quel testo (col pronunciarsi della tendenza umanistica a evocare coi suoni le immagini espresse dalle parole) ha suggerito a illustri compositori pitture musicali a vivi colori.
Il Dies Irae è fra le maggiori liriche religiose del Medioevo. Non è ricca la tradizione manoscritta. L'uso nei messali ne divenne quasi universale sulla fine del Quattrocento; per l'innanzi era usato specialmente dalle liturgie francescana e domenicana. Entrato nel messale romano e obbligatorio in particolari circostanze, divenne comunissimo.
Bibl.: G. C. F. Mohnicke, Thomas von Celano oder Geschichte der kirchl. Hymnus "Dies Irae", in Kirchen u. litter. Studien u. Mitth., Stralsund 1824-25, I, pp. 3-100; F. Ermini, Il "Dies irae", Ginevra 1928; D. M. Inguanez-Amelli, Il "Dies irae" in un cod. del sec. XII, in Misc. Cassin. (1931), pp. 5-11.