DIERESI (dal gr. διαίρεσις "divisione")
Nella metrica antica si chiama dieresi una pausa del verso, causata da fine di parola o di frase. La dieresi differisce dalla cesura (v.) in quanto non cade nell'interno di un piede, ma alla fine di esso. Essa è richiesta a) dopo ogni dipodia nei sistemi anapestici della tragedia; b) dopo ogni tetrapodia in sistemi (o versi) trocaici e dattilici, tranne l'esametro (per la dieresi bucolica vedi tuttavia esametro; cesura).
Nella metrica moderna è chiamata dieresi la divisione in due sillabe di due vocali consecutive, che generalmente formano un dittongo (e anche il segno che la rappresenta, cioè i due puntini posti su una delle due vocali con i quali si suole indicare il distacco: fr. tréma; sp. diéresis, crema; ted. Trema, Trennpunkte; ingl. diaeresis). Il fenomeno segue alcune norme generali dipendenti dalla struttura linguistica e dalla tradizione poetica, non così rigide tuttavia che i poeti non se ne possano per necessità d'arte discostare. Mentre la dieresi è ammessa per quei casi in cui le due vocali rappresentano due sillabe originarie o comunque continuano l'uso della prosodia classica (p. es. estuoso), è viceversa dubbia nei nuovi esiti romanzi.
È della buona tecnica evitare la divisione quando le due vocali sono l'esito dittongato d'un solo elemento latino, come nel caso di iè e uò derivati da un originario e e o (p. es. piede, nuovo, ecc.); oppure quando il primo elemento del dittongo ha valore di semivocale, sia perché nato da una consonante latina, come nel caso della i derivata da una l implicata (pl, fl, cl; p. es.: pianta, fiore, chiave ecc.) o come la i in obietto, sia che si tratti di una i grafica come nel nesso gli, e qualche volta nei nessi sci, gi, ci, ecc. Lo stesso avviene per la u del nesso qu (come in equo, acqua ecc.) e del nesso gu (come in guerra, guardia, guado, sangue, ecc.). Di natura più delicata è il trattamento del nesso vocalico au, che, sebbene in latino insolubile, ammette in italiano la dieresi (laüro, laüdare, ecc.). Un caso tipico è quello di mio, tuo, suo, due, sia, fui, via, dio, ecc., che, considerati monosillabi (tranne in posizione di rima), ammettono la dieresi anche nell'interno del verso, specie sotto l'accento ritmico, come testimoniano il testo critico della Divina Commedia e gli autografi del Petrarca e del Boccaccio.
Analoghe sono le norme che valgono per le altre lingue romanze, anch'esse ispirate dall'uso latino e da ragioni etimologiche; la struttura linguistica del francese comporta casi di dieresi più numerosi, essendo più frequente il contatto di due vocali per la caduta di una consonante intermedia (p. es. prier, jouer, cruel, di fronte all'italiano pregare, giocare, crudele, ecc.). V. anche sineresi.
Bibl.: per la metrica antica vedi: P. Maas, Griechische Metrik, Lipsia 1929, ¿ 59; O. Schröder, Nomenclator metricus, Heidelberg 1929, p. 20. Per la moderna: D. De Pilla, Sineresi, dieresi ed elisione, 2ª ed., Firenze 1889; Fr. D'Ovidio, Dieresi e sineresi nella poesia it., nel vol. Vers. italiana, ecc., Milano 1910. Per la Francia: A. Tobler, Vom franz. Versbau alter u. neuer Zeit, 4ª ed., Lipsia 1903.