VITRIOLI, Diego
VITRIOLI, Diego. – Nacque a Reggio Calabria il 20 maggio 1819 in una nobile famiglia cittadina da Tommaso, giurista e letterato, e da Santa Nava.
Il padre, autore di poesiole sacre e profane piuttosto mediocri, nonché tra il 1867 e il 1873 di ben tre Cartelli di logica disfida contro Ernesto Renan, ebbe notevole influenza nella vita del figlio, che ricevette la prima istruzione nell’ambito familiare sotto l’egida paterna, all’insegna di un’assoluta fedeltà alla religione cattolica, al magistero papale e a Borbone re delle Due Sicilie. Poté fruire inoltre degli insegnamenti dello zio della madre, il canonico e teologo Demetrio Nava. Affinò il suo amore per lo studio delle lingue classiche, in particolare del latino, frequentando dal 1834 il Real Collegio gesuitico cittadino, dove ebbe come docente il latinista Gaetano Paturzo.
Nella primavera del 1855 Diego sposò la nobildonna Rachele Adorno. Il matrimonio non fu felice, ancorché allietato dalla nascita di un figlio, Tommaso, morto di difterite a sei anni (1863), evento che segnò la definitiva separazione dei due. Da allora Vitrioli si appoggiò alla famiglia del fratello Annunziato, pittore e musicista.
Difficile individuare tracce autobiografiche nelle sue opere, a parte le attestazioni di sconfinata ammirazione per il padre. Si allontanò da Reggio in due occasioni: nel 1838 visitò Napoli rimanendone affascinato, e gli Atti del VII Congresso degli scienziati italiani registrano la sua presenza ancora a Napoli nel settembre del 1845.
L’epistolario pubblicato e soprattutto quello in archivio presso la Biblioteca comunale G. De Nava di Reggio Calabria testimoniano scarsi rapporti con personalità reggine o calabre, mentre risultano fitti quelli con dotti e letterati d’area centrosettentrionale e con stranieri. Ebbe stretto rapporto epistolare con il piemontese Tommaso Vallauri, corifeo della Latinitas perennis, suo prestigioso referente classicista fino a una irreparabile rottura fra i due, molto probabilmente dovuta, più che a divergenze culturali, a motivazioni d’ordine politico.
All’entrata dei garibaldini in città, nel 1860, il padre Tommaso fu pugnalato e dovette per un certo periodo riparare a Malta. Lo stesso Vitrioli fu tradotto davanti all’autorità di polizia, anche se subito dopo rilasciato, e una fitta sassaiola fu indirizzata contro il suo palazzo. Ovvio che tra lui e la città si scavasse (o si approfondisse) un fossato, come sembrerebbe testimoniato dall’Epigramma LI, genericamente titolato Una città della Penisola (ma allusivo il sottotitolo ‘Agosto 1860’). In questa difficile situazione si registra una sola apparizione pubblica di Vitrioli: nel 1876, impettito nelle sue numerose onorificenze, accompagnò il feretro di Vincenzo Bellini all’imbarco verso Catania.
Eppure a Reggio ebbe incarichi di prestigio: fu chiamato (1849) dal suo maestro Paturzo come professore di archeologia e lingue classiche (forse anche di francese) al Real Collegio (Zumbo, 2018, pp. 169-182); re Ferdinando II di Borbone lo nominò bibliotecario della Biblioteca Civica reggina e ispettore delle Antichità della Calabria Ultra, cariche dalle quali il legittimista Vitrioli fu nel 1860 destituito dal nuovo governo.
Annoverato nell’Arcadia col nome di Iseo Iridanio, colmo di onorificenze e titoli, dedicò tutta la sua vita a comporre poesia e prosa latina e alla cura editoriale delle sue opere, soggette a continue revisioni sino alle Opere scelte del 1893. Per Vitrioli il latino fu quasi lingua madre, avendo egli interiorizzato tutta la tradizione classica all’insegna della triade Cicerone, Virgilio, Ovidio. Nel 1842, a ventitré anni, pubblicò la sua prima opera, l’unica di stampo archeologico, De Junone Lacinia dissertatio qua templum celeberrimum in Crotoniensi agro olim positum inlustratur, prova matura di eleganza latina e di dotta perizia nell’escussione di tutte le fonti relative a quel monumento. Tre anni dopo (1845) risultò vincitore del primo Certamen Hoefftianum bandito dal Reale Istituto Belgico di Amsterdam con il poemetto Xiphias, di appena centoquindici esametri. La stampa gratuita del carme nello stesso anno, a cura dell’Istituto, e la sua divulgazione tra i cultori della lingua latina, decretarono la fama di Vitrioli, che, a differenza di tanti altri poeti nella medesima lingua, forse pago di tale primato, non parteciperà mai più al Certamen olandese, ma sottoporrà l’originario testo a un indefesso labor limae e a un progressivo ampliamento in un percorso editoriale che vedrà ben sette edizioni lui vivente e una postuma.
Nell’edizione del 1887 il poema è strutturato in tre parti che recano il nome delle tre Grazie, Aglaia (caccia al pescespada), Thalia (mito di Glauco e Scilla) ed Euphrosyne (festa per la cattura del pesce, elogio degli Olandesi costruttori di dighe contro la violenza del mare e benemeriti della cultura per il Certamen Hoefftianum). Vitrioli rinnovò così, da poeta doctus e sulla scia della migliore poesia latina classica e umanistica, in pieno Ottocento romantico, il poema didascalico classico riprendendo la descrizione della caccia al pescespada presente già in Polibio, Oppiano di Anazarbo e Partenio Giannettasio e introducendo elementi di novità nell’apparato mitologico (la Fata Morgana) e di contemporaneità (Olandesi ingegnosi e benemeriti).
Sul livello di Xiphias si colloca la restante produzione poetica: gli Epigrammi latini con un saggio di Epigrammi greci, le Elegie latine. I primi sono centotrentotto nell’edizione di Opere scelte del 1893 e sono corredati in parte da una traduzione ‘artistica’ dell’autore e accompagnati da diciotto epigrammi greci. Le Elegie latine suscitarono l’ammirazione di Giosue Carducci: sono venti componimenti su temi autobiografici, religiosi, funerari e occasionali; notevole è il gruppo d’argomento pompeiano (XVII-XXIII), che testimonia l’interesse archeologico e antiquario di Vitrioli. Sulla stessa linea si collocano le Veglie Pompeiane, scritte in impeccabile italiano del Cinquecento: rievocazione notturna in chiave onirica dei fasti e della bellezza dell’antica Pompei, presente anche l’ombra di Plinio Seniore, l’ultimo spettatore di quella catastrofe.
Il manifesto letterario classicista e ferocemente antiromantico di Vitrioli è l’Asinus Pontanianus, composto da due dialoghi, De puerili institutione e De literis latinis, nei quali si sofferma sul mondo contemporaneo, per criticarlo: vi si proclama infatti «seguace della classica schiera» e per questo dichiara di detestare «chi s’impiglia ne la lorda pozza romantica» (Opere scelte, 1893, pp. 211, 214).
Nell’opera, quattro amici, Poliziano, Gian Vincenzo Gravina, Giovanni Antonio Cassitto e l’autore interrogano l’asino, reduce dagli Elisi per un temporaneo permesso di Ecate, sulla sua esperienza terrena. In un eloquio torrentizio l’asino parla nel primo dialogo dell’educazione dei ragazzi, non più educati alle opere di Cicerone bensì abituati a letture frivole, quanto basta per leggere i giornali di moda. Più vario il secondo dialogo, nel quale si pronuncia sullo stato della lingua latina, bollando i sacerdoti come responsabili primi dell’oblio in cui è caduta la cultura classica. Coinvolti in tale responsabilità giureconsulti, editori, donne che si danno arie da intellettuali e giornalisti; dei moderni salva solo Pietro Verri.
Della rimanente produzione latina in prosa vanno ricordati, oltre all’Elogio di Angela Ardinghelli (1874) scienziata napoletana, prozia di Vitrioli, le quattro Orationes (la prima è su Cicerone, suo modello di humanitas e di stile, e per il quale nutrì un’ammirazione quasi religiosa; l’aneddotica narra che egli si rifiutò di ricevere Theodor Mommsen perché aveva parlato male del grande oratore).
Se stile di vita e studia humanitatis sembrano situare Vitrioli fuori del suo secolo, in verità egli si pose convintamente in perfetta linea con la migliore tradizione classica e umanistica, e come «l’ultimo degli umanisti» fu celebrato da Giovanni Pascoli (1914). Quanto avveniva nell’Italia risorgimentale e postunitaria gli fu estraneo, con qualche contraddizione: legittimista, ringraziò la Madonna per aver salvato Ferdinando II dall’attentato di Agesilao Milano (nell’Elegia VI), ma si fregiò, tra le tante, dell’onorificenza dei Ss. Maurizio e Lazzaro, conferitagli da Vittorio Emanuele II. Tuonò contro il romanticismo e la sua nostalgia per il Medioevo, ma da strenuo difensore e continuatore della classicità e dell’Umanesimo, nella rievocazione dell’antica Pompei condivise col primo omanticismo l’amore per la letteratura delle rovine. Tutto però all’insegna del primato della lingua latina e della sua letteratura e civiltà.
Morì a Reggio Calabria il 20 maggio 1898.
Opere. Tutte le opere di Vitrioli sono edite in Opere, I-IX, Napoli 1870-1878. In seguito fu pubblicato un decimo volume di Scritti inediti in supplemento all’edizione napoletana, raccolti e pubblicati dal conte Francesco Manfrè, Reggio Calabria 1883; Opere scelte di Diego Vitrioli raccolte e ordinate da Annunziato Vitrioli, annotate da Girolamo Calcanti, Reggio Calabro 1893; Opere scelte, con prefazione di Enrico Cocchia, ristampa a cura di Diego Vitrioli, I-II, Reggio Calabria-Messina 1930. Per le edizioni di Xiphias si rimanda a M. Sterzi, In margine al Bimillennario Virgiliano. Lo ‘Xiphias’ di Diego Vitrioli, in Atene e Roma n. s. X, 1929, pp. 211-244; D. Vitrioli, Xiphias, Epigrammata, Elegiae, a cura e con introduzione di A. Zumbo, Reggio Calabria 1998.
Fonti e Bibl.: Fino al 1934 si veda la bibliografia in calce a L. Aliquò-Lenzi, D. V., Reggio Calabria 1934, pp. 46-48; G. Pascoli, Pensieri e discorsi, Bologna 1914, p. 162; M. Sterzi, Tornando al ‘Vecchio Mago’. D. V., in La Rassegna, XXXVI (1926), 1, pp. 234-280; Id., In margine, cit.; A. Zumbo, D. V. filologo ciceroniano, in Studi sulla tradizione classica per Mariella Cagnetta, a cura di L. Canfora, Bari 1999, pp. 535-545; P. De Capua, Per la storia del classicismo europeo: lo Xiphias di D. V., in La poesia latina nell’Area dello Stretto fra Ottocento e Novecento. Atti del Convegno... 2000, a cura di V. Fera et al., Messina 2006; P. Megna, Gli epigrammi greci di D. V., ibid., pp. 138-157; A. Rollo, Le Veglie Pompeiane, ibid., pp. 86-119; C. Scavuzzo, L’italiano di V., ibid., pp. 120-136; A. Zumbo, Tradizione e conservazione del classico: Tommaso Vallauri, D. V. e Cicerone, in Quaderni del Dipartimento di filologia, linguistica e Tradizione classica ‘A. Rostagni’, Univ. Torino, n.s., VII (2008), pp. 7-21; Id., Per l’edizione degli epigrammi latini di D. V., in Camenae, Révue en ligne, Univ. Paris-Sorbonne, 2014, n. 16 (www.paris-sorbonne.fr/camenae-16); Id., Gaetano Paturzo, D. V. e il Real Collegio, in Racconto di un anno. Figure ed eventi, a cura di P. Ciro, Soveria Mannelli 2018, pp. 169-182; D. V. Un raffinato collezionista nella Calabria dell’Ottocento, a cura di C. Malacrino, Reggio Calabria 2019.