ORLANDO, Diego
ORLANDO, Diego. – Nacque a Palermo il 24 dicembre 1815 dall’avvocato Francesco Paolo e da Rosalia Catalano.
Appartenente a un’agiata famiglia borghese, da generazioni impegnata nell’attività forense – la stessa che avrebbe dato i natali al più famoso Vittorio Emanuele – fu avviato agli studi di diritto e nel 1836 conseguì il titolo di dottore in legge presso la R. Università degli studi di Palermo. Nella sua formazione fu decisiva l’influenza di Domenico Scinà, storiografo del Regno, nonché matematico e storico della scienza, dal quale imparò il rigoroso metodo scientifico che avrebbe applicato alla materia di sua naturale predilezione, la storia del diritto pubblico e privato del Regno di Sicilia. Severità e rigore scientifico furono, infatti, i tratti caratterizzanti della sua attività di storico e giurista.
L’agiatezza della famiglia gli permise di tralasciare l’attività forense, almeno nei primi anni della carriera, per dedicarsi allo studio e all’approfondimento della storia delle istituzioni siciliane. Non ancora trentenne pubblicò Il potere legislativo ai tempi normanni: articolo della storia del diritto pubblico siciliano (Palermo 1844).
Nelle appena 51 pagine che compongono l’opera, Orlando traccia una descrizione delle istituzioni del Regnum Siciliae al tempo di Ruggero II concentrando l’attenzione sui connotati della sovranità regia, che nel periodo normanno si sarebbe caratterizzata per l’esercizio esclusivo della prerogativa legislativa senza intromissione alcuna da parte del ceto baronale.
A un anno di distanza dette alle stampe un’Antologia legale (ibid. 1845), modesta raccolta di massime tratte dal diritto romano. Frutto di una diversa e più approfondita elaborazione scientifica è Il feudalesimo in Sicilia: storia e diritto pubblico (ibid. 1847; ristampa anastatica, 1980).
L’opera può essere inserita a pieno titolo in quel genere letterario che ebbe nella storia istituzionale siciliana l’oggetto privilegiato di ricerca e che, tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento, aveva visto in Rosario Gregorio il suo più celebrato interprete. Lo scritto godette di un’immediata approvazione da parte dell’élite culturale siciliana, un successo che l’autore stesso sembrava preventivare e attribuire a due ordini di ragioni. La prima atteneva alla materia presa in esame: «Dopo trent’anni dall’abolizione della feudalità era desiderio dei dotti e degli amatori delle cose patrie di vedere illustrata una materia tanto celebre e di tanti estesi rapporti nella storia di molti secoli» (p. 299). La seconda ragione risiedeva nell’originalità del lavoro che, a detta di Orlando, riusciva a raccogliere e riunire in un’unica sede «notizie attinenti ad un tema che giaceva sparso e disperso in tanti libri, in tanti diplomi ed anche in tante memorie» (p. 300).
Sin dall’introduzione Orlando mostra di non essere contrario all’istituto feudale, garanzia di pace e baluardo contro lo sfaldamento economico e sociale conseguente alla caduta dell’Impero romano e all’arrivo delle popolazioni barbare. Descrive quell’istituto partendo dalle origini, che per la Sicilia risalirebbero al periodo normanno, passando per le alterne vicende nelle epoche sveva e aragonese per giungere infine all’abolizione del regime feudale, avvenuta formalmente il 12 luglio 1812. Nel lungo periodo preso in esame, l’autore analizza le diverse tipologie di feudo, gli obblighi e i diritti dei feudatari, la possibilità di alienare i feudi, le materie della successione e dell’amministrazione. In tutta l’opera traspare la sua benevola visione del feudalesimo.
Convinto sostenitore delle prerogative indipendentiste della Sicilia di inizio Ottocento, scrisse un Commentario storico sulla Costituzione Siciliana del 1848 (ibid. 1848), vero e proprio omaggio alla patria siciliana e alla rivoluzione del 1848 che, se pur foriera di un’indipendenza di effimera durata, aveva avuto nello Statuto decretato il 10 luglio dal Generale Parlamento un documento dal forte contenuto simbolico, la cui eco era giunta ben oltre i territori italiani. Forse anche per questo motivo il Commentario di Orlando ebbe rapida diffusione: se ne stamparono 400 copie in un giorno, molte delle quali destinate alle principali capitali europee (Mira, 1881, p. 157).
Attraverso il commento dei singoli articoli della Costituzione, Orlando tentava di dare alla stessa una legittimazione giuridica che discendesse direttamente dalla storia siciliana: con la rivoluzione del 1848 i Siciliani non avevano fatto altro che rivendicare prerogative – quali l’indipendenza del Regnum Siciliae e un Parlamento rappresentativo della nazione, che erano sancite nella Costituzione politica della Sicilia risalente ai normanni e ininterrottamente applicata per sette secoli – confermate nella Costituzione del 1812. Lo Statuto del 1848, in definitiva, doveva ulteriormente confermare e adattare ai tempi quei diritti «consolidati dalla sanzione di sette secoli» (p. 6).
Nel 1851 pubblicò a Palermo la Biblioteca di antica giurisprudenza siciliana, collezione delle opere più conosciute e utilizzate nei tribunali dell’isola.
I testi, seguiti da un breve profilo biografico dei loro autori, coprono un arco cronologico che va dalla fine del Quattrocento (l’opera più antica, Regalium Constitutionum, Pragmaticarum et Capitulorum huius Regni, liber… di Giovan Pietro Appulo, è del 1497) agli inizi dell’Ottocento. Gli autori sono suddivisi in codicisti, commentatori, trattatisti, consulenti, controversisti, ritualisti e decisionisti. Nella parte finale sono riportate 24 ‘illustrazioni’ aventi per oggetto le «antiche leggi patrie ed antiche magistrature» in precedenza citate nell’opera. Lo scopo era una spiegazione storica, ma soprattutto l’elogio: «ricordiamo a noi stessi e sappiano gli stranieri che anche in Sicilia fu specialmente coltivata la giurisprudenza, non meno che le altre scienze e lettere, e che in essa fiorirono grandi, la cui fama corse per il mondo civile, e si conserva tuttora al confronto di chiunque altro» (p. 5).
Oltre che profondo conoscitore della storia del diritto siciliano, Orlando fu cultore del diritto sostanziale del suo tempo. Ne sono prova i numerosi commentari a vari articoli del Codice civile del 1819 da lui scritti, ma soprattutto ne è prova l’opera Sul sistema ipotecario del codice francese (Palermo 1854).
Orlando vi muove una profonda critica al sistema ipotecario, così come disciplinato sia dal codice francese sia dagli altri codici che a quello si rifacevano: per nulla velato è il riferimento al Codice civile per il Regno delle Due Sicilie del 1819, forse vero bersaglio dell’opera. La trattazione parte dall’assunto che il sistema ipotecario non è mai riuscito a garantire la sicurezza del credito e che quindi immense quantità di beni mobili e immobili restano bloccate, con gravissimo nocumento per il progresso e per lo sviluppo industriale, che al credito necessariamente deve attingere. La proposta di Orlando non si limita a una semplice riforma del sistema ipotecario, così come auspicato dalle previsioni legislative della maggior parte degli Stati europei, ma prevede un suo radicale smantellamento e il passaggio dell’intera materia del credito sotto la disciplina generale delle obbligazioni. Tutta la trattazione è incentrata sulla dimostrazione e giustificazione di tale assunto, con ampi riferimenti anche al sistema ipotecario nel diritto non romano e in quello greco.
Nel 1855 iniziò a impartire lezioni di diritto civile presso la R. Università di Palermo; negli anni immediatamente successivi, a conferma dell’ormai riconosciuto successo, diventò socio attivo dell’Accademia di scienze e lettere di Palermo (1856) e socio onorario della Gioenia di Catania (1857). Nello stesso periodo curò l’edizione e la pubblicazione di Un codice di leggi e diplomi siciliani del Medio Evo che si conserva nella Biblioteca del Comune di Palermo… (ibid. 1857), un manoscritto del 1492, il Codice Speciale, notato per la prima volta dal cardinale Angelo Mai, bibliotecario vaticano, il quale riconoscendone l’indiscusso interesse storico-giuridico ne aveva incoraggiato la pubblicazione.
Dopo una cronaca dei re di Sicilia dedicata al viceré Ferdinando de Acuña, il codice comprende la legislazione del Regno di Sicilia dalle costituzioni di Federico II ai capitoli e alle prammatiche statuiti durante il regno di Ferdinando il Cattolico. Orlando curò la trascrizione del manoscritto e lo corredò di un’ampia introduzione, nella quale ne ricostruiva l’origine e la provenienza, con particolari sulla vita dell’autore, Giovan Matteo Speciale, capitano giustiziere a Palermo nel 1460, e sulla sua nobile famiglia. Infine avanzava l’ipotesi che il codice non fosse stato concepito per uso privato, ma per divenire una raccolta ufficiale per il Regnum: il progetto non si sarebbe realizzato a causa della prematura morte di Ferdinando de Acuña, promotore e committente dell’opera.
Dopo Sull’ordinamento a dare al Codice civile italiano. Memoria (ibid. 1861) in cui auspicava un codice civile italiano ben distinto da un punto di vista strutturale dal francese e dagli altri che a quello si esemplavano, la sua produzione letteraria subì un notevole rallentamento, a causa di molteplici impegni legati sia alla nomina a consigliere della Corte d’appello di Palermo, avvenuta subito dopo l’Unità nazionale, sia alle incombenze nei confronti della facoltà di giurisprudenza dell’Ateneo palermitano, dove era diventato professore onorario nel 1863. L’anno successivo divenne membro della Società siciliana per la formazione della storia patria, mentre in ragione della profonda passione per gli studi orientalisti, dal giugno 1865 fu ammesso alla prestigiosa Società asiatica di Parigi.
L’ultima sua opera, I capitoli del Regno di Sicilia (ibid. 1866), più che una raccolta delle fonti normative siciliane, è un breve elogio della silloge dei Capitula Regni Siciliae, pubblicata tra il 1741 e il 1743 da Francesco Testa.
Nel 1874 fu chiamato a dirigere la Commissione di antichità e belle arti in Sicilia.
Dopo due anni di malattia, morì a Palermo il 10 settembre 1879.
Fonti e Bibl.: G. Spata, Esame delle teoriche sui capitoli del regno di Sicilia di D. O., Palermo 1867; M. Amari, La guerra del Vespro Siciliano, VIII ed., Firenze 1876, p. VIII; G.M. Mira, Bibliografia siciliana, ovvero Gran dizionario bibliografico, II, Palermo 1881, pp. 156-158 (ristampa anast., 1996); B. Pasciuta, Itinerari di una cultura giuridica: la facoltà di giurisprudenza di Palermo dalla fondazione al fascismo (1805-1940), in Annali di storia delle università italiane, 2008, vol. 12, pp. 387-421.
Si ringrazia Francesco Di Chiara per la collaborazione alla redazione della voce.