DIEGO da Careri (Giovanni Leonardo Giurato)
Nacque a Careri (attualmente provincia di Reggio Calabria) il 5 apr. 1606 da Giulio Giurato e da una Elisabetta e fu battezzato con il nome di Giovanni Leonardo.
Abbiamo varie notizie su questo scultore, frate laico dell'Ordine dei Minori riformati, grazie ad una biografia scritta nel 1702 da un suo nipote per parte paterna (Giurato, 1702), notizie riprese nelle fonti successive, quasi tutte di natura monastica. Le biografie antiche sono state scritte per metterne in risalto la vita esemplare dal punto di vista religioso, tanto da attribuire a D. miracoli eseguiti prima e dopo la morte; in queste fonti le notizie relative alla produzione artistica sono date quasi incidentalmente, ma sono comunque sufficienti per ricostruire almeno a grandi linee la sua attività.
Cresciuto in una numerosa famiglia, di antica origine spagnola, D. mostrò sin da ragazzo la sua vocazione religiosa; ottenne di compiere l'anno di noviziato, probabilmente nel 1626, presso il convento riformato di S. Maria di Gesù di Bovalino, poco lontano da Careri, assumendo in tale occasione il nome Diego. Prima di entrare in convento si era gia cimentato in opere di scultura che avevano favorevolmente colpito i suoi concittadini; proprio per permettere al giovane di continuare ad esercitarsi in quest'arte i suoi superiori lo fecero trasferire presso il convento di S. Maria delle Grazie a Catanzaro, ove erano in corso cospicui lavori e dove quindi si dovevano trovare riuniti diversi artisti (Neri, 1952, p. 54).
Da Catanzaro D. passò al convento di S. Francesco di Gerace e successivamente nel convento di S. Maria degli Angeli di Monteleone (oggi Vibo Valentia), ove eseguì opere ora perdute (un Crocifisso per Gerace e una Madonna fra angeli nella seconda località). Il soggiorno a Monteleone fu piuttosto importante perché permise a D. di studiare le opere di Antonello Gagini conservate in quella città, sculture che lo ispirarono certamente nella realizzazione di numerose statue eseguite anche molti anni più tardi.
La tappa successiva nel suo peregrinare fu il convento di S. Maria degli Angeli a Badolato (Catanzaro), ove sono conservate le sue opere più antiche; queste sculture gli sono attribuite nella cronaca manoscritta del convento (del XIX secolo ma basata su documenti precedenti: cfr. Neri., 1952, pp. 50, 57).
Fra le molte opere realizzate si sono conservati un Crocifisso e la grande decorazione dell'altare maggiore raffigurante la Madonna fra i ss. Francesco e Ludovico di Tolosa e numerosi angeli, nonché la custodia dell'altare. L'enorme macchina lignea risente certamente dell'influsso spagnolo, mentre il carattere stilistico della figura principale è di chiara derivazione gaginesca. Colpiscono la sovrabbondanza delle decorazioni e certi elementi arcaici come le proporzioni più piccole dei santi rispetto alla Madonna.
L'attività artistica di uno scultore francescano aveva una prevalente funzione devozionale che in parte spiega l'attardamento culturale, riscontrabile nel riferimento ad A. Gagini, pur operando D. principalmente in legno. È verosimile che la sua formazione artistica sia avvenuta a fianco di uno scultore religioso, poiché è molto difficile pensare che fosse del tutto un autodidatta. Egli quindi acquisì sin dall'inizio della sua attività un'impostazione pietistica, di impronta ancora sostanzialmente controriformistica, per cui l'opera doveva soprattutto esaltare il sentimento religioso del fedele. In Calabria erano attivi numerosi artisti francescani e vi operò anche fra' Umile da Petralia, di origine siciliana, il più famoso autore di crocifissi del suo tempo. Rispetto ai modi tragici ed estremamente drammatici dello scultore siciliano D. si esprime con forme più controllate e composte come mostra il Crocifisso di Badolato.
Secondo il Neri (1952, p. 59), D. sarebbe giunto a Badolato intorno al 1640; è documentato che la decorazione dell'altare era già stata eseguita nel 1644. Probabilmente in quello stesso anno D. si trasferì a Napoli; secondo le fonti uno dei suoi fratelli si era trovato coinvolto in un omicidio ed era stato condannato a morte dal viceré di Napoli, dal quale D. si recò a chiedere la grazia per il suo congiunto. Egli sarebbe riuscito in questo compito anche grazie alla presentazione e alla protezione di un importante esponente del suo Ordine, Giovanni Mazzara da Napoli (Giurato, 1702, p. 26), uomo molto influente a corte e futuro ministro generale dell'Ordine dal 1645 (Neri, 1952, p. 67).
Sollecitato dai suoi superiori religiosi e, pare, dallo stesso viceré D. si fermò a Napoli: prima nel convento di S. Croce ad Palatium e poi in quello di S. Maria del Pozzo a Somma Vesuviana. Durante il soggiorno lavorò soprattutto per la chiesa di S. Maria degli Angeli, costruita da Cosimo Fanzago.
Qui eseguì la decorazione dell'altar maggiore raffigurante l'Assuntafra angeli, le statue per alcuni altari laterali dedicati a s. Chiara, s. Elisabetta, s. Francesco (è scomparsa la statua dell'Immacolata, posta su un altro altare), un Crocifisso e gli armadi contenenti le reliquie entro trentasei busti di santi (ibid., pp. 69 s., 85-95). Si trattò quindi di un lavoro molto cospicuo ed impegnativo nel quale D. fu certamente aiutato da alcuni scolari. I quattro gruppi statuari in legno mostrano ancora una volta la loro dipendenza da modelli gagineschi. Nelle statue degli altari laterali è piuttosto originale l'idea di porre sotto i piedi dei santi, al posto di una base tradizionale, gruppi di serafini, idea sovente testimoniata in opere pittoriche coeve.
La statua più interessante è certamente quella di S. Francesco: ilsanto è raffigurato al centro di una mandorla formata da testine di serafini e munito lui stesso di ali (ibid., p. 88). Ha un aspetto estremamente composto con una impostazione di tipo classicheggiante e solo nell'inclinazione della testa e nell'espressione del volto compaiono contenuti accenti di patetismo. L'opera era inoltre animata da effetti cromatici che puntavano sulla contrapposizione fra il tono cupo del saio e la doratura della corona angelica (la cromia originale delle statue della chiesa è stata alterata: ad es. l'Assunta è stata imbiancata; cfr. ibid., p. 94).La decorazione della chiesa deve essere stata eseguita fra il 1644 ed il 1648, anno in cui il padre Giovanni da Napoli morì e gli successe nella carica di vicario generale il padre Daniele da Dongo; questi ordinò l'immediato trasferimento di D. a Roma e da lì a Dongo (Como). Qui, nel convento di S. Maria del Fiume, egli realizzò la decorazione plastica di due cappelle, scolpendo complessivamente ventiquattro statue divise nei due gruppi dell'UltimaCena e della Crocifissione, assistito certamente anche in questo caso da alcuni collaboratori fra i quali fra' Giovanni da Reggio.
La decorazione di queste due cappelle si inquadra nell'ambito del fenomeno dei cosiddetti "Sancta Sanctorum." che sorgono numerosi in Piemonte e Lombardia: all'interno di una cappella pitture e sculture a tutto tondo ricostruiscono gli episodi salienti della vita di Cristo o della Madonna per sollecitare la preghiera e la devozione dei fedeli.
Le due cappelle di Dongo hanno una decorazione pittorica, eseguita nel 1603 da Andrea Gabasio (Sevesi, 1914, pp. 31 ss.), che mal si accorda con le statue. Nella cappella dell'Eucarestia le tredici figure, disposte intorno ad una tavola a "U", sono a grandezza poco più che naturale, vestite all'antica, sobriamente dipinte. La volontà dell'artista di fare una scena realistica lo ha spinto, ad es., a raffigurare minuziosamente le suppellettili e le vivande sulla tavola, tutte scolpite in legno; lo scultore si è sforzato soprattutto di rendere evidente la diversa reazione degli apostoli all'accusa di Gesù attraverso gesti ed espressioni differenziati. L'effetto complessivo è quello di una forte e al tempo stesso ingenua teatralizzazione dell'evento.
Più debole è nel complesso la decorazione della cappella della Crocifissione, dove i personaggi non sono efficacemente raccordati in un'azione comune; ciò può essere in parte imputato ad alterazioni dell'impostazione originaria del gruppo, che ha certamente subito alcune modifiche, e secondo il Neri anche all'aggiunta di figure non facenti parte dell'opera originaria di D. (1952, p. 108).
Durante il soggiorno in Lombardia lo scultore lavorò anche per la chiesa di S. Croce a Como (Sevesi, 1927, p. 14) e per il convento di S. Giacomo a Castello presso Lecco, ove probabilmente nel 1654 furono esposte le statue di S. Giovanni Evangelista e di Maria (cfr. Neri, 1952, pp. 74, 112, sulla base di una Cronaca manoscritta del padre Benvenuto da Milano del sec. XVIII, oggi conservata nella Biblioteca Braidense; le opere sono disperse).
Verosimilmente D. era ancora in Lombardia nel 1654; non si sa quando ricevette l'ordine di trasferirsi in Sicilia da padre Michelangelo Bongiorno, eletto ministro generale nel 1658; forse a ridosso di questa data, ritornando verso Sud, D. si fermò a Roma, ove scolpì nella chiesa di S. Francesco a Ripa le statue di S. Antonio e di S. Francesco (Giurato, 1702, p. 43; non è suo invece il Crocifisso nella prima cappella a destra che a volte gli viene attribuito). Non si sa tuttavia quanto si sia trattenuto a Roma o se vi sia andato più di una volta.
Sull'altare di S. Antonio nel transetto sinistro si trova l'omonima statua lignea mentre quella di S. Francesco fu trasferita nel 1738 sull'altar maggiore; essa ha subito una radicale trasformazione con l'aggiunta nel 1743-44 dei due angeli che affiancano il santo, opera di Giuseppe Frascari, come risulta da documenti d'archivio (Roma, Archivio di S. Francesco a Ripa, Spese che si fanno per l'altar maggiore di questa chiesa, 1743/4), eseguiti su disegno di A. Masucci (Gigli, 1987). Se si eliminano i due angeli scompaiono i caratteri barocchi del gruppo e la statua di S. Francesco risulta perfettamente in linea con la restante produzione di D. ed anzi appare assai simile a quella scolpita nel decennio precedente a Napoli.
Le due opere romane, sino ad oggi le ultime note nell'attività dell'artista, non denunciano alcuna evoluzione stilistica di tipo barocco; anche a Roma ed ormai alla metà del secolo D. restò fedele alla sua timida arte monastica.
Le fonti accennano vagamente ad un suo soggiorno a Palermo prima di raggiungere il convento della Sambuca ma le opere eseguite in queste località non sono state identificate (Giurato, 1702, pp. 44 s.).
Morì nel convento di Sambuca (Agrigento) il 15 ag. 1661.
Fonti e Bibl.: Roma, Archivio di S. Francesco a Ripa, ms.99 antica numerazione (sec. XVIII): L. da Modena, Cronaca della riformata provincia romana, ff. 234 s., 272; Ibid., Spese che si fanno all'altar maggiore di questa chiesa, 1743-44; Milano, Bibl . Braidense, ms. 31, 1778, AF XII-13: Benvenuto da Milano, Cronaca nona..., ff. 72 s., 186 s.; C. Celano, Notizie... della città di Napoli [1692], Napoli 1970, p. 1797; F. A. Giurato. Vita del venerabile servo di Dio fra' D. da C., Messina 1702; B. Mazzara-Antonio da Venezia, Leggendario francescano... con aggiunte di Antonio da Venezia, Venezia 1722, VIII, 15 agosto, pp. 179-192 (ripete quanto in Giurato); G. Fiore, Della Calabria illustrata, Napoli 1743, II, p. 222; B. Spila, Mem. stor. della provincia riformata romana, Roma 1890, I, p. 27; P. M. Sevesi, Il santuario ed il convento diS. Maria del Fiume in Dongo, Como 1914, p. 31; C. Caterino, Storia della minoritica provincia napol. di S. Pietro ad Aram, Napoli 1926, I, pp. 55, 88, 100, 194-200; P. M. Sevesi, S. Croce in Boscaglia di Como, Como 1927, p. 14; E. Bulletti, Fra D. da Carreri scultore, in Studi francescani, XIV (1928), 4, pp. 90 s.; P. P. Coco, Saggio di storia francescana di Calabria dalle origini al sec. XVII, Taranto 1931, pp. 106 s.; Inventario deglioggetti d'arte d'Italia, A. Frangipane, Calabria, Roma 1933, p. 11; Id., La scultura lignea del Seicento in Calabria, in Brutium, XIV (1935), 3, pp. 54-57; M. Zecchinelli, Le tre pievi: Gravedona, Dongo, Sorico, Milano 1951, p. 99; D. Neri, Scultori francescani del Seicento in Italia, Pistoia 1952, pp. 49-115; F. Albanese, ViboValentia, Vibo Valentia 1962, p. 266; P. Pesci, S. Francesco a Ripa, Roma 1959, pp. 15, 53; E. Barillaro, Calabria, Cosenza 1972, p. 20; A. Rovi, Chiese e conventi francescani a Como…, in Il francescanesimo in Lombardia, Milano 1983, p. 297; G. Ghiraldi, Per Cosimo Fanzago …, in Ricerche sul Seicento napoletano…, Milano 1984, p. 168; L. Gigli, Rione XIII, Trastevere, parte IV, Roma 1987, pp. 148-52; U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, IX, p. 30 (sub voce Diego, Fra').