COLOMBO (Colón), Diego
Nacque verso il 1480 nell'isola di Porto Santo, vicino a Madera, da Cristoforo e Felipa Moniz, figlia di Bartolomeo Perestrello.
Il Perestrello, appartenente ad una nobile famiglia piacentina emigrata nel sec. XIV in Portogallo, aveva ottenuto il governatorato ereditario dell'isola di Porto Santo, alla cui colonizzazione aveva preso parte, morendo verso il 1457. Aveva sposato in terze nozze Isabella Moniz, dalla quale era nata la figlia Felipa.
Costretto a tentare la fortuna in Spagna, Cristoforo portò con sé il figlioletto, col quale trovò ospitalità nel monastero di S. Maria de la Ribida presso Palos (fine 1484-inizio 1485).
La scelta di Palos non fu casuale, perché la città si trova vicina a Huelva, dove viveva la famiglia di Miguel Muliart (che aveva sposato Violante Moniz Perestrello, sorella di Felipa), presso il quale Cristoforo forse sperava di poter far ospitare il figlioletto. Alla Rábida egli incontrò padre Antonio de Marchena: non si sa se a lui Cristoforo abbia affidato il piccolo o se lo abbia condotto a Huelva presso i Muliart o se il C., pur restando presso il cognato del padre, sia stato educato nel convento.
Alla vigilia della sua partenza per il primo viaggio verso le Indie, Cristoforo ottenne la nomina del figlio a paggio di don Juan, principe ereditario di Castiglia (cedola reale dell'8 maggio del 1492), ma probabilmente il C. non si recò a corte, forse restando aCórdoba, dove Cristoforo avrebbe potuto condurlo l'anno precedente, quando maturò la decisione di trasferirsi in Francia. Nel 1493 egli fu presente, insieme col fratello Fernando, alla partenza della seconda spedizione di Cristoforo da Cadice (25 settembre). Nel 1494 lo zio Bartolomeo, giunto in Spagna, condusse a corte i due nipoti, secondo le istruzioni lasciate da Cristoforo, perché prendessero possesso, della carica di paggio loro assegnata. Morto don Juan a Salamanca il 4 ottobre 1497, il C. e Fernando divennero paggi della regina Isabella (18 febbr. 1498).
A corte il C. dovette sperimentare prima il rispetto che il nome del padre suscitava, accompagnato dall'invidia e dall'ostilità di quanti vedevano nell'ammiraglio lo straniero colmo di onori che aveva scoperto il paese dell'oro; poi, dopo le rivolte in terra americana e la delusione per i pochi frutti concreti che le spedizioni procuravano, l'odio e il sarcasmo verso l'"ammiraglio delle zanzare", che non aveva saputo offrire altro ai nobili castigliani che privazioni e sacrifici inauditi. Il C. dovette assistere all'arrivo del padre e degli zii Bartolomeo e Giacomo incatenati dal Bobadilla (fine novembre 1500), ma non accompagnò Cristoforo nel suo quarto e ultimo viaggio, cui partecipò, invece, il fratello Fernando.
Durante la permanenza del padre nel Nuovo Mondo e poi al suo ritorno in Spagna, egli lo rappresentò a corte a pieno titolo. assistendolo nella estenuante opera di difesa degli interessi familiari.
L'intenso scambio epistolare tra padre e figlio testimonia l'attività del C. volta a contrapporsi alle calunnie che i Porras stavano diffondendo a corte con l'appoggio del tesoriere Alfonso de Morales; l'opera di rivendicazione delle prerogative paterne, affiancata dai consigli di Diego de Deza, eletto alla carica di arcivescovo di Siviglia, dopo essere stato vescovo di Palencia, e grande amico di Cristoforo; la proposta avanzata al re Ferdinando di affidare il governo delle Indie, tolto a Cristoforo, allo stesso C., affiancato da uomini di fiducia del re.
Morto il padre, egli rivendicò i diritti che erano stati concessi e poi tolti a Cristoforo, di cui egli si presentò come successore, trovando consiglio ed incoraggiamento nel fratello Fernando e nello zio Bartolomeo. Cristoforo aveva provveduto a nominare il figlio suo erede nell'atto di inaggiorascato steso a Siviglia il 22 febbr. 1498, riconfermandogli i suoi diritti col testamento scritto in Segovia il 25 ag. 1505 e confermato a Valladolid il 19 maggio 1506. Ritornato re Ferdinando dalla spedizione di Napoli (1508), il C. ebbe una nuova risposta negativa alla richiesta di ottenere quei vantaggi e quei titoli che il sovrano aveva concesso al padre. Gli fu, tuttavia, assegnato il titolo di "contino" con relativo appannaggio (15 nov. 1503). Benché gli venisse assicurato un decimo delle rendite ricavate dalla Hispaniola (cedole reali di Villafranca del 2 giugno 1506 e di Almazán del 28 ag. 1507), il C. inutilmente si adoperò a corte perché i suoi privilegi gli fossero riconosciuti. Il suo matrimonio (avvenuto forse nel 1508) con donna Maria de Toledo, figlia di don Fernando, gran maestro di León e fratello del duca d'Alba, valse a migliorare la sua situazione: i Toledo esercitarono notevoli pressioni sul Consiglio delle Indie e a corte, tanto che al C. fu riconosciuto il titolo di governatore delle Indie (9 ag. 1508), a patto che tale concessione noncomportasse pregiudizio dei diritti né da parte del re né da parte del Colombo. Viste, tuttavia, inutili le manovre per ottenere dalla Corona concessioni più ampie, egli decise di intraprendere un'azione giudiziaria davanti al Consiglio delle Indie.
Il 5 maggio 1511 a Siviglia il Consiglio reale riconosceva al C. il governo dell'Hispaniola e delle isole scoperte dal padre, ma, di fronte alla sua richiesta che tali diritti venissero estesi anche alla terraferma e alle regioni che si sarebbero in seguito scoperte nel Nuovo Mondo, il re oppose un fermo rifiuto. Più accanita diventò, peraltro, la lite tra le parti nel "pleito" che doveva trascinarsi per più di trent'anni. Dal 1512 al 1515 le due parti, rappresentate da Juan de la Peña, procuratore dell'ammiraglio, e dal fiscale Pedro Ruiz, iniziarono la raccolta di testimonianze in varie città della Spagna e delle colonie americane. Il fiscale cercò di invalidare le richieste avanzate dal C., mettendo in dubbio che Cristoforo avesse per primo scoperto la terraferma. Respinto tale tentativo, si obiettò che le capitolazioni di Santa Fé del 1492 - contenenti la concessione del titolo di viceré a Cristoforo e ai suoi discendenti - costituivano una lesione degli interessi della monarchia, per cui tale concessione doveva intendersi come limitata al solo Cristoforo vita natural durante. Il C. replicò che quell'accordo era, in realtà, un contratto di obbligo e insistette nella sua azione. Nel 1520 a La Coruña si ebbe una prima sentenza contenente alcune concessioni per il C. che, insoddisfatto, presentò appello. Il "pleito" continuò, così, a trascinarsi per altro tempo.
Nominato governatore delle Indie (9 ag. 1508), il C. si imbarcò a Sanlúcar de Barrameda per prendere possesso della carica e per sostituire l'allora governatore Nicola de Ovando. Alla spedizione, composta da un numero imprecisato di navi, parteciparono anche la moglie del C., gli zii Bartolomeo e Giacomo, il fratello Fernando, nonché una numerosa comitiva di cavalieri e dame desiderose di accasarsi nel Nuovo Mondo. Le navi giunsero a Santo Domingo il 10 luglio 1509.
Ben presto si manifestarono contrasti tra il C. e la Corona, decisa a mantenere uno stretto controllo sulle Indie, impedendo che esse diventassero un dominio personale del Colombo. Il primo motivo di urto fu la nomina nell'alcadia della fortezza di Santo Domingo, dove si insediò il C., ma che il re provvide ad affidare al tesoriere Miguel de Pasamonte per la consegna a Francisco de Tapia, nominatovi da Ferdinando. Dal governo del C. fu, in un primo tempo, esclusa l'isola di Portorico, nonostante gli accordi intercorsi tra Cristoforo e la Corona; si continuò, infine, a negargli il titolo di viceré (benché la moglie, donna Maria, fosse chiamata da tutti "la viceregina").
Come si è detto, con risoluzione del Consiglio reale del 5 maggio 1511, intesa a garantire al re la sovranità effettiva sulle Indie, le attribuzioni del C. furono limitate all'amministrazione della giustizia nella Hispaniola e nelle altre isole scoperte da Cristoforo: a lui spettava il compito di giudicare in prima istanza gli appelli interposti contro le sentenze emanate dagli alcadi ordinari, mentre ai giudici, di nomina regia era riservato il giudizio in seconda istanza. Sulla base di questa decisione, il re provvide a nominare i tre giudici di appello, che formarono la prima Audiencia real di Santo Domingo. La reazione del C. fu energica e tesa a frapporre ostacoli all'effettivo esercizio del potere regio, tanto che Ferdinando dovette intervenire (1512), rimproverandolo aspramente per la sua condotta.
A questo periodo risale la costruzione in Santo Domingo dell'"Alcazar" o "Casa morada", il grandioso palazzo che il C. volle fosse edificato in riva al fiume Ozama e nel quale egli risiedette dal 1512.
Ferdinando separò l'istmo di Darién in due province, la Nuova Andalusia nella parte occidentale, assegnandovi come governatore Alonso de Hojeda, e la Castilla del Oro, corrispondente alla provincia di Veragua, assegnata a Diego de Nicuesa. Ignorando i diritti spettanti ai successori di Cristoforo, che per primo aveva toccato tale terra, l'Hojeda e il Nicuesa ebbero, nonostante le proteste del C., patenti regie per colonizzare la regione. Nella Hispaniola, intanto, si formarono ben presto due partiti, uno fedele al C. e, l'altro, il "partido del Rey", capeggiato dal tesoriere Miguel de Pasamonte, ingrossato anche dagli ultimi superstiti della banda di Francisco Roldán e sostenuto in Spagna da Juan Rodriguez de Fonseca, avversario implacabile del C., come lo era già stato di suo padre. Un altro durocolpo alle prerogative dei C. fu portato dalle leggi di Burgos (27 dic. 1512), in cui si stabilì che il diritto di assegnare encomiendas, tradizionalmente spettante al governatore, fosse a lui tolto.
Deciso a difendersi personalmente a corte dalle calunnie del Pasamonte, il C. si imbarcò per la Spagna verso la fine del 1514 o agli inizi del 1515, lasciando a Santo Domingo donna Maria. Accolto cordialmente a corte, ottenne che il re avocasse a sé tutti i processi che venivano discussi nella causa; alla sua richiesta di vedere riconosciuta parte dei guadagni che si ricavavano dalla Castilla del Oro, perché scoperta dal padre, Ferdinando ordinò che si interrogassero i marinai che avevano accompagnato l'ammiraglio nel suo ultimo viaggio, sperando di dimostrare che egli non aveva toccato le coste del Darién.
La morte del re (23genn. 1516) aggravò la situazione processuale, perché il cardinale Ximenes, incaricato di dirimere la questione, non pronunciò nessuna sentenza definitiva, ma si limitò a sospendere l'Audiencia di Santo Domingo; nell'isola furono inviati Luis de Figueroa, priore del monastero di S. Juan de Ortega, Bernardino de Manzanedo e Alonso di S. Domingo, padri dell'Ordine di S. Gerolamo, con la carica di "commissari del re circa le cose riguardanti le Indie". Essi formalmente dovevano occuparsi dei problemi relativi agli Indiani, ma in pratica furono governatori a tutti gli effetti, benché il C. non venisse esautorato (1516).
Il nuovo re Carlo fu prodigo di onori verso di lui: nel 1518 lo inviò a Saragozza perché accogliesse gli ambasciatori genovesi Battista Lasagna e Tedisio de Camilla; l'anno seguente lo nominò nella Junta magna di Barcellona, presieduta dallo stesso Carlo; sempre in quest'anno, il C. presenziò alla discussione solenne in cui Bartolomeo de Las Casas difese la causa degli Indiani; nel 1520 accompagnò l'imperatore fino a La Coruña per l'imbarco verso le Fiandre. Per il C. continuarono tuttavia le liti giudiziarie tese ad ottenere la completa reintegrazione dei diritti spettanti al padre, senza che si arrivasse a nulla di concreto. Carlo si limitò a trattenerlo presso di sé, almeno fin quando la caduta in disgrazia dei frati di S. Gerolamo permise al C. (1520) di ritornare a Santo Domingo. Qui destituì molti governatori che approfittando della sua assenza, si erano resi indipendenti; provvide ad abbellire la città; aumentò i territori a lui sottoposti e soffocò la prima rivolta di schiavi (1522).
Infatti, notevole importanza economica stava assumendo la coltivazione della canna da zucchero, nelle cui piantagioni lavoravano schiavi negri portati dall'Africa e soggetti a terribile sfruttamento. Proprio nella piantagione del C. scoppiò (dicembre 1522) una rivolta che si allargò a macchia d'olio alle altre piantagioni dell'isola: il C. provvide, però, a soffocarla con crudele energia.
Intanto, presso la corte continuavano a levarsi nuove accuse contro di lui, tanto che nel 1523 il Consiglio delle Indie gli intimò di ritenersi privato dei suoi privilegi e abolì le innovazioni da lui introdotte. Il C., pertanto, partì nuovamente per la Spagna il 16 sett. 1523; sbarcato a Sanlúcar e raggiunta la corte a Vitoria, egli riuscì in parte a convincere Carlo, che provvide a nominare una giunta, presieduta dal cardinale Loaisa, suo confessore, col compito di inquisire sulle controversie tra il C. e il fisco e sulle procedure che avevano già avuto luogo davanti al Consiglio delle Indie. Il lavoro della giunta andò per le lunghe: per due anni il C. fu costretto a seguire gli spostamenti della corte a Vitoria, Burgos, Valladolid, Madrid, Toledo. Nell'inverno 1525 Carlo si accingeva a partire da Toledo per Siviglia, per celebrare le sue nozze con l'infanta Isabella del Portogallo. Benché malato, il C. decise di seguire la corte. L'Oviedo, che lo visitò a Toledo due giorni prima della sua partenza, cercò di convincerlo a desistere, ma inutilmente. Partito su una lettiga, il C., dopo essersi confessato, giunse il 21 febbr. 1526 alla Puebla de Montalbán, dove morì il 26 dello stesso mese, in casa del suo amico don Alonso Tellez Pacheco.
Da donna Maria ebbe quattro figlie e tre figli: Felipa, che vestì l'abito monacale, Maria, che sposò don Sancho de Cardona, Juana, sposata a don Luis de la Cueva, Isabel, sposata a don Jorge del Portogallo, Luis (terzo ammiraglio delle Indie e morto ad Orano nel 1572, dove era stato relegato con l'accusa di poligamia), Cristóbal, da cui discendono i duchi di Veragua per il suo matrimonio con donna Aria de Pravia, e Diego, morto senza successione. Il C. ebbe anche figli naturali: prima del suo matrimonio con donna Maria, ebbe una relazione con una giovane di Burgos, Costanza Rosa, e più tardi con la vedova Isabel Samba. Da Costanza ebbe un figlio, ricordato dal C. nel suo testamento del 1509 e morto, secondo l'Oviedo, nella sfortunata spedizione che Cristóbal de la Peña guidò nel tentativo di colonizzare il territorio di Veragua (1546). Cristoforo, il figlio avuto da Isabel, fu dichiarato crede di un quinto dei beni del C. nel suo testamento del 1523. Il C. stese due testamenti, il primo a Las Cuevas di Siviglia il 16 marzo 1509, il secondo a Santo Domingo l'8 sett. 1523 e aperto il 2 maggio 1526. I diritti relativi ai titoli ottenuti dal C. passarono al primogenito don Luis, che fu assistito dalla madre, donna Maria, e dallo zio Fernando per ottenerne il riconoscimento. Finalmente, il 28 giugno 1536 tra i Colombo e il cardinale Loaisa, presidente del Consiglio delle Indie, si ebbe un compromesso, in base al quale a Luis toccò il titolo di ammiraglio delle Indie, ma non quello di viceré, una rendita annua di 10.000 ducati e i titoli di duca di Veragua e di marchese della Giamaica, in cambio della rinuncia ad ogni altra pretesa.
Fonti e Bibl.: M. Fernández de Navarrete, Colección de los viages y descubrimientos que hicieron por mar los Españoles, Madrid 1825-29, 1, pp. CXLVII, CXLIX, 314, 325 s., 330, 333-352; II, pp. 17, 220, 227-234, 295 s., 309 s., 312-316, 319, 322-337, 363 ss.; III, pp. 525-28, 531 ss., 538; Memorial de don Diego Colón, Virrey y Almirante de las Indias, a S. C. C. el Rey don Carlos sobre la conversión e conservación de las gentes de las Indias, a cura di H. Stevens, Londres 1854; D. Colombo, Memoriale con nota sulla bolla di Alessandro VI del 4 maggio 1493, a cura di V. Promis, Torino 1869; Colección de documentos inéditos relativos al descubrimiento, conquista yorganisación de las antiguas posesiones españolas de Ultramar, s. 2, I, Isla de Cuba, Madrid 1885, pp. 1, 15, 36, 38, 55, 107, 111, 141, 147, 187, 252, 338, docc. 1, 2, 8, 15, 57, 59, 76; VII, Pleitos de Colón, ibid. 1892, pp. V-VIII, XI, XX ss., 1 s., 6, 17 s., 21 s., 24 s., 42, 47, 52, 68, 75, 78, 232, 292, 321, 327, 343, 362, docc. 2, 4-8, 12, 16, 17, 19, 20, 22, 24, 25, 27-32, 36, 39, 41, 42, 44, 45, 47-54, 56; VIII, Pleitos de Colón, ibid. 1894, pp. IX, XIV, 2-5, 16, 18, 33, 61, 191, 308, 310, 330, docc. 67, 68, 74, 75, 76, 80, 82-91, 93, 94, 102, 103, 106, 107, 108, 111, 116-121, 123, 125-130, 132, 134, 138-151, 153-156, 158, 159, 161-170, 172, 173, 176, 177, 178, 181-186, 189, 191, 192, 200; Documentos escogidos del Archivo de la Casa de Alba, Madrid 1891, pp. 205 s., 225; Colección de documentos inéditos para la historia de España, CIV, Madrid 1892, pp. 347-352; Documenti relativi a C. Colombo e alla sua famiglia, a cura di L. T. Belgrano-M. Staglieno, in Racc. di doc. e studi pubbl. dalla R. Commissione colombiana, II, 1, Roma 1896, pp. 51, 56-61, 63 ss., 69, 73-78; docc. LXXXXIIII, LXXXXVIIII, CIII, CX, CXIIII-CXVII; B. de Las Casas, Historia de las Indias, in Biblioteca de autores españoles, a cura di J. P. de Tuleda, I-II, Madrid 1957-61, ad Ind.; W.Irving, Storia della vita e dei viaggi di C. Colombo, Genova 1821, I, pp. 63, 66, 69, 97; III, pp. 25, 69, 71 s., 80, 82, 84, 93; IV, pp. 6 s., 11 s., 15, 18 ss., 26 s., 30 ss., 50-69, 74, 89, 110, 116; B. Pallastrelli, Il suocero e la moglie di C. Colombo, Modena 1871, pp. 18, 21, 26, 29; C. Fernández Duro, Colón y Pinzón, in Memorias de la Real Academia de la Historia, X, Madrid 1883, pp. 165, 175, 178, 180, 182, 192, 197 ss., 208 s., 211 s., 222, 224-227, 245 s., 270, 283; Id., Colón y la historia póstuma, Madrid 1885, pp. 38, 62, 75-111, 113 s., 157 s., 191, 204; P. Peragallo, C. Colombo e la sua famiglia, Lisboa 1889, pp. 59, 96, 108 s., 112, 128 s., 136 s., 148 s., 182 s., 190, 193, 227 ss., 244, 253, 259 ss., 309, 312, 316; F. Tarducci, Colombo al convento della Rábida, in Colombo e il IV centenario della scoperta dell'America, Milano 1892, p. 11; J. M. Asensio, M. A. Pinzón, Madrid s. d. [ma 1892], pp. 154, 158, 211; C. De Lollis, Illustrazione, in Scritti di C. Colombo, in Racc. di doc. e studi pubbl. dalla R. Commissione colombiana, I, 2, Roma 1894, pp. XVIII, XXVII, XLIII, LVII, LIX-LXXVIII, LXXXI, XCV s., C-CXVIII, CXXI, CXXVII, CXXIX s., CXXXIII s., CXLIV ss., CXLVIII-CLIII, CLXVII s., docc. XXXVI, XXXXVII-LII, LIV, LVI-LVIII; A. Altolaguirre, C. Colón y Pablo del Pozzo Toscanelli, Madrid 1903, pp. 213, 217-220, 224-253, 257, 259 s., 262-266, 269-275, 277-282; P. Revelli, C. Colombo e la scuola cartogr. genovese, Genova 1937, pp. 5, 182, 229, 438, 484; R. Almagià, I primi esplor. dell'America, Roma 1937, ad Ind.; D. L. Molinari, La empresa colombina, Buenos Ayres 1938, pp. 133, 136 s., 139, 173; E. Lunardi, L'import. del monastero de la Rábida nella genesi della scoperta dell'America, in Studi colomb., II, Genova 1951, pp. 457-60; R. Nieto y Cortadellas, Los descendentesde C. Colón, La Habana 1952, pp. 5-8; A. Melón y Ruiz de Gordejuela, Los primeros tiempos de lacolonización: Cuba y las Antillas, in Historia deAmérica, VI, Barcelona-Buenos Ayres 1952, pp. 220-225, 231, 233, 237, 248, 253, 255, 257, 260 ss., 271, 274, 278, 292 s., 298; R. L. Lovatón, Reconstrucción del alcázar de don Diego Colón, inEl faro à Colón, VI (1955), pp. 11-15; E. Tejera, El palacio de don D. Colón in Santo Domingo, ibid., pp. 41-59; R. Pichardo, El alcazar de donD. Colón, ibid., pp. 60-64; O. Schoenrich, El alcazar de D. Colón, ibid., VII (1956), pp. 19-25; S. Lamela Geler, Reconstrucción del alcázar opalacio del almirante, ibid., VIII (1957), pp. 19-28; R. Nieto y Cortadellas, D. C., ibid., VIII (1957), pp. 29-31; D. G. Martini, L'uomo daglizigomi rossi, Genova 1974, ad Indicem; P.E. Taviani, C. Colombo. La genesi della grande scoperta, Novara 1974, I-II, ad Indicem; A.Gerbi, La natura delle Indie Nuove. Da C. Colombo aGonzalo Fernández de Oviedo, Milano-Napoli 1975, ad Indicem.