CARPITELLA, Diego
Nacque a Reggio di Calabria il 12 giugno 1924. Il padre, Salvatore, era colonnello dell’esercito; la madre, Rosa, maestra elementare, era nata a Pantelleria, dove il giovane Carpitella passò molte lunghe estati, serbandone tenace e affettuosa memoria. Coniugato con Stefania Testa, danzatrice (docente all’Accademia Nazionale di Danza fino al 2007 e attualmente direttrice del Centro di Danza Mimma Testa), ebbe due figlie, Valentina, nata nel 1969, e Sara, nel 1970, anch’esse danzatrici. Studioso e fondatore, con Roberto Leydi, della moderna etnomusicologia in Italia.
Fin dagli inizi di un’attività professionale quarantennale Carpitella s’impose come un intellettuale ‘a tutto campo’, ricordato per aver contribuito in maniera significativa al dibattito culturale italiano del dopoguerra, per la spiccata passionalità nella ricerca, per la grande curiosità intellettuale che lo portava a preferire l’indagine su campi nuovi o fino a quel momento poco esplorati, soprattutto in Italia (dall’etnomusicologia alla cinesica culturale alla cinematografia scientifica), per una profondità di pensiero e di formazione culturale che gli consentivano di intervenire in termini marcatamente interdisciplinari nelle questioni di cui si occupava, per l’atteggiamento personale assai poco paludato, propenso all’empatia con le persone con cui veniva a contatto, per la forte attenzione alla divulgazione e alla didattica, che hanno fatto di lui un maestro per un’intera generazione di studiosi.
Trascorsa a Reggio l’infanzia, nella quale iniziò a studiare il pianoforte, tredicenne si trasferì a Roma, dove, assieme agli studi liceali e ad attività sportive, tra cui il volo a vela, proseguì una formazione musicale con esperienze «discontinue e disordinate», com’egli stesso ha dichiarato (D. Carpitella, Un ritratto dal vivo, in Conversazioni sulla musica, Firenze 1992, p. 205), parallelamente a quella scolastica e universitaria, tra cui figurano un anno di Accademia Militare Aereonautica e alcuni esami di ingegneria, prima dell’iscrizione alla Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Roma La Sapienza, dove si laureò nel 1947 con una tesi in musicologia dal titolo Il realismo di Musorgskij, relatore Luigi Ronga. Subito dopo la laurea intensificò gli studi musicali; tra gli altri suoi insegnanti vi fu Ottavio Ziino per la composizione.
Nel Conservatorio di Santa Cecilia a Roma insegnò Letteratura poetica e drammatica (1952-1973), indi tenne il corso straordinario di Storia e tecnica del canto popolare (1973-1976). Fu anche docente incaricato di Storia della danza all’Accademia Nazionale di Danza (1953-1963); nell’anno accademico 1957-58 tenne un corso di Etnomusicologia nell’Istituto di Pedagogia della Facoltà di Magistero dell’Università di Roma, e nel 1969-70 un analogo corso nell’Istituto di Sociologia della stessa Facoltà. Nel 1968 conseguì, primo in Italia, la libera docenza in Etnomusicologia e insegnò Storia della musica nella Libera Università Abruzzese di Chieti (1968-1970). Dal 1970 alla morte insegnò nella Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Roma La Sapienza, dapprima come professore di Storia delle tradizioni popolari, dirigendo anche l’istituto omonimo, e dal 1976 come titolare di Etnomusicologia, dopo aver vinto il concorso a cattedra, il primo mai bandito per questa disciplina nelle università italiane.
Fin dagli anni Cinquanta, Carpitella condusse importanti ricerche sulla musica italiana di tradizione orale, rifacendosi a un’impostazione di studio che si era sviluppata soprattutto nell’Est europeo, Béla Bartók e Constantin Brăiloiu in testa. Lui stesso ha raccontato più volte della fascinazione per Bartók, che lo indusse a proporre a Ernesto De Martino, allora curatore della celebre collana ‘viola’ di ricerche antropologiche e di storia delle religioni per Einaudi, un’edizione italiana degli Scritti sulla musica popolare. In seguito a questo incontro capitale Carpitella iniziò a collaborare con De Martino, innanzitutto in Lucania, nel 1952. In questa ricerca, incentrata sullo studio del lamento funebre, raccolse un’importante documentazione sonora sui canti legati al ciclo della vita, in una prospettiva di antropologia musicale ante litteram che metteva in relazione le musiche con il loro contesto storico e sociale. Fondamentale fu poi la ricerca sul tarantismo salentino, condotta sempre in seno a una équipe coordinata da De Martino nel 1959-60: Carpitella approfondì il ruolo della danza e della musica in questa forma di meloterapia tradizionale, all’epoca ancora in uso nel meridione d’Italia.
In queste ricerche Carpitella esplorò le specifiche modalità esecutive che caratterizzavano il canto e la musica strumentale agro-pastorale. In una prospettiva innovativa e simpatetica con il ceto rurale meridionale – nel solco di un movimento culturale e politico che poneva al centro dell’attenzione la cosiddetta ‘questione meridionale’, e sulla scia del Cristo si è fermato a Eboli di Carlo Levi – investigò la relazione tra alcuni repertori musicali e i comportamenti rituali e sociali dei contadini del sud d’Italia.
Altra ricerca fondamentale di quel periodo fu l’imponente campagna di registrazioni condotta assieme all’etnomusicologo statunitense Alan Lomax (1915-2002) dal 2 luglio 1954 al 13 gennaio 1955, che produsse la raccolta di oltre mille registrazioni sul campo, svelando per la prima volta agli ambienti intellettuali italiani l’enorme quantità di stili, pratiche e repertori musicali dell’Italia contadina preindustriale. Primo fondamentale risultato di questa raccolta furono i due microsolco pubblicati dalla Columbia nel 1957 (Northern and Central Italy and the Albanians of Calabria, Columbia KL.5173; Southern Italy and the Islands, Columbia KL.5174). Quel viaggio avventuroso e pionieristico a bordo di un pulmino Volkswagen nel quale alle volte capitava di doverci pure dormire fu la vera e propria ‘scoperta’ di un mondo sonoro e culturale inaspettato, e come tale ricorre poi più volte come un passaggio fondamentale del percorso professionale nei racconti sia di Carpitella sia dello stesso Lomax (cfr. Lomax, 2008).
Sullo sfondo di queste ricerche ci fu la costante partecipazione di Carpitella alle attività del Centro nazionale di Studi di musica popolare (CNSMP), fondato nel 1948 da Giorgio Nataletti nell’Accademia nazionale di Santa Cecilia, con la collaborazione della RAI. Carpitella, che negli anni Cinquanta fu assistente alla direzione e contribuì al CNSMP con numerose raccolte di registrazioni da lui effettuate, nel 1984 divenne accademico di Santa Cecilia e nel 1989 fu nominato conservatore del Centro (da lui ridenominato Archivi di etnomusicologia), avviando un progetto di rifondazione e di rilancio che per la prematura scomparsa non poté portare a compimento.
Le registrazioni delle ricerche condotte con De Martino confluirono nel CNSMP: la raccolta 18 per la ricerca sulla Lucania (cfr. Adamo, 2012), le raccolte 48 e 53 per le ricerche in Salento (cfr. Agamennone, 2005), così come copie della documentazione sonora raccolta nella campagna di ricerca con Lomax confluite nella raccolta 24 (contraddistinta da lettere corrispondenti alle diverse regioni italiane, fino alla lettera T; cfr. W. Brunetto, 1995).
Attraverso queste ricerche Carpitella poté individuare e descrivere procedimenti esecutivi, moduli scalari, timbri vocali e strumentali propri della musica italiana di tradizione orale che, fino ad allora sconosciuti, rivelarono una robusta (e a quel tempo insospettata) autonomia culturale rispetto alla tradizione colta e anche ecclesiastica, come Carpitella appassionatamente sottolineò in una celebre polemica con Massimo Mila apparsa sul Notiziario Einaudi (Esiste in Italia un fondo di musica popolare indipendente dalla tradizione ‘colta’? Una discussione sul libro di Béla Bartók, in Notiziario Einaudi, V (1956), 1-2, pp. 7-10).
Un’altra proposta critica importante che Carpitella elaborò negli anni Cinquanta fu l’attribuzione del ‘canto popolare’ a fasce socio-culturali distinte, separando, entro una fino ad allora indistinta categoria di ‘musica popolare’, i repertori e gli stili che appartenevano a una fascia sociale artigiano-urbana (popolaresca) da quelli che invece appartenevano a una fascia agro-pastorale (folklorica); col che contribuì ad orientare e caratterizzare significativamente dal punto di vista del metodo anche i successivi studi compiuti sui repertori musicali italiani di tradizione orale (cfr. le sue Considérations sur le folklore musical italien dans ses rapports avec la structure sociale du pays, in Journal of the International Folk Music Council, XI (1959), pp. 66-70).
Dalla fondazione, Carpitella fu anche consulente e ispiratore delle ricerche dell’Archivio etnico linguistico-musicale (AELM) istituito nel 1962 nella Discoteca di Stato (l’odierno Istituto centrale per i Beni sonori ed audiovisivi), altro importante centro di livello nazionale per la documentazione sonora delle musiche italiane di tradizione orale.
Impegnato, non senza atteggiamenti critici, sul fronte della riproposta del folklore musicale, collaborò come consulente a Sentite buona gente, uno spettacolo promosso da Roberto Leydi con la regìa di Alberto Negrin al Piccolo teatro di Milano nella stagione 1966-67: con scelta fortemente innovativa, sul palcoscenico vennero condotti gli effettivi detentori del folklore musicale, ossia i cantori e i suonatori popolari, senza la mediazione di musicisti terzi. Carpitella scrisse anche ripetutamente – fin dal 1955 – riflessioni illuminanti, e oggi sempre più attuali, circa le relazioni tra musica popolare e musica di consumo, rilevando la profonda diversità nella natura dei due fenomeni e la necessità d’individuarne le differenze. La musica popolare era frutto di una creazione collettiva, a tradizione orale, con funzionalità, intonazioni, ritmi e tecniche espressive diversi da quelli della musica d’arte. La musica di consumo risultava invece da una stilizzazione e da un adeguamento ‘normalizzante’ al linguaggio musicale ‘euroculto’ (per dirla con un termine spesso usato da Carpitella) a fini spettacolari e appunto ‘di consumo’, per un mercato che si sviluppa attraverso i media. Importanti ancor oggi sono poi le sue riflessioni critiche sul diritto d’autore nell’àmbito delle musiche di tradizione orale.
Altro tema fondamentale nel percorso di ricerca di Carpitella fu l’indagine sulle relazioni tra musiche di tradizione orale e musica d’arte. Fin dai primi anni Sessanta, Carpitella si interessò a come i compositori del secolo XX concepissero e utilizzassero le musiche di cui si occupa l’etnomusicologia, e individuò atteggiamenti improntati all’esotismo e al primitivismo (vuoi lessicale vuoi psicologico) in musicisti che alle musiche extraeuropee si rivolgevano nell’intento di emanciparsi dal linguaggio dell’armonia tonale (Il primitivo nella musica contemporanea, in Terzo Programma, I (1961), pp. 217-256). Su questo tema tornò ripetutamente: negli ultimi anni, in particolare, contrappose l’atteggiamento primitivista dei compositori dei primi del Novecento a quello dei compositori dei suoi giorni, calati in un contesto dove si era ormai instaurata una circolazione delle musiche e un’informazione interculturale sempre più ampia, e ciò anche grazie alle ricerche degli etnomusicologi.
Un altro tema ripetutamente affrontato da Carpitella, relativo ai rapporti tra musica d’arte e musiche di tradizione orale, fu la riflessione su musicisti e popolo. In particolare, problematizzò il concetto di ‘popolarità’ del melodramma ottocentesco, chiarendo come tale categoria concettuale andasse distinta e articolata per meglio comprenderne l’àmbito di diffusione e d’influenza sia verso l’alto sia verso il basso: riflessione originale e a tutt’oggi insuperata, che Carpitella poté sviluppare grazie alla profonda conoscenza dei repertori sia colti sia popolari d’Italia, così come della nostra storia sociale (cfr. D. Carpitella, Musicisti e popolo nell’Italia romantica e moderna, in Conversazioni sulla musica, Firenze 1992, pp. 81-165).
Carpitella fu scrittore prolifico: la sua bibliografia annovera oltre 200 scritti, oltre alla pubblicazione di numerose registrazioni sonore e di filmati, e senza contare la vasta attività di pubblicista. Lungo l’arco della sua carriera scientifica, seguendo un’indole che preferiva spesso l’oralità e la comunicazione diretta con gli interlocutori – lo testimonia la sua lunga militanza radiofonica –, predilesse forme di trasmissione della propria ricerca basate più su brevi scritti che su ampie monografie: stilò molte prefazioni, presentazioni e introduzioni che con lucidità e profondità di pensiero affrontano questioni importanti, illuminandole di nuova luce. Altra sua caratteristica, forse derivata dagli inizi con De Martino e con Lomax, fu di prediligere le collaborazioni e il lavoro in équipe. Tale carattere hanno anche alcune rilevanti ricerche monografiche che, condotte (o portate a compimento) negli anni Settanta, in tre contesti molto diversi diedero, oltre ai risultati specifici, importanti indicazioni di metodo per lo studio del folklore musicale italiano.
Nel 1973 uscì nella collana Albatros (direttore Roberto Leydi) la monografia Musica sarda: canti e danze popolari redatta in collaborazione con Pietro Sassu e il linguista Leonardo Sole: i diversi repertori dell’isola vengono presentati in un cofanetto di tre LP, mentre un volume allegato tratta questioni riguardanti i repertori stessi, le modalità d’esecuzione e la relazione tra testo verbale cantato e intonazione musicale. In particolare, Carpitella affrontò qui un tema che ricorre spesso nelle sue riflessioni: la questione delle modalità d’esecuzione considerate come elemento caratterizzante del folklore musicale. Il fatto che i canti fossero eseguiti a voce sola o a più voci, maschili ovvero femminili, con o senza accompagnamento di strumenti, non è casuale bensì «frutto di una cristallizzazione formale accettata ed acquisita dalla comunità» (D. Carpitella, I modi di esecuzione, in D. Carpitella - P. Sassu - L. Sole, Musica sarda: canti e danze popolari, pubblicazione con 3 LP; Albatros VPA 8150-8152, 1973, nuova edizione 2010, p. 7). Altro concetto presentato da Carpitella in questo scritto, e altro suo tema ricorrente, è la descrizione di un sistema musicale di tradizione orale che si fonda sulle «microvarianti (non soltanto melodiche, ma anche ritmiche, dinamiche, timbriche)» (p.9), principio che altrove definì ‘iterazione micro-variante’.
Nel 1977 apparve Musica contadina dell’Aretino, lavoro curato in collaborazione con Marcello Debolini e Lapo Moriani, costituito anch’esso di tre LP e un ampio volume allegato, che concludeva un’indagine avviata negli anni Sessanta sui repertori musicali (ottava rima, canti narrativi, canti rituali) del mondo contadino in provincia di Arezzo (Albatros VPA 8286-88).
Sempre negli anni Settanta, Carpitella diresse un’estesa ricerca sul campo sulle musiche contadine delle province ‘interne’ della Campania (Avellino, Benevento, Salerno) finanziata dall’Istituto Storico Germanico, dal CNR e dall’Università di Roma La Sapienza. La ricerca, confluita oggi nella raccolta n. 136 degli Archivi di Etnomusicologia dell’Accademia di Santa Cecilia, consta di oltre mille documenti sonori (cfr. S. Biagiola 1993; A. Ricci 1999-2000). Esito a stampa di tale ricerca fu il saggio sul doppio flauto, Der “Diaulos des Celestino”, apparso nel 1975 su Die Musikforschung.
Carpitella, soprattutto a partire dagli anni Settanta, si dedicò con energia alla sistemazione istituzionale dell’etnomusicologia italiana, riuscendo nell’obiettivo di farne una disciplina autonoma e a conferirle dignità accademica, con il concorso di altri studiosi, primo fra tutti Roberto Leydi. Tappe fondamentali di questo percorso furono il primo convegno di studi etnomusicologici in Italia da lui promosso a Roma nel 1973 (gli atti, da lui curati, uscirono col titolo L’etnomusicologia in Italia, Palermo 1975): vi parteciparono, oltre a studiosi di etnomusicologia, alcuni tra i maggiori musicologi e antropologi italiani. In occasione di questo convegno fu fondata la Società italiana di etnomusicologia (SIE), di cui Carpitella fu presidente e animatore fino a metà degli anni Ottanta; ne diresse l’organo periodico, Culture musicali, che fino alla cessazione (1990) è stato un punto di riferimento essenziale per la disciplina. Il percorso di stabilizzazione e riconoscimento istituzionale proseguì a livello accademico quando nel 1976 Carpitella divenne titolare della prima cattedra di Etnomusicologia istituita in un’università italiana.
Fin dalle prime ricerche Carpitella palesò un particolare interesse per la documentazione filmata: nel 1960 effettuò la prima ripresa cinematografica della terapia coreutico-musicale del tarantismo salentino. Per tutta la vita approfondì questo interesse, realizzando importanti documentari di antropologia ed etnomusicologia visiva, ritenendo che la documentazione audiovisiva fosse fondamentale nello studio di fenomeni delle culture di tradizione orale, nelle quali il suono non si lascia scindere dal gesto con cui viene emesso né dal suo contesto: «L’immagine fornisce gli elementi della performance: corpo, postura, tecnica di esecuzione, forma e misura dello strumento, tecniche vocali, materiali per strumenti, prossemica dell’esecuzione, contesto naturale e sociale, differenziazione tra interpreti e spettatori, partecipanti o no; definizione del livello sociale; insediamento e caratteri geoantropici, ecc. Tutte denotazioni che naturalmente possono essere scritte, fotografate, registrate per il suono, ma che non possono dare la quantità d’informazioni così verosimili» (D. Carpitella, I seminari di etnomusicologia a Siena, in Ethnomusicologica, Siena 1989, p. 18). Si possono ricordare, in particolare, i filmati sulla Cinesica culturale (Cinesica 1 Napoli, 1973; Cinesica 2 Barbagia, 1974), prodotti dall’Istituto Luce, e la serie ‘I suoni’, realizzata per la terza rete RAI nel 1981-82 (Is launeddas; Calabria: zampogna e chitarra battente; Emilia Romagna: brass band della Padana). Negli ultimi anni Carpitella curò una collana di documenti audiovisivi uniconcettuali denominata MIV (Musica & Identità / Video) prodotti dalla Discoteca di Stato. Nominato nel 1984 presidente della Società italiana di Cinematografia scientifica, ideò e promosse numerose rassegne di film etnografici, tra cui la serie dei MAV (Materiali di antropologia visiva) presso il Museo nazionale delle Arti e Tradizioni popolari di Roma.
Carpitella fu attento e sollecito maestro di un’intera generazione di ricercatori, impegnati oggi nella didattica dell’etnomusicologia, nelle università, nei conservatori e in altre istituzioni. Assieme alle lezioni universitarie, altro importante momento formativo di cui Carpitella fu ispiratore e animatore furono i Seminari internazionali di etnomusicologia da lui promossi, a partire dal 1977 per oltre un decennio, nell’Accademia musicale chigiana, divenuti punto di riferimento per giovani studenti e studiosi che a Siena poterono confrontarsi, sotto la sua guida, con i principali temi del dibattito etnomusicologico internazionale e con insigni esponenti europei e statunitensi della disciplina. Traccia di questa attività si trova nel volume Ethnomusicologica (Siena 1989), da lui curato. Carpitella fornì poi un importante supporto alla promozione e divulgazione della conoscenza delle musiche di tradizione orale in Italia anche mediante la collaborazione con il festival Musica dei Popoli, dal 1979 promosso a Firenze dalla FLOG (Fondazione lavoratori officine Galileo). Promosse e diresse inoltre una collana discografica, denominata ‘I Suoni’, edita dalla Fonit Cetra, caratterizzata dall’ampio e analitico corredo critico nei libretti allegati.
Pur avendo condotto ricerche quasi esclusivamente in àmbito italiano e pubblicato perlopiù in lingua italiana, Carpitella fu attento e partecipe interlocutore nel dibattito etnomusicologico internazionale. Ha promosso (e a volte curato di proprio pugno) la traduzione di scritti fondamentali dell’etnomusicologia europea e statunitense, corredandola spesso di lucide, illuminanti introduzioni: tra questi, gli Scritti sulla musica popolare di Béla Bartók (Torino 1955), La musica nel mondo antico: Oriente e Occidente (Firenze 1963) e Le sorgenti della musica di Curt Sachs (Torino 1979), Origine degli strumenti musicali di André Schaeffner (Palermo 1978), Folklore musicale I e II di Constantin Brăiloiu (Roma 1978, 1982), Antropologia della musica di Alan Merriam (Palermo 1983). Nel 1989 Carpitella è stato nominato Honorary Life Member dello European Seminar in Ethnomusicology, e per lungo tempo ha fatto parte dell’advisory board nello Internationales Institut für vergleichende Musikstudien und Dokumentation di Berlino.
Fin dagli inizi della carriera Carpitella fu fortemente impegnato nel campo della critica musicale militante, della pubblicistica e della divulgazione. Traccia di questa importante produzione, in gran parte risalente agli anni Cinquanta ma proseguita sino agli ultimi anni di vita, sono le decine di articoli, critiche di concerti e spettacoli, recensioni di libri, dischi e campagne di ricerca etnomusicologica pubblicate nei quotidiani L’Unità (dal 1950) e poi in Paese sera, Il Messaggero, Il Manifesto, e in riviste come Noi donne, Vie nuove, Il Contemporaneo, Radiocorriere ecc. (cfr. Tucci, 1999-2000). Molto estesa fu anche l’attività radiofonica, solo in parte documentata nel volume Conversazioni sulla musica (Firenze 1992), pubblicato postumo in suo onore a cura della Società italiana di Etnomusicologia.
Morì in seguito a un infarto il 7 agosto 1990.
Oltre agli scritti già citati, si ricordano: Gli studi sul folklore musicale in Italia, in Società, VIII (1952), 3, pp. 539-549; Una spedizione etnologica in Lucania, ibid., 4, pp. 735-739 (con E. De Martino); Sulla musica popolare molisana, in La Lapa, III (1955), 1-2, pp. 21-23; Prospettive e problemi nuovi degli studi di musica popolare in Italia, in Lares, XXII (1956), pp. 175-178; Ritmi e melodie di danze popolari in Italia, Roma 1956; L’esorcismo coreutico-musicale del tarantismo, in E. De Martino, La terra del rimorso, Milano 1961, pp. 335-372; Folk Music (Italian), in Grove’s Dictionary of music and musicians. Supplementary volume to the fifth edition, London 1961, pp. 135-154; Profilo storico delle raccolte di musica popolare in Italia, in Studi e ricerche del Centro nazionale studi di musica popolare dal 1948 al 1960, Roma 1961, pp. 37-58; Studio etno-musicologico della documentazione sonora, in E. Biocca, Viaggio tra gli Indi, III, Roma 1966, pp. 267-291; La musica nei rituali dell’argia, in C. Gallini, I rituali dell’argia, Padova 1967, pp. 291-307; La recherche ethnomusicologique et la musique du vingtième siècle, in Yearbook of the International Folk Music Council, II (1970), pp. 51-55 ; Introduzione, in Folklore e analisi differenziale di cultura. Materiali per lo studio delle tradizioni popolari, a cura di D. C., Roma 1976, pp. V-XXI; Musica e tradizione orale, Palermo 1973; Der “Diaulos des Celestino”. Über einen ethnomusikologischen Fund bei Neapel, in Die Musikforschung, XXVIII (1975), pp. 422-428; Le false ideologie sul folklore musicale, in D. C. et al., La musica in Italia, Roma 1978, pp. 207-239; I giullari e la questione della circolazione culturale nel medioevo,in Il contributo dei giullari alla drammaturgia italiana delle origini, a cura del Centro di studi sul Teatro medioevale e rinascimentale, Roma 1978, pp. 63-67; Jazz, in Enciclopedia del Novecento, III, Milano 1979, pp. 913-924; Il linguaggio del corpo e le tradizioni popolari: codici democinesici e ricerca cinematografica, in Il Dramma, LV (1979), 1, pp. 8-21; Pratica e teoria nel film etnografico italiano: prime osservazioni, in La Ricerca folklorica, II (1981), 3, pp. 5-22; Populismo, nazionalismo e italianità nelle avanguardie musicali italiane, in Chigiana, n.s., XXXV (1982), pp. 59-65; Etnomusicologia, in Diz. encicl. universale della musica e dei musicisti. Il lessico, II, Torino 1983, pp. 184-188; Dal mito del primitivo all’informazione interculturale nella musica moderna, in Studi musicali, XIV (1985), pp. 193-208.
M. Agamennone, Etnomusicologia italiana: radici a sud. Intervista a D. C. sulla storia dell’etnomusicologia in Italia, in SuonoSud, II (1989), 4, pp. 18-41; Id., Du folklore musical à l’ethnomusicologie. Entretien avec D. C., in Cahiers de Musiques traditionnelles, IV (1991), pp. 229-238 ; F. Giannattasio, L’attività etnomusicologica di D. C., in Lares, LVII (1991), pp. 93-109; R. Tucci, D. C.: bibliografia. Con un’appendice nastro-disco-videofilmografica, in Nuova rivista musicale italiana, XXVI (1992), pp. 523-572; S. Biagiola, Tredici raccolte sul folklore musicale in Campania (1972-1976): una nuova acquisizione degli Archivi di Etnomusicologia, in EM. Annuario degli Archivi di etnomusicologia dell’Accademia nazionale di Santa Cecilia, I (1993), pp. 191-197; W. Brunetto, La Raccolta 24 degli Archivi di Etnomusicologia dell’Accademia nazionale di Santa Cecilia, ibid., III (1995), pp. 115-187; A. Ricci, La raccolta 136 degli Archivi di etnomusicologia, ibid., VII-VIII (1999-2000), pp. 73-144; R. Tucci, D. C. “oltre l’accademia”: scritti su quotidiani e periodici culturali negli anni cinquanta e sessanta, ibid., pp. 7-39; M. Agamennone, L’eredità di D. C., in M. Agamennone - G.L. Di Mitri, L’eredità di D. C. Etnomusicologia, antropologia e ricerca storica nel Salento e nell’area mediterranea, Nardò 2003, pp. 13-39; Id., Musiche tradizionali del Salento. Le registrazioni di D. C. ed Ernesto de Martino (1959, 1960), Roma 2005, con 2 CD allegati; G. Giuriati, Introduzione, in Incontri di etnomusicologia. Seminari e conferenze in ricordo di D. C., a cura di G. Giuriati, Roma 2007, pp. IX-XVIII; A. Lomax, L’anno più felice della mia vita. Un viaggio in Italia (1954-1955), a cura di G. Plastino, Milano 2008; Musiche tradizionali in Basilicata. Le registrazioni di D. C. ed Ernesto de Martino, a cura di G. Adamo, Roma 2012, con 3 CD allegati.