ANGIOLETTI, Diego
Nato il 12 genn. 1822 a Rio d'Elba, entrò nella scuola di artiglieria di Livorno, donde usci il 5 ott. 1845 con il grado di sottotenente. Durante la guerra del 1848 combatté con le truppe toscane, distinguendosi il 29 maggio a Curtatone e all'indomani a Goito: il suo comportamento gli valse dal governo provvisorio toscano la promozione a capitano. Dopo la fuga del granduca, accompagnò il Montanelli a Fivizzano per approntare le difese in vista del pericolo di una invasione austriaca. Nel luglio 1849, tornato il granduca, fu mandato dal De Laugier a Roma per studiare i lavori di assedio eseguiti dall'esercito francese. Ma avendo la Restaurazione cassati tutti i gradi concessi dal governo provvisorio toscano, l'A. tornò tenente e riebbe il grado di capitano solo nel 1854. Il 20 genn. 1855 fu nominato aiutante di campo del tenente colonnello dell'esercito austriaco F. Ferrari da Grado,, incaricato del riordinamento dell'esercito toscano e promosso generale granducale, e lo coadiuvò attivamente in un'opera che valse realmente a dare una nuova fisionomia al piccolo esercito. Ma, non godendo del favore del granduca, l'A., promosso nel 1859 maggiore, fu trasferito, in fanteria, al comando di un battaglione. Creatosi nel 1859 il nuovo governo provvisorio di Toscana, l'A., subito promosso tenente colonnello, organizzò il 50 reggimento della divisione toscana, che sotto il gen. Ulloa era sul Mincio, alla fine di giugno, troppo tardi per partecipare attivamente alla guerra, sospesa improvvisamente dall'armistizio di Villafranca. Promosso colonnello, entrò nell'esercito italiano, dove, nel 1860, divenne maggior generale con il comando della brigata Livomo. Fu poi aiutante di campo del re Vittorio Emanuele II ed in seguito comandante della divisione territoriale di Bari. Tenente generale nel 1864, nel dicembre dello stesso anno accettò il ministero della Marina, che resse sino al giugno 1866, nei due gabinetti La Marmora.
Tale ministero era stato tenuto ad interim dal presidente del Consiglio, gen. A. La Marmora, dal 29 settembre, dopo il rifiuto dell'ammiraglio G. Longo. Si era in un momento di paurosa crisi finanziaria, e il La Marmora, persuaso che all'annessione del Veneto si sarebbe giunti per via diplomatica, si era adattato a un programma di falcidie sui bilanci militari; quello della marina avrebbe avuto una riduzione di dodici milioni e mezzo, pari almeno al 15 %.
L'A. si mise con impegno al nuovo lavoro, mostrando subito buoni propositi: mantenere salda la disciplina; curare una oculata amministrazione; migliorare Paddestramento di tutto il personale, in vista della trasformazione in corso del naviglio, in seguito alle esperienze della guerra di Crimea e, soprattutto, di quella di secessione americana; proteggere la marina mercantile. L'A. prese buoni provvedimenti specie; riguardo ai porti e ai cantieri. Con lui s'iniziò l'effettivo trasferimento della marina da guerra da Genova a La Spezia, che prima costituiva solo una base provvisoria, dipendendo in tutto da Genova. All'A. spetta. anche il merito di aver fatto iniziare gli studi per una grande base navale a Taranto; egli volle inoltre affidare alle industrie nazionali la costruzione delle navi da guerra e delle macchine motrici. Ma la preparazione della guerra soffrì delle economie del bilancio: la squadra fu ridotta a una semplice divisione navale, si ebbe una diminuzione drastica delle navi tenute in efficienza, mancarono le manovre di squadra, difettarono le altre esercitazioni. L'A. emanò molti regolamenti, nominò una Commissione incaricata di studiare i mezzi per migliorare le condizioni di vita deii marinai, ma gli ufficiali continuarono a essere scarsi, la disciplina rilassata, le navi navigavano troppo poco. All'approssimarsi della guerra dei 1866, le numerose unità ch'erano in disarmo furono armate in fretta, e frettolosamente si attuarono esercitazioni di manovre navali e di tiro. Solo ai primi dei dicembre 1865 l'A. affidò a una commissione di tre membri, presieduta dal contrammiraglio A. Anguissola, il compito di studiare "le varie operazioni marittime che una squadra potesse e dovesse compiere nell'Adriatico", nonché il "modo di attacco del littorale da Chioggia al Lido"; e, a metà aprile del 1866, incaricò la stessa commissione di compilare un regolamento per l'imbarco e lo sbarco di artiglieria, cavalli e truppe. Il 20 giugno l'A. lasciò il ministero della Marina per recarsi a sua domanda: in Lombardia, dove assunse il comando della ioa divisione, nel II Corpo d'armata, che sotto il gen. D. Cucchiari, aveva, dapprima, specialmente il compito di sorvegliare la piazza di Mantova.
Il 24 giugno mentre si combatteva la battaglia di Custoza, la 10ª divisione, giunta stanchissima a Goito alle tredici e mezzo, con l'ordine di spingere una brigata a Marmirolo verso Mantova, ricevette poco dopo personalmente dal gen. A. La Marmora, capo di S. M. dell'esercito, portatosi a Goito per assicurare la ritirata oltre il Mincio delle truppe da lui ritenute erroneamente in piena rotta, il contrordine di prendere posizione a nord-est di Goito, a Massimbona, sulla sinistra del fiume, nel timore che gli Austriaci potessero, occupata Valeggio, marciare di là lungo il Mincio per occupare Goito. Solo alle diciotto la divisione sì metteva in moto, e alle ventidue riceveva l'ordine di retrocedere a Goito. Così anche questa divisione, senza colpa della A., non esercitò alcuna influenza sullo svolgimento della battaglia. Ma se l'A. non poté mostrare le sue doti militari nel corso della campagna del '66, ebbe occasione di mettersi in luce poco dopo, nel reprimere la dolorosa insurrezione di Palermo scoppiata il 16 settembre. Per questa operazione egli venne decorato della commenda dell'ordine militare di Savoia.
Nel 1870 l'A., dopo aver comandato le divisioni territoriali di Piacenza e di Napoli, assunse il comando di una delle cinque divisioni (la 9ª), che, agli ordini del Cadorna, mossero alla liberazione di Roma. In base agli ordini ricevuti, svolse una vigorosa azione dimostrativa contro Porta San Giovanni e Porta San Sebastiano, mentre, com'è noto, l'azione principale si sviluppava fra Porta Pia e Porta Salaria. Fu questa l'ultima impresa guerresca dell'Angioletti. Nel 1873, a Napoli, si adoperò per domare il colera, scoppiato nell'autunno specialmente fra i soldati. Fu poi nominato membro e quindi presidente del Comitato delle armi di fanteria e cavalleria; sin dall'8 ottobre 1865 era stato nominato senatore. Collocato a riposo nel maggio '77, si ritirò in una sua villa a Sant'Anna presso Cascina, a una dozzina di chilometri da Pisa. Quivi morì il 29 genn. 1905.
Le memorie dell'A. furono pubblicate postume con il titolo: Alcune memorie della mia vita, Cascina 1904.
Fonti e Bibl.: Roma, Archivio del Museo Centrale del Risorgimento, Lettere di D. A. a E. Cosenz e a F. Sprozieri, buste 326, n. 33, e 503, n. 17/13; R. Cadorna, La liberazione di Roma nell'anno 1870, Torino 1898, pp. 178-180; A. Pollio, Custoza, Torino 1903, pp. 369-373; D. Guerrini, Come ci avviammo a Lissa, Torino 1907, pp. 255 s., 269, 306, 334, 438; L. Cadorna, Il generale Raffaele Cadorna nel Risorgimento italiano, Milano 1945, pp. 275 s., 308-313; M. Gabriele, La Politica navale italiana dall'unità alla battaglia di Lissa, Milano 1958, pp. 246-264; Diz. del Risorgimento naz., II, p. 76.