dicotomia classica
Teoria, sviluppata dagli economisti classici (➔ classica, economia), secondo cui le variabili macroeconomiche reali sono determinate indipendentemente da quelle nominali (➔ nominale). In altre parole, il livello dell’attività economica all’interno di un’economia non dipende da fenomeni puramente monetari, come il tasso di inflazione. Si dice in questo caso che la moneta è neutrale (➔ moneta, neutralità della), perché variazioni dell’offerta di moneta non hanno effetto sulle quantità reali delle variabili economiche.
Tale distinzione riguarda l’unità di conto utilizzata: monetaria nel primo caso, fisica nel secondo, se, per semplicità, consideriamo un unico bene. Il concetto vale più in generale: il valore reale delle variabili macroeconomiche, come il PIL, i consumi o gli investimenti, è definito al netto delle variazioni del livello generale dei prezzi. Questa importante distinzione fu individuata dagli economisti classici, a partire da D. Hume, che notarono come le scelte degli agenti economici sono influenzate solo dai prezzi relativi, espressi cioè rispetto a un bene preso come numerario: in particolare, il salario reale misura il costo del fattore lavoro rispetto a un’unità di prodotto, e il tasso di interesse reale (al netto dell’inflazione) determina il prezzo relativo del consumo tra oggi e domani. È dunque possibile, ed estremamente utile, studiare le determinanti del livello di attività economica, in termini di PIL, occupazione o altre variabili reali, attraverso modelli che prescindono completamente dalla quantità di moneta presente nell’economia. Secondo la d. c., quindi, la moneta è neutrale, è un velo che nasconde l’agire sottostante delle forze reali economiche. Nelle parole di J. Stuart Mill, «non c’è cosa, in breve, intrinsecamente più insignificante, nell’economia della società, della moneta», perché «il rapporto tra i diversi beni rimane inalterato dalla moneta» (Principi di economia politica, 1848). La d. c. è ben riassunta dalla formulazione della teoria quantitativa della moneta, secondo cui variazioni dell’offerta di moneta si traducono unicamente in variazioni proporzionali del livello dei prezzi senza alcuna consapevolezza reale.
La d. c. ha avuto una grande influenza nello sviluppo successivo della teoria economica. È stata recepita appieno nella struttura dell’equilibrio economico competitivo walrasiano (➔ equilibrio competitivo), che non assegna alcun ruolo alla moneta. In seguito, la teoria keynesiana (➔ keynesiana, teoria ), prima, e il monetarismo (➔), poi, ne hanno invece rovesciato le tesi: l’offerta di moneta può avere un grande effetto sul livello di attività economica, nel breve termine, perché prezzi e salari sono rigidi, o almeno vischiosi, ossia si aggiustano lentamente nel tempo. La d. c. rimane però valida nel lungo periodo, quando i prezzi tornano flessibili, come recita la scuola neoclassica (➔ neoclassica, economia). La teoria macroeconomica odierna rappresentata dai modelli AD-AS (➔) e IS-LM (➔), dunque da un’interpretazione keynesiana nel breve periodo e monetarista nel lungo, evidenzia l’attuale pensiero economico predominante. Allo stesso tempo, nella teoria macroeconomica standard, sono state avanzate numerose teorie per fondare su basi microeconomiche più solide le ragioni della vischiosità dei prezzi, oppure introdurre nuove frizioni al funzionamento dell’economia reale che la moneta è in grado di alleviare.