diatesi
Con il termine diatesi (dal gr. diáthesis, lett. «disposizione»; in inglese è in uso il termine voice, reso in italiano con voce) si intende una categoria propria dei ➔ verbi che serve a esprimere le correlazioni tra le funzioni fondamentali della frase (soggetto, oggetto diretto, ecc.) e i ruoli semantici richiesti dall’azione che esso esprime. Le forme della diatesi, riconosciute sin dalla grammatica antica, sono tre: attiva, passiva e media (vedi sotto).
Nella descrizione di una frase si può prevedere, da una parte, una struttura di superficie, che concerne i rapporti formali tra il verbo e gli elementi nominali correlati e, dall’altra, una struttura profonda, che incorpora le relazioni logico-semantiche tra un predicato ed i suoi argomenti, cioè gli elementi obbligatori perché l’azione o l’evento descritti dal verbo si possano compiere. La diatesi riguarda appunto la codifica delle rispondenze tra gli argomenti del livello logico e gli elementi nominali del livello formale. In questo senso, le diverse diatesi (passiva e media: vedi sotto) sono processi che alterano la relazione naturale tra gli elementi che, a livello logico-semantico, fungono da argomenti e le funzioni grammaticali codificate sul piano della forma.
Il fenomeno della diatesi coinvolge, direttamente o indirettamente, le nozioni di valenza verbale, di complemento e di ruolo tematico (➔ argomenti; ➔ complementi; ➔ sintassi). Come si è accennato, ogni predicato ha una struttura argomentale, che corrisponde al numero degli argomenti, cioè dei partecipanti ‘obbligatori’ all’attività/stato che il verbo esprime. I verbi possono dunque variare (e, di conseguenza, essere classificati) in virtù del numero dei loro argomenti. Si hanno allora verbi:
(a) zerovalenti (o zeroargomentali): nevicare, piovere, ecc.;
(b) monovalenti (o monoargomentali): lavorare, nascere, ecc.;
(c) bivalenti (o biargomentali): mangiare, costruire, ecc.;
(d) trivalenti (o triargomentali): dare, dire, ecc.
I verbi possono variare anche per la natura degli argomenti, cioè per le funzioni che essi svolgono nella situazione codificata. Tali funzioni prendono il nome di ruoli tematici.
Si considerino le frasi seguenti, focalizzando, per il momento, il sintagma nominale soggetto:
(1) Gioacchino uscì sbalordito, mezzo tramortito, barcollando sulle magre gambe (Camillo Boito, Senso. Nuove storielle vane – Il collare di Budda)
(2) Corrado aveva ricevuto una lettera urgentissima. – Gli rincresce anche a lui, poveretto. Gli è arrivata fra capo e collo (Giovanni Verga, Mastro don Gesualdo)
(3) I miei abiti e miei capelli bruciavano, ed io non cessavo di gridare: – Ajuto! ajuto, al fuoco! (Giovanni Verga, I carbonari della montagna)
Nella prima frase, il soggetto Gioacchino è l’entità che attiva e controlla l’evento, deliberatamente: svolge dunque la funzione di agente. Nella seconda, Corrado indica la persona che riceve la lettera, ma senza svolgere alcun ruolo attivo nell’evento: esso è dunque l’entità verso la quale l’evento è indirizzato; svolge dunque il ruolo di destinatario. Nella terza, il soggetto (i miei abiti e i miei capelli) subisce le conseguenze dell’evento espresso dal verbo, ancora una volta senza aver avuto parte consapevole nella sua attivazione e svolge, dunque, il ruolo di paziente (per le definizioni dei ruoli tematici cfr. Jezek 2005: 116). Tanto Gioacchino quanto Corrado e i miei abiti e i miei capelli sono argomenti dei rispettivi verbi e svolgono un’unica funzione grammaticale, quella di soggetto. Ma ad essi corrispondono tre ruoli tematici differenti. L’insieme dei ruoli tematici assegnati da un verbo costituisce la sua griglia tematica. Questa può essere rappresentata come segue:
(4) camminare [agente]
uccidere [agente, paziente]
desiderare [esperiente, tema]
donare [agente, tema, destinatario]
Quindi, quanto a struttura argomentale sia uccidere che desiderare sono verbi bivalenti: sintatticamente, richiedono due argomenti, un soggetto e un oggetto diretto; dal punto di vista della griglia tematica, però, differiscono per la funzione che soggetto e oggetto diretto svolgono rispetto alla forma logica. Salvo possibili reinterpretazioni metaforiche, l’azione dell’uccidere, infatti, implica una partecipazione attiva e consapevole del soggetto (l’agente), che non si ritrova nell’atto di desiderare, nel quale il soggetto è una «entità che sperimenta l’evento» (Jezek 2005: 116), non necessariamente in modo consapevole.
Le frasi in (5) e (6) esemplificano la diatesi attiva:
(5) Ma il re camminò innanzi non dando risposta (Francesco Guicciardini, Storia d’Italia)
(6) Manlio condannò a morte i figliuoli, Bruto uccise il proprio padre! (Ippolito Nievo, Confessioni di un italiano)
Essa esprime una azione o un evento che, a livello logico, pone in risalto la prospettiva del partecipante più ‘dinamico’ (o, appunto, attivo), cioè l’agente. A livello sintattico, a tale partecipante è assegnata la funzione di soggetto (Klaiman 1991: 3). Se il predicato è un verbo transitivo, il complemento oggetto ha tipicamente il ruolo di paziente o di tema.
In prospettiva tipologica, la frase attiva, soprattutto quella con predicato transitivo, è di norma utilizzata per definire il prototipo della nozione di ➔ soggetto, che, sul piano logico-semantico, va inteso come l’intersezione tra il ruolo tematico di agente e la porzione dell’informazione che fa da tema (➔ tematica, struttura; sulla nozione di soggetto prototipico, cfr. Comrie 1981). Infatti, sono proprio i sintagmi nominali sui quali convergono queste caratteristiche che si contraddistinguono, sul piano formale, per le proprietà più frequentemente associate al soggetto, come il controllo dell’➔accordo con il verbo, la possibilità di omissione nella seconda di due frasi coordinate: ad es., l’uomo mangiava e (l’uomo) beveva. In sostanza, nella frase attiva prototipica il soggetto è tale sia dal punto di vista logico che da quello grammaticale.
Vengono tuttavia considerate esempi di diatesi attiva anche frasi in cui il soggetto non ha in realtà un ruolo attivo, non è, cioè, associato al ruolo tematico di agente:
(7) Un certo Menico Tarocchi desidera la permissione di poter erigere in Gaeta una fabbrica di velluti (Carlo Goldoni, L’Adulatore)
(8) Fulvio Gelomia cadde di sella, primo cultor de la natia favella (Alessandro Tassoni, La secchia rapita)
In italiano, la diatesi attiva può esprimersi attraverso forme semplici (o sintetiche; 9) o perifrastiche (o analitiche; ➔ perifrastiche, strutture); in questo caso, i verbi bi- e trivalenti hanno l’ausiliare avere (10); i monovalenti hanno solo la diatesi attiva e nelle forme perifrastiche utilizzano l’ausiliare essere (11; ➔ ausiliari verbi):
(9) a. il palazzo crolla
b. il bambino mangia il gelato
c. Marco regalò un anello a Giovanna
(10) a. il bambino ha mangiato il gelato
b. il cane ha inseguito il gatto
c. Marco aveva regalato un anello a Giovanna
(11) a. il palazzo è crollato
b. la bomba è esplosa
c. Luca è andato via.
Le altre diatesi (marcate rispetto a quella attiva) si caratterizzano per:
(a) un’alterazione del legame ‘naturale’ tra la funzione logica dei ruoli tematici del verbo e la loro funzione grammaticale;
(b) l’omissione di uno degli argomenti del verbo (Klaiman 1991: 6).
È possibile omettere un argomento del verbo, cioè evitare di indicarlo anche se, a livello logico, esso pare indispensabile. Tale situazione può essere segnalata da specifiche marche, cioè mediante risorse morfologiche. In italiano e, in generale, nelle lingue indoeuropee d’Europa questa situazione viene invece codificata analiticamente, attraverso la costruzione generalmente definita «si passivante».
Si consideri l’esempio:
(12) In Africa si uccidono 360 elefanti ogni giorno e non restano che 200 oranghi nelle foreste (dal corpus CORIS)
Come si è visto in precedenza, il verbo uccidere è bivalente e, per quanto concerne la griglia tematica, prevede un agente ed un paziente. In (12), tuttavia, viene formalmente espresso solo il sintagma nominale che codifica il paziente (360 elefanti), mentre non vi è menzione dell’agente, cioè dell’entità che ha dato avvio all’azione codificata dal verbo. Questa omissione è formalmente segnalata appunto dal si.
Nell’espressione della diatesi passiva, la costruzione del si passivante si colloca accanto alla più diffusa costruzione passiva, formata da un ausiliare (generalmente essere) e dal participio passato, per la quale si veda la voce apposita (➔ passiva, costruzione).
Accanto a quella attiva (non marcata) e quella passiva, la grammatica tradizionale riconosce una terza diatesi (anch’essa marcata). Si tratta della diatesi media, che condivide tratti dell’una e dell’altra. Nel medio, la prospettiva è attiva, nel senso che pone in risalto il partecipante dinamico, che avvia consapevolmente l’azione espressa dal verbo. Ma questo partecipante presenta anche i tratti del paziente, in quanto ricadono su di esso gli effetti dell’azione.
Il medio dispone di una serie di marche indipendenti; ad es., in greco antico:
(13) lóuō «lavo»
lôuomai «io mi lavo»
Se c’è un oggetto diretto, l’agente assume anche la funzione di beneficiario (formalmente sottinteso):
(14) lôumai tàs kheîras «mi lavo le mani», cioè «lavo le mie mani»
Il latino conserva tracce della diatesi media nei deponenti (verbi con forma passiva ma con significato attivo: sequor «seguo», utor «mi servo», ecc.). Nel passaggio all’italiano, la classe dei deponenti fu rimpiazzata dai verbi riflessivi (➔ riflessivi, verbi), che di fatto oggi esprimono il valore medio:
(15) Venuta la mattina, Bertoldo si levò dalla paglia e andò a trovare quella femina alla quale il Re aveva data la sentenza in favore (Giulio Cesare Croce, Le astuzie di Bertoldo)
Solo alcuni verbi italiani hanno tutti e tre i valori della diatesi, come segnala Andorno (2003: 88):
(16) a. attivo: l’atleta in terza corsia ha abbattuto il record olimpico
b. passivo: l’edificio pericolante verrà abbattuto
c. medio: sulla zona si è abbattuto un temporale.
CORIS: http://corpora.dslo.unibo.it/CORISCorpQuery.html.
LIZ 1993 = Stoppelli, Pasquale & Picchi, Eugenio (a cura di), Letteratura italiana Zanichelli. CD-ROM dei testi della letteratura italiana, Bologna, Zanichelli (4a ed. 2001).
Andorno, Cecilia (2003), La grammatica italiana, Milano, Mondadori.
Comrie, Bernard (1981), Language universals and linguistic typology. Syntax and morphology, Chicago, University of Chicago Press.
Jezek, Elisabetta (2005), Lessico. Classi di parole, strutture, combinazioni, Bologna, il Mulino.
Klaiman, Miriam H. (1991), Grammatical voice, Cambridge, Cambridge University Press.