SCULTORI, Diana
– Figlia dello scultore, incisore e stuccatore Giovan Battista da Verona e di Osanna da Acquanegra, nacque a Mantova intorno al 1547, come si evince dal contenuto di uno stato delle anime datato 1596 che la dice di anni 49 e residente nell’oggi soppressa parrocchia di S. Trifone a Roma, presso la chiesa di S. Agostino (Pagani, 1992, p. 85, doc. 14). Vita privata e carriera professionale si svolsero prima a Mantova, dove abitò nella casa paterna in contrada dell’Unicorno (Bellini, 1980, p. 68), e in seguito a Roma, dove risiedette sino alla morte. La sua produzione incisoria, principalmente di traduzione, godette di un discreto successo presso i contemporanei. Giovan Francesco Peranda definì le sue opere «mirabilissime» (Lettere…, 1609, p. 106), e Giovanni Baglione le giudicò «molto belle» (1642, p. 48). Diana fu la prima donna a firmare le proprie lastre e la sola artista a ottenere il privilegio papale per commercializzare in esclusiva le proprie opere.
Diana è stata in passato conosciuta con varie forme onomastiche, tra cui Diana Ghisi, a causa dell’errato suggerimento – avanzato per primo da Giorgio Vasari – di una sua parentela con l’incisore mantovano Giorgio Ghisi (Vasari, 1550 e 1568, 1984, V, p. 424; Lincoln, 1997, p. 1102), Diana de’ Briziani (D’Arco, 1840, p. 28), e soprattutto Diana Mantovana (quest’ultima forma continua a essere preferita dalla bibliografia in lingua inglese). Il cognome Scultori, con il quale è generalmente indicata malgrado non sia mai stato da lei adottato per firmare le proprie opere né appaia in documenti che la riguardano (Pagani, 1992, p. 74), deriva dalla professione del padre, il quale si chiamava tuttavia De’ Spinchieris (Rebecchini, 2002, p. 73). A complicare questa situazione onomastica, due stati delle anime della parrocchia di S. Lorenzo in Lucina in Roma, datati 1607 e 1609, la indicano come Diana de’ Bianchi, nome acquisito in realtà dalla moglie del fratello Adamo, la quale aveva sposato in seconde nozze Cristoforo Blanco (Pagani, 1992, p. 85, docc. 17-18).
Diana fu l’unica delle figlie di Giovan Battista a essere avviata all’attività incisoria. Come per Adamo (di cui v. la voce in questo Dizionario), la sua formazione cominciò in giovane età presso la bottega paterna, mentre è da escludere per motivi anagrafici che possa essere stata allieva di Giulio Romano (come proposto in D’Arco 1840, p. 28, e ancora in Marcucci, 1991, p. 342). Il suo essere donna dovette limitare la sua formazione artistica e spingerla verso l’incisione di traduzione piuttosto che d’invenzione. Non risulta che ricevette alcuna educazione nel disegno, ambito nel quale il padre, che fu collaboratore di Giulio Romano nei principali cantieri mantovani, raggiunse buoni risultati; come consuetudine per le artiste dell’epoca, le dovette essere precluso anche lo studio del corpo umano dal vero. Nelle sue opere di traduzione si notano tuttavia variazioni rispetto ai modelli originali; tipico è, per esempio, l’inserimento di paesaggi naturali animati da villaggi, come nel caso di Latona partorisce Apollo e Diana nell’isola di Delo, derivata da un dipinto di Giulio Romano (L’opera incisa di Adamo e Diana Scultori, 1991, pp. 174-176). Insieme alle invenzioni del padre, proprio le opere di Giulio costituirono le sue principali fonti d’ispirazione durante il periodo mantovano, come si nota per esempio nel S. Giorgio e il drago e nella Deposizione di Cristo dalla croce (p. 166 s.).
Risalgono agli anni Sessanta del Cinquecento due importanti eventi per la vita di Diana. Nel 1566, Vasari giunse a Mantova e rimase colpito da lei al punto da inserire un breve ma entusiastico riferimento alle sue doti artistiche – nonché al suo piacevole aspetto e ai suoi modi cortesi – nella seconda edizione delle Vite (1550 e 1568, 1984, V, p. 424). Il passaggio vasariano costituisce la prima testimonianza dell’attività incisoria di Diana e, legando il suo nome alla corte di Mantova e a Giulio Romano, ebbe una certa influenza nella promozione della sua successiva carriera artistica (Lincoln, 2000, pp. 116-118). In un momento imprecisato degli anni Sessanta, Diana conobbe probabilmente anche l’architetto volterrano Francesco Capriani, attivo al tempo tra Mantova e Guastalla, al servizio di Cesare Gonzaga (Marcucci, 1991, pp. 23-50).
La data tradizionalmente indicata per il loro matrimonio, il 1567, non è supportata da alcuna fonte archivistica (Pagani, 1992, p. 75). Una nota sotto il nome «Volterra», presente tra le schede compilate da Friedrich Noack e conservate presso la Biblioteca Hertziana di Roma, riporta che Francesco e Diana si sposarono l’11 maggio 1575 in S. Pietro, ma non fornisce il riferimento archivistico (Marcucci, 1991, p. 342; la data è ribadita in Lincoln, 1997, p. 1101 e in Id., 2000, p. 112, sempre senza riferimento archivistico).
Allo stato attuale delle ricerche, è certo che Diana dovette sposare Francesco entro il 1575, anno in cui si trasferì a Roma, dove egli risiedeva ormai dalla fine del 1569 o dai primi mesi del 1570 (Marcucci, 1991, p. 69).
La prima attestazione della presenza di Diana nella città papale risale al 5 novembre 1575, quando partecipò a un battesimo in veste di madrina (Pagani, 1992, p. 84, doc. 6). È tuttavia probabile che fosse giunta a Roma già nella prima metà del 1575, come suggerisce il privilegio concessole da papa Gregorio XIII in data 5 giugno 1575. Con questo documento, la cui unicità è stata messa in risalto dalla bibliografia, le fu concesso il diritto di firmare le proprie lastre per indicarne la proprietà intellettuale e materiale, nonché il diritto di distribuire le proprie stampe per i successivi dieci anni in un regime di esclusiva (Lincoln, 2000, pp. 123 s., p. 189 per la trascrizione del documento; Witcombe, 2004, p. 183). Il privilegio menziona inoltre cinque lastre, fornendo in questo modo un termine ante quem per la loro datazione: il Cristo e l’adultera (L’opera incisa di Adamo e Diana Scultori, 1991, pp. 197-199), il Banchetto di Amore e Psiche (ibid., pp. 201-204; Pagani, 1992, pp. 82 s.), e la Marcia di cavalieri (L’opera incisa di Adamo e Diana Scultori, 1991, pp. 205-207), tutte derivate da opere di Giulio Romano; una Natività da un’invenzione di Giulio Clovio (erroneamente identificata con il Compianto su Cristo morto da Paolo Bellini in L’opera incisa di Adamo e Diana Scultori, 1991, pp. 195-197, che legge «Pietatem» invece di «Nativitatem» nel documento), e un S. Girolamo ispirato a un dipinto di Daniele da Volterra (ibid., pp. 208 s.). È probabile che Diana avesse inciso almeno le prime tre lastre a Mantova e le avesse portate con sé a Roma, forse come parte della dote.
Il trasferimento nell’Urbe sancì la nascita di un’efficiente impresa famigliare, di cui Diana fu parte attiva (Lincoln, 1997; Ead., 2000). Al fine di promuovere la carriera del marito, incise alcuni dei suoi disegni architettonici, come nel caso della Voluta ionica di un capitello composito, datata 1576 (L’opera incisa di Adamo e Diana Scultori, 1991, p. 214; Pagani, 1992, p. 83, Lincoln, 2000, pp. 112-116). Nel corso dei primi anni romani, si servì inoltre in modo oculato delle dediche incluse nelle proprie incisioni, inusualmente lunghe e dai toni personali, per tessere una solida rete di relazioni e protezioni che si estendeva tra Mantova, Roma e Volterra. In particolare, dopo che Francesco ebbe ottenuto la cittadinanza volterrana nel 1579, Diana cominciò a firmare le proprie opere come «Diana Mantuana Civis Volaterrana» in segno di riconoscenza (Lincoln, 1997, pp. 1114 s). Ne Il Redentore in gloria e quattro santi, datato 1583, la dedica recita: «Alla citta di Volterra / Quello che da te ho preso / quello ti ri nuouo et / dedicho» (L’opera incisa di Adamo e Diana Scultori, 1991, pp. 252-254).
Anche le fonti d’ispirazione dei suoi bulini si arricchirono. Oltre ai disegni del marito, utilizzò disegni di artisti appartenenti alla loro cerchia di amicizie romane, come Federico Zuccari e Raffaellino da Reggio (Borea, 2009, p. 189), e riprodusse opere di statuaria antica, come l’Ercole con le mele d’oro, datato 1581, che fu inserito tra le tavole dello Speculum romanae magnificentiae (L’opera incisa di Adamo e Diana Scultori, 1991, pp. 246-249).
Il 10 aprile 1580 Diana fu accolta nell’Accademia dei Virtuosi al Pantheon, della quale il marito e il fratello erano già membri attivi (Lincoln, 2000, p. 137). Il ruolo delle donne all’interno della compagnia era limitato ad attività di carattere sociale, ed è quindi improbabile che Diana abbia esposto le sue opere alle mostre organizzate ogni anno nel giorno della festa di s. Giuseppe. Nel frattempo, l’11 settembre 1577 (e non il 2 settembre 1578, come in Tafuri, 1976, p. 190), Giovanni Battista, l’unico figlio documentato della coppia, fu battezzato nella chiesa di S. Agostino (Marcucci, 1991, p. 343).
La Visitazione e la Deposizione, entrambe datate 1588, sono generalmente considerate i suoi ultimi bulini (L’opera incisa di Adamo e Diana Scultori, 1991, pp. 262-265). Poiché nuovi documenti archivistici hanno dimostrato che Diana morì nel 1612 (Pagani, 1992, p. 85, doc. 20) e non nel 1588 (come in Marcucci, 1991, p. 343) o nel 1590 (come in L’opera incisa di Adamo e Diana Scultori, 1991, p. 31), la precoce interruzione della sua carriera è stata imputata a una grave forma di artrosi; il tratto ancora deciso di queste due opere sembra tuttavia contraddire tale ipotesi (Lincoln, 2000, pp. 138 s.). Secondo Lincoln, è impossibile essere certi che la sua attività sia terminata effettivamente nel 1588, poiché molte delle sue opere non sono datate. Un ripensamento della cronologia del suo catalogo non sembra tuttavia sufficiente a colmare un vuoto di più di vent’anni di inattività, dal 1588 sino al 1612. Il fatto che entro il 1590 Francesco avesse ormai raggiunto una solida fama e godesse di un discreto benessere economico, obiettivi al cui raggiungimento la coppia aveva lavorato per anni, potrebbe aver indotto Diana ad abbandonare il bulino.
Per tutta la durata del loro matrimonio, Francesco e Diana vissero a Roma nei pressi di via della Scrofa, in due case adiacenti che furono concesse al marito e ai suoi eredi dai frati di S. Agostino nel 1573 e nel 1574 (Marcucci, 2007). Il contratto di enfiteusi prevedeva il pagamento di un affitto di 6 scudi annui e l’onere di approntare significativi miglioramenti. Dopo la morte di Francesco, avvenuta il 15 settembre 1594, Diana continuò a occupare le due case insieme al figlio Giovanni Battista, all’anziana madre, probabilmente trasferitasi a Roma dopo la morte del marito, avvenuta nel dicembre 1575 (Pagani, 1992, p. 85, doc. 16), e alla sorella Ippolita, che fu seppellita in S. Agostino nel marzo 1595 (doc. 11). Il 24 novembre 1596 Diana sposò in seconde nozze l’architetto Giulio Pelosi e si trasferì in una casa in via del Corso, sempre insieme alla madre (doc. 14).
Morì all’inizio di aprile del 1612 e la sua salma fu tumulata nella chiesa di S. Lorenzo in Lucina il 5 aprile 1612 (doc. 20).
La sua opera incisoria comprende soggetti religiosi, spesso di marcata natura devozionale, e mitologici, dettagli di decorazioni architettoniche, riproduzioni di statue antiche, e allegorie. Un unicum all’interno di tale produzione è il Lunario, un almanacco inciso nel 1584 in collaborazione con Francesco e ristampato nei due anni successivi (Pagani, 1991). La più completa ricostruzione del catalogo di Diana spetta a Paolo Bellini (L’opera incisa di Adamo e Diana Scultori, 1991), che le attribuisce 63 bulini certi, ordinati cronologicamente, e 14 dubbi (da integrare con Pagani, 1992, pp. 82-84). Recentemente, un Gesù Bambino benedicente è stato aggiunto a questo corpus (Calidonna, 2016).
Fonti e Bibl.: G. Vasari, Le vite… (1550 e 1568), a cura di P. Barocchi - R. Bettarini, V, Firenze 1984, p. 424; Lettere del signor Gio. Francesco Peranda…, Venezia 1609, pp. 106 s.; G. Baglione, Le vite de’ pittori, scultori et architetti…, Roma 1642, pp. 48 s.; C. d’Arco, Di cinque valenti incisori mantovani del secolo XVI e delle stampe da loro operate, Mantova 1840, pp. 27-36; G. Albricci, Prints by D. S., in Print Collector, 1975, n. 12, pp. 17-23, 51-57; M. Tafuri, Capriani, Francesco, detto Francesco da Volterra, in Dizionario biografico degli Italiani, XIX, Roma 1976, pp. 189-195; P. Bellini, Contributi per D. S., in Rassegna di studi e notizie, VII (1980), 8, pp. 63-98; S. Massari, Incisori mantovani del ’500. Giovan Battista, Adamo, D. S. e Giorgio Ghisi dalle collezioni del Gabinetto nazionale delle stampe e della Calcografia nazionale (catal.), Roma 1980, pp. 11 s., 79-117; L. Zentai, Portrait inconnu de D. S., in Bulletin du Musée hongrois des beaux-arts, 1984, n. 62-63, pp. 43-51; P. Bellini, Alcuni dati sull’attività romana di D. S., in Paragone. Arte, XXXVIII (1987), 453, pp. 53-60; L. Marcucci, Francesco da Volterra: un protagonista dell’architettura post-tridentina, Roma 1991, pp. 341-349; V. Pagani, A Lunario for the Years 1584-1585 by Fancesco da Volterra and Diana Mantovana, in Print Quarterly, 1991, vol. 8, pp. 140-145; L’opera incisa di Adamo e D. S., a cura di P. Bellini, Vicenza 1991, pp. 30 s., 162-283; V. Pagani, Adamo Scultori and Diana Mantovana, in Print Quarterly, 1992, vol. 9, pp. 72-87; E. Lincoln, Making a good impression: Diana Mantuana’s printmaking career, in Renaissance Quarterly, 1997, vol. 50, pp. 1101-1147; Ead., The invention of the Italian renaissance printmaker, New Haven 2000, pp. 111-145, 176-181, 189; G. Rebecchini, Sculture e scultori nella Mantova di Giulio Romano. 1. Bernardino Germani e il sepolcro di Pietro Strozzi (con il cognome di Giovan Battista Scultori), in Prospettiva, 2002, n. 108, pp. 65-79 (in partic. p. 73); Andrea Mantegna e cinque valenti incisori mantovani nella Fondazione d’Arco (catal., Quistello), a cura di G. Arcari, Mantova 2003, pp. 70-83; C.L.C.E. Witcombe, Copyright in the Renaissance. Prints and the privilegio in sixteenth-century Venice and Rome, Leiden-Boston 2004, pp. 181-186; L. Marcucci, Le case di Francesco da Volterra alla Scrofa, in Palladio, XX (2007), 39, pp. 111-120; E. Borea, Lo specchio dell’arte italiana: stampe in cinque secoli, Pisa 2009, I, pp. 188-190; G. Girondi, Diana Mantovana’s “Virgin and Child with St John the Baptist”, in Print Quarterly, 2012, vol. 29, pp. 297-299; I. Calidonna, Diana Scultori Mantovana (1547-1612). Appunti per una ricerca, in Predella, 2014, n. 36, pp. 21-54 (con imprecisioni); Eadem, Un’inedita incisione di Diana Scultori: chiarimenti per una biografia, in Grafica d’arte, XXVII (2016), 106, pp. 2-7 (con imprecisioni).