ANDALÒ, Diana d'
Nacque, nei primi anni del sec. XIII, dalla nobile e potente famiglia bolognese dei Carbonesi. Suo padre Andrea (dai cui diminutivi famibari, Andreolo, Andalò, deriva il cognome patronlrmco, rimasto poi ai discendenti) ebbe due mogli e molti figli, quasi tutti maschi, che ricoprirono cariche illustri: dalla prima moglie, di cui si ignora nome e casato, nacque Diana insieme con quattro fratelli, fra cui Brancaleone, che fu sempre per lei il fratello prediletto; dalla seconda moglie, Agnese, Andalò ebbe Castellano, il quale fu senatore di Roma, e il Loderengo, fondatore dei frati gaudenti.
Nella sua prima giovinezza l'A., che mostrava alte doti morali ed intellettuali, ascoltò le prediche del famoso fra' Reginaldo, già professore di diritto canonico all'università di Parigi, inviato da s. Domenico a Bologna nel 1218.
Quando Domenico giunse a Bologna (estate 1219), conobbe l'A. e perfezionò in lei l'opera iniziata da Reginaldo: approvò la sua idea di entrare nell'Ordine dei predicatori ed accolse riservatamente (ma con solenne cerimonia, svoltasi alla presenza dei frati Reginaldo, Guala e Rodolfò) la sua promessa, insieme con quella di altre quattro giovani dame di potenti famiglie bolognesi.
Domenico, che valutava in pieno l'importanza dell'apostolato femminile, si consultò con i confratelli per realizzare la grande aspirazione dell'A. di fondare un monastero di suore domenicane a Bologna e, prima di partire per Roma, ne affidò l'incarico ai frati Rodolfo, Guala, Ventura da Verona. Ma questi incontrarono la doppia opposizione, sia del vescovo di Bologna, sia dei parenti della fanciulla; né era possibile fondare il nuovo convento contro il parere dell'autorità ecclesiastica e senza l'aiuto finanziario degli Andalò.
L'A. allora cercò di porre i parenti di fronte al fatto compiuto. Il 22 luglio 1221 organizzò con le sue amiche un pellegrinaggio all'eremo di Ronzano, sui contrafforti dell'Appennino prospicienti a Bologna, dove si erano stabilite le canonichesse agostiniane. Durante la visita al convento, Diana improvvisamente entrò nel dormitorio e domandò l'abito sacro con tale appassionata eloquenza, che fu esaudita all'istante. Ma i parenti, avvertiti, si precipitarono con largo stuolo di famigli e clienti, trascinando via la fanciulla a viva forza e brutalmente malmenandola: dolorante nell'anima e nel corpo (ebbe perfino una costola rotta), fu isolata in casa per circa un anno: lo stesso Domenico non poté più vederla e riuscì appena a farle recapitare alcune lettere. Questa prova crudele deformò il corpo di Diana per tutta la vita, ma non affievolì la sua vocazione, né piegò la sua determinazione. Dopo la morte di s. Domenico ella fuggì di nuovo a Ronzano, e questa volta i parenti non osarono disturbarla.
Intanto era stato nominato procuratore generale dei domenicani in Lombardia Giordano di Sassonia, che riprese subito il progetto, caro all'A. e a Domeníco, di fondare un convento di suore domenicane a Bologna. Egli ebbe successo. Il nuovo convento, costruito sul pendio di una collina prospiciente Porta S. Proculo, sulla cappella di Nostra Signora del Monte dedicata a s. Agnese Vergine e Martire, fu all'origine una povera e piccola casa, "domuncula parva". Il 13 maggio 1222 vennero acquistati terreni limitrofi con atto di vendita intestato a Diana Andalò (Cormier, pp. 57-59); circa un anno dopo, nell'ottava dell'Assunzione del 1223, Giordano, divenuto ormai generale dell'Ordine, vi introdusse il primo gruppo di suore (l'A. insieme con quattro consorelle, anche esse di nobili famiglie bolognesi) e il 29 giugno, festa degli apostoli Pietro e Paolo, impose personalmente loro l'abito domenicano, alla presenza di tutti i confratelli di Bologna. A reggere la nuova comunità femminile (che mantenne il nome di S. Agnese) furono chiamate dal monastero di S. Sisto a Roma quattro suore (fra cui Amata e Cecilia), già esperte nell'esercizio della Regola, la quale, a parte l'atto della predicazione, era pressoché identica per le suore come per i frati.
Fu nominata priora Cecilia, della nobile famiglia romana dei Cesarini; in breve tempo affluirono nel convento di S. Agnese molte nuove proseliti, quasi tutte di illustre casato.
L'A. fu l'anima della comunità: a lei personalmente sono indirizzate la maggior parte delle numerose e bellissime lettere, con le quali Giordano di Sassonia assistette e diresse le suore del convento italiano da lui fondato e che egli evidentemente predilesse.
Neppure una lettera, purtroppo, ci è stata tramandata di quelle che l'A. scrisse a Giordano: e non dovettero essere poche. Ma le lettere di Giordano, salvate amorosamente dalle suore di S. Agnese, ci aiutano a conoscere, dall'intimo, la personalità singolare dell'Andalò.
Giordano si rivolgeva a lei come a sorella e figlia, perché nati ambedue dallo stesso padre spirituale Domenico, che lasciò a lei Giordano come secondo padre (lett. XVIII, p. 20). Egli le scriveva non soltanto per assisterla nella vita religiosa, ma per confidarle i suoi dubbi, le sue speranze, i suoi scoraggiamenti, i suoi, spesso inaspettati, miracolosi successi: sapeva evidentemente che ella era in grado di ascoltare, di capire, di rispondere. Le scriveva in fretta, dai quattro canti di Europa, sotto l'influenza delle circostanze più diverse. Le comunicava notizie sui suoi studi, le confidava i suoi smarrimenti (come in occasione del dolore acerbo provato per la morte di un suo compagno di vestizione); le domandava soccorsi per il prossimo bisognoso (delicatissima la lettera in cui le affida una bambina tedesca, abbandonata dai suoi, pregandola, fra l'altro, di farle parlare spesso la lingua natale); le chiedeva di impetrare da Dio vocazioni per l'Ordine; si preoccupava per la sua salute, sempre malferma, dopo il trauma subito in gioventù; l'ammoniva che non eccedessero, lei e le sue consorelle, in astinenze e mortificazioni corporali ("bisogna saper salire passo passo sulla scala della perfezione, non bisogna pretendere di volare"). Particolarmente significative le lettere di conforto per la morte del padre, della sorella Ottavia, del prediletto fratello Brancaleone: nonostante la crudele esperienza giovanile, l'A. doveva essere profondamente attaccata ai parenti e il suo direttore spirituale stentava a ottenere da, lei rassegnazione e moderazione all'impeto degli affetti.
Nella corrispondenza. di Giordano, si trova inoltre la documentazione delle prove aspre e penose che dovette affrontare la giovane comunità femminile domenicana di Bologna: l'assedio alla città da parte dell'imperatore Federico II nel 1225, tanto più pauroso in quanto il convento di S. Agnese si trovava fuori dalla cinta delle fortificazioni (Giordano comunica all'A. di aver affrontato l'imperatore, suo connazionale, in un drammatico colloquio); il lungo periodo di povertà cruda attenuato soltanto nel 1230, quando Gregorio IX assegnò alle suore di S Agnese l'usufrutto dei beni del monastero di S. Adalberto (Cormier, App. D, pp. 165 s.).
La prova più difficile, a cui l'A. e le consorelle vennero sottoposte, fu la contesa per difendere il loro diritto ad essere assistite dai diretti superiori dell'Ordine.
L'A. reagì energicamente di fronte al pericolo che la sua vocazione domenicana venisse frustrata, come reagirono le consorelle di Prouille, Madrid e Roma. Perché fosse autorevolmente chiarita la spinosa questione fu sollecitato l'intervento del pontefice: Onorio III, con un breve datato al 17 dic. 1226, ribadì al generale dei domenicani l'ordine di non rifiutare la direzione dei conventi femminili fondati personalmente da s. Domenico, nonché del monastero di S. Agnese (Cormier, App. E, p. 167); tale deliberazione fu confermata da Gregorio IX nel 1236 (Cormier, App. G, p. 171). Giordano si affrettò a trasmettere a Diana il testo autentico delle lettere pontificie e a rassicurarla, insieme con le sue consorelle, che egli avrebbe mantenuto, anzi raddoppiato la sua assistenza (lett. VIII, p. 10, lett. XLVIII, pp. 54 s.).
L'A. morì in giovane età (35 anni circa) pochi mesi prima del suo padre spirituale, che scomparve in naufragio al suo ritomo dalla Terrasanta il 13 febbr. 1237. Incerto è il giorno preciso del suo transito: nell'Archivio del convento di S. Agnese è scritto che "ella salì al cielo alla vigilia della festa di S. Barnaba l'anno del Signore 1236" (Cormier, pp. 122 s.); nell'epigrafe, posta sulla sua tomba, si legge: "monasterium S. Agnetis extruxit, in quo anni XIII sanctissime vixit migravitque ad dominum MCCXXXVI" (ibid., p. 123).
In vita e morte il nome dell'A. fu unito insieme con quello di Amata e di Cecilia; le loro ossa furono messe in un'unica sepoltura (dopo la morte di Cecilia, spirata quasi novantenne nel 1290) e il loro culto come beate venne insieme confermato da Leone XIII nel 1891.
Fonti e Bibl.: H. M. Cormier, La b. Diane d'Andalo et les bb. Cécile et Aimée, Roma 1892, con tavv. (ritr.) e appendici di documenti, fra cui (App. A, pp. 149-157) la cronaca sulla vita della beata, composta da una suora del mon. di S. Agnese fra il 1264 e il 1283; Chroniques du monastère de San Sisto et de San Domenico e Sisto à Rome, II, Levanto 1920, pp. 585-588; Beati Iordani de Saxonia Epistulae, a cura di A. Walz, in Monumenta Ord. Fr. Praed. histarica, XXIII(1951), con esame critico delle ediz. precedenti; Iordani de Saxonia Opera quae extant, a cura di J. J. Berthier, Freiburg 1891; Acta Sanctorum, Iunii, II, Antverpiae 1698, pp. 363-368; G. B. Melloni, Atti e Memorie degli uomini illustri in santità nati o morti in Bologna, I, Bologna 1773, pp. 194-255, 363-389, con ritr. p. 363; Confirmationis cultus immemorabilis simul ac concessionis et approbationis commemorationis servarum Dei Caeciliae et Amatae auae beatae nuncupantur ad iungendae Officio, Missae et Elogio in Martyrologio in honorem b. Dianae de Andalo, Roma 1890; N. Malvezzi, Diana d'Andalò, Bologna 1894; A. Mortier, Histoire des maîtres généraux de l'Ordre des Frères Prêcheurs, I, Paris 1903, pp. 94-106, 138-170; H. Ch. Scheeben, Beiträge zur Geschichte Jordans v. Sachsen, in Quellen u. Forschungen zur Gesch. d. domenikaner Ordens in Deutsch., XXXV, Leipzig 1938, pp. 16, 18, 46, 55, 74 5-, 83-95; A. Walz, Intorno alle lettere del b. Giordano di Sassonia, in Angelicum, XXVI(1949), pp. 143 164, 218-232; Encicl. cattolica, IV, col.1552; Dictionnaire d'Hist. et de Géogr. Ecclés., XIV, coll. 379 s.