dialettologia italiana
Già ➔ Dante (nei capitoli ix-xv del libro I del De Vulgari Eloquentia, composto presumibilmente entro il 1305) tracciò un quadro memorabile dell’Italia dialettale dell’epoca, differenziato su base geografica (Grassi, Sobrero & Telmon 1997: 71-72; cfr. Benincà 1988: 27-29), individuando quattordici varietà principali, ma con l’acuta avvertenza che, a considerare anche le varietà «secondarie e minime, in questo solo piccolissimo cantone del mondo […] si potrebbe giungere a mille parlate e anche oltre» (I, x, 7, Alighieri 1998: 87; cfr. Cortelazzo 1980: 28-29). Bisogna arrivare però al primo Ottocento perché emerga un diffuso interesse ‘scientifico’ per la descrizione delle varietà dialettali, già nel 1808 con la ripartizione dialettologica tracciata da C.L. Fernow (Benincà 1988: 53-55; Stussi 2006: 32-34), che «inizia a proporre alcuni tratti linguistici come caratterizzanti delle singole aree» (Loporcaro 2009: 59), poi con il milanese Francesco Cherubini (con un’inedita Dialettologia italiana; cfr. Danzi 2001) e soprattutto con Bernardino Biondelli e il suo Saggio sui dialetti galloitalici (1853-1854). Il Saggio è importante non solo per la teoria del ➔ sostrato, desunta da Carlo Cattaneo, ma per una prospettiva di ricerca che muove dall’assunto dell’‘autonomia’ dei dialetti, che sono considerati a sé stanti e dunque non subordinati alla lingua. Biondelli mostra inoltre tra i primi una speciale attenzione alla variabilità sociale (Santamaria 1981; Timpanaro 19692: 246-256), anche e soprattutto attraverso l’iniziativa di documentare i dialetti con inchieste sul campo, mediante la raccolta delle versioni della parabola evangelica del figliol prodigo (Luca 15, 11-32) iniziata in epoca napoleonica (Grassi, Sobrero & Telmon 1997: 37-47).
La dialettologia italiana si affermò però come disciplina scientifica, in parallelo alla linguistica moderna, nella seconda metà dell’Ottocento con ➔ Graziadio Isaia Ascoli, in particolare coi suoi Saggi ladini (Ascoli 1873), apparsi nel primo numero dell’«Archivio glottologico italiano» da lui stesso fondato. I Saggi ladini possono essere considerati il vero e proprio atto di nascita della grammatica storica dei dialetti, indagati rigorosamente su base comparativa con il latino, un procedimento descrittivo che è rimasto canonico nella dialettologia italiana (Grassi, Sobrero & Telmon 1997: 47-50). Su questa base Ascoli riuscì a individuare per primo unità areali di primaria importanza nell’articolazione della Romània, quali appunto quella ladino-retoromancia e quella che pochi anni dopo egli stesso, tracciandone di fatto le isoglosse che la caratterizzano, denominò franco-provenzale (Ascoli 1878).
Sempre grazie all’individuazione di tratti linguistici caratterizzanti in chiave geografica (definiti isofone; ➔ isoglossa), Ascoli realizzò anche la prima descrizione scientifica dell’Italia dialettale (➔ aree linguistiche), in cui al rigoroso metodo storico-comparativo si affiancava l’utilizzo sistematico del concetto di ➔ sostrato cui era pervenuto tramite la lettura giovanile delle opere di Cattaneo:
la sua però è tutt’altro che un’adesione incondizionata ai suoi predecessori: egli rimprovera infatti al Cattaneo e al Biondelli un’eccessiva disinvoltura nel connettere le particolarità linguistiche riscontrabili nelle parlate vive con la presenza delle popolazioni che hanno abitato l’Italia preromana (Grassi, Sobrero & Telmon 1997: 51-22, con rinvio ad Ascoli 1864: 98; per le successive fasi del concetto ascoliano di sostrato cfr. Silvestri 1977-1982)
Sulla scia di Ascoli e del suo modello storico-comparativo, tra la fine dell’Ottocento e i primi decenni del XX secolo presero grande vigore gli studi dialettali: nacquero iniziative come quella della Società filologica romana, fondata da Ernesto Monaci, per la descrizione dei dialetti di Roma e del Lazio: un’impresa non soltanto descrittiva ma anche di didattica della lingua nazionale a partire dai dialetti (cfr. Monaci 1918 e, per un interessante caso di applicazione alla scuola elementare, Norreri 1905 sul dialetto di Castel Madama). Non è un caso che una delle prime descrizioni scientifiche complete di un dialetto dell’Italia centro-meridionale si debba a un allievo dello stesso Monaci, Bernardino Campanelli (1896). Per la documentazione dei dialetti di Roma e del Lazio Monaci aveva pensato alla traduzione della novella di Boccaccio La dama di Guascogna e il re di Cipro (Dec. I, 9; cfr. Merlo 1930): l’idea di tradurre un racconto breve nei diversi dialetti risale a Lionardo Salviati che nel 1584, nell’ambito di uno studio complessivo sul Decameron e riprendendo suggestioni di ➔ Benedetto Varchi (Salviati 1584), aveva scelto questa novella per la traduzione in dodici volgari (Cortelazzo 1980: 53-55). Nel 1875, negli anni dell’Unità d’Italia e nel cinquecentenario della morte di Boccaccio, l’erudito livornese Giovanni Papanti ne aveva raccolto una traduzione nei dialetti di 704 località italiane (Papanti 1875). Invece la tradizione della versione dialettale della parabola del figliuol prodigo (cfr. sopra) fu ripresa fra gli altri da Matteo Melillo per il suo Atlante fonetico pugliese, e fu anche inserita nei materiali da indagare per la Carta dei dialetti italiani (v. oltre; per le inchieste dell’ALI, su cui vedi oltre, cfr. Campagna et al. 2007). Tra le versioni realizzate nell’Ottocento per la documentazione dei dialetti si ricorderanno anche le traduzioni del Vangelo di San Matteo, promosse da Luigi Luciano Bonaparte tra il 1858 e il 1866 (Foresti 1980); spicca per l’assenza programmatica di letterarietà l’iniziativa di Attilio Zuccagni-Orlandini, che nel 1864 pubblicò una Raccolta di dialetti italiani con le traduzioni di un dialogo tra un padrone e un suo servitore (Zuccagni-Orlandini 1864; cfr. da ultimo Loporcaro 2009: 56).
Fra la fine dell’Ottocento e il primo Novecento si collocano figure eminenti quale quella del ticinese Carlo Salvioni, grande studioso, fra l’altro, dei dialetti e dei volgari dell’Italia settentrionale: si ricorderà almeno la sua fonetica del milanese (Salvioni 1884), prima monografia sul dialetto di una grande città; Salvioni fu anche direttore, dalla morte di Ascoli (1901), dell’«Archivio glottologico italiano», e fondatore, nel 1907, del Vocabolario dei dialetti della Svizzera italiana. Altra figura di spicco dei primi decenni del secolo è quella di Clemente Merlo, al quale si debbono alcuni tra gli studi ancora oggi fondamentali per la descrizione dei dialetti centro-meridionali, soprattutto per l’analisi del piano fonologico: in particolare la fonologia del dialetto di Sora, con il memorabile quarto capitolo dedicato alla ripartizione dei dialetti centro-meridionali (Merlo 1920), e quella del dialetto di Cervara (Merlo 1922; ➔ Italia mediana). Nel 1924 Merlo fondò la rivista «L’Italia dialettale», con un titolo che si riallaccia direttamente alla tradizione ascoliana, a tutt’oggi una delle più prestigiose riviste nel campo della dialettologia italiana.
Agli inizi del XX secolo, però, il panorama teorico-metodologico della dialettologia era stato profondamente innovato da un lato dalla ➔ geografia linguistica ispirata a Jules Gilliéron, con le imprese degli ➔ atlanti linguistici, e dall’altro dalla scuola Wörter und Sachen («parole e cose») di H. Schuchardt (Massobrio 1990). Proprio su queste basi i linguisti svizzeri Karl Jaberg e Jakob Jud dettero vita alla grande impresa dell’Atlante linguistico ed etnografico italo-svizzero (Sprach- und Sachatlas Italiens und der Südschweiz), conosciuto in Italia come AIS (Jaberg & Jud 1928). Il progetto prevedeva in un primo momento l’esplorazione, con le inchieste svolte da un unico indagatore, dei dialetti della Svizzera italiana e romancia e di quelli confinanti dell’Italia settentrionale; in un secondo momento l’indagine fu estesa a tutta l’area linguistica italiana (con esclusione della Corsica, già indagata da Gilliéron ed Edmont, e più tardi da Bottiglioni: Massobrio 1990: 141-152).
I raccoglitori dell’AIS furono tre, Paul Scheuermeier per l’Italia settentrionale e centrale, Gerhard Rohlfs per l’Italia meridionale e la Sicilia, e Max Leopold Wagner per la Sardegna, per un totale di 405 punti di inchiesta (Massobrio 1990: 86-98). Va sottolineato che Gerhard Rohlfs è stato uno tra i più importanti studiosi dei dialetti italiani, non solo meridionali: a lui si deve la Grammatica storica della lingua italiana e dei suoi dialetti, grande profilo complessivo del panorama linguistico italiano (Rohlfs 1949-1954; per un panorama della morfosintassi dialettale in chiave generativa cfr. ora Manzini & Savoia 2005), mentre Wagner, autore del Dizionario etimologico sardo (DES; Wagner 1960-1964) rimane tuttora il più importante studioso delle varietà del sardo (➔ sardi, dialetti).
Al progetto svizzero dell’AIS si contrappose nel giro di pochi anni quello dell’Atlante linguistico italiano (ALI), concepito da Matteo Bartoli e proseguito dalla sua scuola torinese, in particolare dal suo allievo Benvenuto A. Terracini, con il concorso di Ugo Pellis che coinvolse la Società filologica friulana «G.I. Ascoli» di Udine; il primo e originariamente unico raccoglitore fu lo stesso Pellis. Dopo la morte di Pellis e di Bartoli e l’interruzione delle inchieste a causa della seconda guerra mondiale, le indagini sul campo ripresero con Raffaele Giacomelli, Corrado Grassi, Giorgio Piccitto, Giovanni Tropea, Temistocle Franceschi e Michele Melillo (alcuni tra questi sono tra i maggiori dialettologi italiani della seconda metà del Novecento), e terminarono nel 1964, per 1000 punti d’inchiesta (Massobrio 1990: 99-111). Dal 1995, sotto la direzione di L. Massobrio, si sono iniziati a stampare i volumi dell’opera (cfr. http://www.atlantelinguistico.it). Altre importanti opere di carattere geolinguistico sono l’Atlante linguistico del ladino dolomitico e dei dialetti limitrofi (ALD) di H. Goebl (cfr. http://ald.sbg.ac.at/ald), e la Carta dei dialetti italiani (CDI) di O. Parlangeli, avviata negli anni Sessanta del Novecento e purtroppo rimasta incompiuta (Grassi, Sobre-ro & Telmon 1997: 296, n. 11 e 349). Alla stessa prospettiva geolinguistica, ma in chiave regionale, si rifanno, fra gli altri (Loporcaro 2009: 183-215), l’Atlante storico-linguistico -etnografico friulano (ASLEF), diretto da G.B. Pellegrini, l’Atlante lessicale toscano (ALT; http://serverdbt.ilc.cnr.it/altweb) di G. Giacomelli, l’Atlante linguistico ed etnografico del Piemonte occidentale (ALEPO: www.alepo.it), a cura di T. Telmon e S. Canobbio (cfr., anche per una panoramica complessiva, Loporcaro 2009: 30-32), e il recente Atlante linguistico della Basilicata (ALBA) di P. Del Puente ed E. Giordano (Del Puente 2008). È invece un’opera a carattere tematico l’Atlante linguistico dei laghi italiani (ALLI) di G. Moretti (http://www.unipg.it/difilile/Cart_Progetto_ALLI/Progetto_Alli.htm; per un quadro complessivo alla fine del XIX secolo cfr. Ruffino 1992).
A partire dal secondo dopoguerra un notevole ruolo ha svolto nell’indagine del siciliano e delle sue varietà il Centro di studi filologici e linguistici siciliani, oggi diretto da Giovanni Ruffino, che ha pubblicato opere quali il Vocabolario siciliano (VS) fondato da Piccitto e poi diretto da Tropea e sta pubblicando l’Atlante linguistico siciliano (ALS, un atlante ‘di nuova generazione’, per cui cfr. Ruffino 1995).
A cavallo tra i due secoli, anche per effetto dei nuovi approcci teorico-metodologici della ricerca, la dialettologia, muovendo dal contesto geolinguistico, si è venuta sempre più confrontando e per certi aspetti integrando con la sociolinguistica, dando spazio a problematiche e studi che approfondissero tutti i fattori di variazione. Questa linea ha assunto particolare importanza in quella che è definita la dialettologia urbana, una prospettiva che pone in primo piano lo studio della situazione dialettale nelle città, con le loro reti sociali molto aperte e particolarmente esposte alle innovazioni (Marcato 20072: 81-88; Ruffino & D’Agostino 1995). Così nella «Rivista italiana di dialettologia» (RID), fondata a Bologna nel 1977 da un gruppo di giovani studiosi che facevano capo a Fabio Foresti e Lorenzo Còveri, sono esplicitate le nuove tendenze sociolinguistiche della dialettologia italiana che emergevano in quegli anni. Tengono conto di queste acquisizioni metodologiche sia l’Atlante linguistico della Campania di E. Radtke (ALCam; http://www.alcam.de/contatto.htm; Radtke 1997), sia il progetto, che ha promosso notevoli studi soprattutto per l’area del Salento, del Nuovo atlante dei dialetti e dell’italiano regionale (NADIR) di A.A. Sobrero (Sobrero, Romanello & Tempesta 1991). Verso la fine del XX secolo si sono cominciati ad applicare allo studio dei dialetti italiani (in particolare per quel che riguarda la morfologia e la sintassi) anche i principi di analisi elaborati nel quadro della linguistica generativa (cfr. Benincà 1994).
«Prodotto estremo della prospettiva geolinguistica» (Loporcaro 2009: 22-23), di impostazione numerica e statistica, è invece la dialettometria, sviluppata soprattutto da H. Goebl e dalla sua scuola a Salisburgo (cfr. da ultimo Goebl 2008), «metodica che si ripropone di misurare e cartografare la distanza strutturale tra i diversi dialetti» a partire dai dati delle carte degli atlanti linguistici.
Un luogo di incontri e riflessioni di tipo anche metodologico è l’annuale (nel 1995, e poi dal 1999) convegno di Sappada -Ploden (in provincia di Belluno), ideato e promosso da Gabriella Marcato (di cui sono usciti numerosi volumi di Atti). Vanno poi ricordati, all’estero l’importante Centro di dialettologia e di etnografia di Bellinzona (Canton Ticino, Svizzera), nato nel 2002 dalla fusione del Centro di dialettologia della Svizzera italiana e dell’Ufficio dei musei etnografici e diretto da F. Lurà; e la fondamentale iniziativa del Lessico etimologico italiano (LEI), con ricchissima documentazione dialettale, ideato e realizzato a partire dal 1979 a Saarbrücken da Max Pfister (cui si affianca Wolfgang Schweickard) e dalla sua scuola (si veda la versione in linea, al momento [2010] incompleta, http://germazope.uni-trier.de/Projects/WBB/woerterbuecher/lei).
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