Il primo dei tre gradi in cui si articola il sacramento dell’ordine sacro. La dottrina cattolica in materia, riconfermata dal Concilio Vaticano II, venne ordinata da Paolo VI con i motuproprio Sacrum diaconatus ordinem (18 giugno 1967) e Ad pascendum (15 agosto 1972). Il d., che viene conferito dal vescovo mediante l’imposizione delle mani congiunta con la preghiera consacratoria, può essere un grado provvisorio o permanente. Nel primo caso segna l’ingresso nello stato clericale, come primo passo verso il presbiterato; il candidato deve essere di buoni costumi, esente da difetti fisici o psichici e di almeno 23 anni compiuti, avere espletato il quinto anno degli studi filosofico-teologici e impegnarsi al celibato perpetuo e alla recita della Liturgia delle Ore; suoi compiti specifici sono: assistere il vescovo e il presbitero durante le funzioni liturgiche, amministrare solennemente il battesimo, conservare e distribuire l’Eucaristia e recarla come Viatico ai moribondi, assistere ai matrimoni e benedirli in nome della Chiesa, leggere e spiegare ai fedeli la S. Scrittura (omelia) e istruirli nella fede (catechesi), presiedere ai riti funebri e alla sepoltura, guidare, in nome del vescovo e del parroco, le comunità cristiane disperse.
Il d. come grado a sé stante è stato ripristinato dal Concilio Vaticano II, che per la Chiesa latina ne ha lasciato la restaurazione nei diversi paesi alle Conferenze episcopali, con l’approvazione della S. Sede; i candidati non sposati devono avere almeno 25 anni compiuti, essere debitamente formati e impegnarsi al celibato perpetuo; i candidati sposati devono avere almeno 35 anni, aver dato buona testimonianza di vita familiare cristiana, impegnarsi al celibato in caso di vedovanza, avere il consenso della moglie che deve essere dotata di qualità umane e cristiane tali da non costituire impedimento o disdoro per il ministero del marito.
Dalla prassi e dalla terminologia della Chiesa latina sono invece scomparsi il suddiaconato (grado preparatorio al d., ma non di natura sacramentale) e i cosiddetti ordini minori (ostiariato, lettorato, esorcistato, accolitato), sostituiti, per disposizione del motuproprio Ministeria quaedam di Paolo VI (1972) da particolari ministeri, che possono essere affidati dal vescovo anche a laici debitamente preparati in ordine al servizio liturgico.
Nella primitiva Chiesa cristiana, diaconessa era appellativo di donne anziane, per lo più vedove, alle quali era affidata la cura dei malati e dei poveri e, insieme, degli uffici liturgici: fino al 7° sec., ricevevano una benedizione speciale e un’ordinazione con l’impositio manuum dei vescovi. L’istituto è stato rimesso in vita nel 19° sec. dai protestanti. Dopo la fondazione della prima casa madre di diaconesse nel 1836 a Kaiserwerth (Düsseldorf) a opera del pastore T. Fliedner, comunità di diaconesse con fini caritativi-assistenziali si diffusero presto in Germania, in Inghilterra e in America. Hanno l’obbligo del celibato e una formazione assai accurata.
Nella Chiesa primitiva, la diaconia era un’istituzione assistenziale a favore dei poveri affidata a un diacono. Le diaconie furono variamente organizzate nelle diverse parti dell’Impero, in Egitto, in Palestina, in Italia. Ebbero particolare vigore a Roma dal 7° al 9° sec., arrivando al numero di 24 tra urbane (18) e suburbane: dotate di personale amministrativo (pater diaconiae, dispensator, diaconiti), installate in genere presso chiese od oratori, spesso subentrando a istituti ufficiali (diaconia di S. Maria in Cosmedin sul luogo dell’Annona, di S. Maria in via Lata su un complesso di horrea ecc.), si incaricavano anche di impegni più gravosi, come l’amministrazione di ospedali. Dopo un periodo oscuro, nell’11° sec. si ha menzione di diaconie, divenute parrocchie con proprio clero, sotto la direzione di un arciprete. Con il contemporaneo riordinamento del collegio cardinalizio le chiese diaconali furono assegnate di preferenza ai cardinali diaconi. Per questa nuova funzione le diaconie furono ridotte a 14 da Sisto V (1587).